2018-05-27
Verso gli Esteri un amico dell’Iran
Il premier incaricato incontra Luca Giansanti, ex direttore affari politici alla Farnesina In pessimi rapporti con Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, spinge per il dialogo con gli ayatollah.Conte passa la giornata alla Camera, Matteo Salvini alza il tiro: «Ministri leghisti pronti». E incassa l'aiuto di Fdi sul prof, che raccoglie consensi nel Pd. Massimo D'Alema scuote i suoi: «Se si rompe su di lui, i gialloblù all'80%».Il leader leghista: «Se salta tutto, frattura tra Palazzo e popolo». La rilevazione riservata non fa temere le urne. Gelo con il Cav.Una ricerca svela che il 55% dei cittadini «è irritata dalle ingerenze europee». Alessandro Di Battista sull'ipotesi del voto: «Io sarei in campo».Lo speciale contiene quattro articoli.Matteo Salvini sembra non mollare su Paolo Savona ed è pronto a far saltare il banco se non dovesse cadere il veto del Colle sull'economista euroscettico indicato dalla Lega e condiviso con i 5 Stelle. Forte di quello che considera un sostegno pieno da parte di Luigi Di Maio, il leader del Carroccio ieri sera ha annunciato di essere pronto a consegnare al premier incaricato la lista definitiva dei ministri, almeno quelli leghisti. Continuano intanto a circolare indiscrezioni sulla composizione della squadra di governo. Oltre all'Economia, a quanto si apprende da fonti parlamentari, le caselle dell'esecutivo in quota Lega potrebbero essere riempite così: Stefano Candiani alle Infrastrutture. Sarebbe definitivamente tramontata l'ipotesi della No Tav Laura Castelli azzoppata dagli stessi stessi 5 stelle. Mentre Gian Marco Centinaio potrebbe andare al Turismo e all'Agricoltura. Manuela Lanzarin al ministero della Famiglia e della Disabilità; Lorenzo Fontana agli Affari Regionali e Giancarlo Giorgetti sottosegretario unico alla presidenza del Consiglio, in sostanza il premier ombra.Secondo gli ultimi rumors, la delega ai servizi segreti rimarrebbe in capo a Giuseppe Conte. Resta ancora aperta la partita delle telecomunicazioni, con ottime chance per i grillini di aggiudicarsi la delega. Tra i ministeri chiave ci sono anche Difesa e Giustizia per i quali rimarrebbero sempre salde le quotazioni di Elisabetta Trenta e Alfonso Bonafede entrambe in quota 5 stelle. Per il Mibact, invece, sarebbe ritornato in pole position il nome di Emilio Carelli.Ieri l'ambasciatore Luca Giansanti ha incontrato a sorpresa a Montecitorio lo stesso Conte. All'uscita, dopo mezz'ora, dalla Camera la feluca si è limitata a un laconico «buon week end a tutti». La sua sarebbe tutt'altro che una comparsata: il suo nome ora è il più probabile per la Farnesina. L'uscita di scena annunciata da Vincenzo Spadafora, consigliere di Luigi Di Maio avrebbe fatto decadere anche la candidatura dell'attuale ambasciatore in Qatar, Pasquale Salzano. Sul fronte Giampiero Massolo i veti incrociati sono arrivati anche da Marco Minniti attuale numero uno dell'Interno. Conte si sarebbe così orientato nella direzione di un professionista della diplomazia ma in una posizione di contrasto con chi conta (o meglio chi contava fino a ieri alla Farnesina). Giansanti ha sbattuto la porta e si è dimesso lo scorso marzo con effetto primo giugno perché all'epoca di Matteo Renzi gli è stato negato l'incarico a New York all'Onu. Al suo posto è stata dirottata Mariangela Zappia molto vicina a Paolo Gentiloni. C'è da scommettere che una volta ministro degli Esteri metterà mano al pallottoliere delle nomine e pure Elisabetta Belloni, ora direttore generale della Farnesina potrebbe traballare. Al di là delle poltrone (problema interno della diplomazia) l'eventuale nomina di Giansanti apre una strada politica e culturale ben precisa. Chi conosce l'ex ambasciatore lo definisce filo iraniano. Non solo perché ha servito per quasi due anni a Teheran, ma anche perché le sue tesi sono progressiste e aperturiste. La passione per New York non era certo legata a spinte atlantiste piuttosto all'obiettivo di un ruolo dentro il Palazzo di vetro. In una delle sue ultime uscite pubbliche (da direttore generale per gli affari politici della Farnesina) Giansanti ha affiancato il sottosegretario, Vincenzo Amendola, impegnato in un colloquio con Abbas Araqchi, viceministro iraniano. Il tema, oltre alla Siria, è stato il nucleare. L'Italia ha confermato la linea Mogherini. Sapere cosa pensa il ministro degli Esteri su argomenti quali dazi, Trump, nucleare e alleanze sulla Siria è importante. Soprattutto in un governo che se dovesse partire sarà soggetto a numerose forze centrifughe.