2025-01-23
Nordio processa i pm: «Superpoliziotti»
Il Guardasigilli difende la riforma, l’opposizione vuole le sue dimissioni per il caso del torturatore libico arrestato a Torino e dopo rilasciato dai giudici. Anche la Corte penale esige spiegazioni. Fissata un’informativa di Piantedosi in Aula la prossima settimana.«Basta con il pm che crea le indagini». Il ministro Carlo Nordio dà un’altra spallata al magistrato superpoliziotto e lo fa in Senato durante l’intervento sull’amministrazione della Giustizia, dove l’iter istituzionale della riforma viene approvato a maggioranza. Ora c’è un orizzonte certo: il provvedimento arriverà entro l’estate e la coalizione di centrodestra non ha alcuna intenzione di farsi intimidire da scioperi e ostruzionismi. «La riforma con la separazione delle carriere era un obbligo verso i nostri elettori», spiega il ministro. «Nella coalizione c’è unità d’intenti e siamo lieti che parte dell’opposizione abbia dato la sua adesione». Sull’argomento, Nordio non fa sconti e non getta ponti. «C’è il timore che il pm diventi un superpoliziotto? La risposta è semplice: nel sistema attuale è già un superpoliziotto, con l’aggravante che - godendo delle stesse garanzie del giudice - esercita un potere immenso senza alcuna reale responsabilità. Oggi infatti il pm non solo dirige le indagini, ma addirittura le crea. Lo fa attraverso la cosiddetta clonazione del fascicolo, svincolata da qualsiasi controllo, che può sottoporre una persona ad indagini occulte, eterne, con disastri finanziari irreparabili». È il nervo scoperto di una giustizia che, dai tempi di Tangentopoli, applica il rito ambrosiano. Il ministro affonda il coltello nella piaga: «Pensiamo a quante inchieste sono state inventate, si sono concluse con “il fatto non sussiste” e sono costate milioni». Nordio difende punto per punto la sua riforma, contestando la narrazione che vorrebbe il pm sottoposto all’esecutivo. «Escludo che preveda un assoggettamento, questa è un’interpretazione scadente di un pregiudizio obsoleto. È sufficiente leggere il testo per assicurarsi che la magistratura requirente mantiene le medesime prerogative di quella giudicante. L’unico processo che respingiamo è quello alle intenzioni». Anche il sistema del sorteggio di parte del Csm sarà confermato perché, come sottolinea il Guardasigilli, «è già inserito sistematicamente nel complesso giurisdizionale. Sono infatti sorteggiati i giudici popolari della Corte d’Assise, i membri del Tribunale dei ministri e i giurati della alta Corte. Quindi nessun diritto di lesa maestà». Sul tema del sovraffollamento delle carceri, il ministro spiega che è previsto un piano di edilizia penitenziaria e che vengono stanziati 275 milioni per favorire l’inclusione socio-lavorativa dei detenuti. Ma al tempo stesso «sono esclusi provvedimenti di amnistia per non dare un segnale di debolezza dello Stato e incentivare la recidiva». Come anticipato dalla Verità, non ci può essere scudo penale per le forze dell’ordine. «Sarebbe incostituzionale. Poiché l’istituto dell’informazione di garanzia si è trasformato in un marchio d’infamia, stiamo cercando una soluzione che riguardi tutti, per far sì che una persona possa difendersi senza essere iscritta nel registro degli indagati».Mentre lui parla in Aula, fuori si parla molto di lui per un corto circuito giudiziario: uno dei pochi libici rimpatriati doveva rimanere in Italia. Non si tratta di un clandestino qualsiasi, ma di Najeem Osama Almasri Habish, accusato di gravi violazioni dei diritti umani: torture e abusi commessi nel centro di detenzione di Tripoli, di cui era responsabile. Almasri era stato arrestato, su mandato della Corte dell’Aja, dalla digos di Torino mentre si apprestava ad assistere alla partita Juventus-Milan con tre connazionali, a loro volta espulsi. Dopo 48 ore è stata la Procura generale di Roma a chiedere alla Corte d’Appello la scarcerazione sostenendo che l’arresto di Almasri era stato irrituale «in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». Un pasticcio procedurale visto che Nordio stava valutando il dossier, ma a detta della Procura «non ha fatto pervenire alcuna risposta in merito». Di conseguenza non era possibile convalidare l’arresto. Sul caso la corte dell’Aja ha chiesto spiegazioni all’Italia. La vicenda è delicata e riguarda i rapporti diplomatici fra Roma e Tripoli, dove il comandante è tornato (espulso dal Viminale e rimpatriato al volo) fra le imbarazzanti acclamazioni dei suoi. Il rimpatrio ha scatenato la minoranza. Ieri Elly Schlein ha alzato la voce: «Giorgia Meloni voleva inseguire i trafficanti di esseri umani in tutto il globo, ne era stato arrestato uno libico in Italia e invece di dare seguito alle richieste della Corte penale internazionale è stato rimandato in Libia. Il governo chiarisca». Sulla stessa lunghezza d’onda l’intera opposizione che chiede alla premier di riferire in Aula: «Impensabile che Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano non fossero al corrente di nulla». Lo farà la prossima settimana il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. La polemica è accompagnata, manco a dirlo, dalla richiesta di dimissioni di Nordio.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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