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/verso-gli-esteri-un-amico-delliran-2572372169.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="savona-diventa-la-linea-del-piave-e-inizia-a-piacere-persino-a-sinistra" data-post-id="2572372169" data-published-at="1757923424" data-use-pagination="False"> Savona diventa la linea del Piave e inizia a piacere persino a sinistra Gli attacchi dei giornali tedeschi all'Italia hanno l'effetto previsto: compattano intorno a Paolo Savona gran parte delle forze politiche, al di là della maggioranza Lega-M5s. L'economista di 82 anni si avvicina alla poltrona di ministro dell'Economia: è diventato il simbolo della libertà dell'Italia di scegliersi in autonomia i propri governanti, senza sottomettersi a Berlino e - soprattutto - a Francoforte, sede della Bce, fortino di Mario Draghi, avversario numero uno di Savona. Ieri sera la nomina di Savona sembrava più vicina: alcune indiscrezioni prevedono per martedì prossimo il voto di fiducia. Ieri mattina, Matteo Salvini ha affondato i colpi: «Giornali e politici tedeschi», ha scritto sui social network, «insultano: italiani mendicanti, fannulloni, evasori fiscali, scrocconi e ingrati. E noi dovremmo scegliere un ministro dell'Economia che vada bene a loro? No, grazie!». Giorgia Meloni si schiera sullo stesso lato: «Su Paolo Savona», ha attaccato la leader di Fdi, «una nuova inaccettabile ingerenza di Mattarella, dopo l'ostinazione a non conferire l'incarico di governo al centrodestra. Ho comunicato a Salvini che Fratelli d'Italia, pur senza aver cambiato idea sul governo M5s-Lega, offre il suo convinto aiuto per rivendicare il diritto di un governo a scegliere un ministro dell'economia non indicato da Bruxelles». Un aiutino a Savona è arrivato anche da Massimo D'Alema. Nel corso dell'assemblea di Leu, l'agenzia Vista ha registrato le sue considerazioni: «Se dovessimo andare a elezioni sul veto a Savona», ha detto D'Alema, «quelli prendono l'80% dei voti. L'autonomia, la sovranità del popolo italiano, le ingerenze straniere... Speriamo bene». Pochi i commenti da parte di Forza Italia: «Resto contrario», ha detto il deputato azzurro Luca Squeri, «a questo esecutivo a trazione pentastellata, ma sulla questione legata al nome di Savona, Salvini ha ragione». Gli attacchi più duri contro Lega e Movimento 5 stelle arrivano dal Partito democratico. «Lo spread», ha affermato Matteo Renzi, «sale ai massimi dal 2013. Non pensate che sia una notizia tecnica perché purtroppo riguarda la nostra vita. Chi è il colpevole? Il responsabile ha sempre un nome», ha concluso Renzi, «in questo caso due cognomi: Salvini e Di Maio». Eppure, tra i democratici c'è chi si spende per il professore che la Lega vuole al ministero dell'Economia: «Paolo Savona», ha dichiarato alla Stampa il deputato del Pd, Francesco Boccia, «è una delle migliori personalità del Paese in materia economica. Non mi adeguo alla vulgata che vuole criticarlo per ammaccare il governo». Stefano Fassina, di Leu, si schiera al fianco di Lega e grillini: «Gli attacchi contro Paolo Savona», ha detto Fassina, «hanno l'obiettivo di normalizzare l'Italia, come è stata normalizzata la Grecia». Il (quasi) premier, Giuseppe Conte, ieri ha passato l'intera giornata alla Camera. «Stiamo lavorando», l'unica battuta concessa ai cronisti. Conte ha incontrato l'ambasciatore Luca Giansanti, in pole position per il ministero degli Esteri. In serata ha rivelato di aver ricevuto una telefonata dal presidente francese, Emmanuel Macron: «Questo pomeriggio», ha scritto Conte su Facebook, «ho ricevuto una telefonata dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, il quale ha formulato i suoi migliori auspici per il governo che stiamo formando in Italia. Questa conversazione ha costituito l'occasione per un proficuo scambio sulle principali prospettive delle politiche economiche e sociali europee che coinvolgono i nostri due Paesi. Ci siamo lasciati», ha concluso Conte, «con l'auspicio di poterci incontrare il prima possibile per discutere in dettaglio le varie questioni di comune interesse». Difficile immaginare che Macron telefoni a un premier incaricato sul punto di saltare: il leader francese è reduce da un incontro con Vladimir Putin, che ieri si è espresso sulla situazione italiana con accenti positivi. Ieri anche Steve Bannon, lo stratega della campagna elettorale di Donald Trump, ha detto la sua, intervistato su Sky: «Savona è il meglio», ha commentato Bannon, «Salvini ha ragione. Ha idee molto chiare sull'Europa, sulla Germania e sull'euro. Sono stato molto colpito dal grande entusiasmo di questi due giovani leader, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Raccomando a loro», ha aggiunto Bannon, «quello che all'epoca raccomandai a Donald Trump: andate avanti». Salvini non ha alcuna intenzione di ingranare la retromarcia: «Già stasera (ieri per chi legge, ndr) daremo al presidente del Consiglio incaricato», ha detto Salvini, «i nomi dei ministri della Lega che sono pronti a lavorare per il bene dell'Italia. Speriamo che nessuno abbia niente da eccepire su nessuno di questi profili. Non è questione di nomi e cognomi ma di rispetto del voto degli italiani. Passi indietro la Lega ne ha già fatti abbastanza, abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Avere dei ministri che vanno in Italia, in Europa e nel mondo a difendere gli interessi degli italiani», ha concluso Salvini, «è un valore». Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/verso-gli-esteri-un-amico-delliran-2572372169.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="non-tiro-a-campare-salvini-molla-i-freni-e-si-gode-il-sondaggio-lega-al-25-5-fi-al-7" data-post-id="2572372169" data-published-at="1757923424" data-use-pagination="False"> «Non tiro a campare». Salvini molla i freni e si gode il sondaggio: Lega al 25,5%, Fi al 7 Quando tuona sul Montello, i vignaioli del prosecco di Valdobbiadene corrono a coprire le viti, ma non parlano mai di temporale: «Sono i nostri ragazzi che stanno facendo a pezzi i crucchi». A cento anni dalla fine della prima guerra mondiale gli elmetti a punta sembrano comparire di nuovo lassù, come i tartari di Dino Buzzati, e per Matteo Salvini tutto questo è manna. L'offensiva mediatica tedesca contro Paolo Savona e il governo 5 stelle-Lega cementa ancora di più la strana alleanza, induce i protagonisti a ribadire le loro posizioni. E il leader del Carroccio, nel summit di via Bellerio a Milano, ripete una formula militare: «Indietro non si torna». Concetto ribadito in serata a Martinengo, alla festa leghista: «Non tiro certo a campare, o governo o voto». Per la Lega questa è la giornata dell'orgoglio. Sentir dire dai giornali tedeschi che gli italiani sono dei mentecatti, degli accattoni senza dignità, dei fannulloni ingrati, degli evasori fiscali seriali, ha dato insospettabile forza alla strategia leghista, partito che continua a rappresentare una percentuale consistente di quegli imprenditori, quei lavoratori, quelle partite Iva che fanno della locomotiva Nord una realtà economica più competitiva della Baviera. Convinto di essere in sintonia non solo con la sua gente, ma anche con quegli italiani che sanno cosa significa vincere sui mercati internazionali con una competitività e una forza morale che vanno rispettate, Salvini rimanda al mittente le accuse. «I tedeschi ci insultano e noi dovremmo scegliere un ministro dell'Economia che vada bene a loro? No, grazie. Prima gli italiani», scrive su Facebook. Poi sbotta con i suoi: «Indichiamo il ministro del Tesoro che riteniamo più valido, non quello che piace di più a Bruxelles e Berlino. Passi indietro ne abbiamo già fatti abbastanza. Diamo sin d'ora (ieri sera, ndr) i nomi dei nostri ministri al presidente Giuseppe Conte. Non ne faccio una questione anagrafica, ma di rispetto del voto». Salvini è convinto che a mettersi di traverso su Savona non sia tanto Sergio Mattarella, quanto Angela Merkel e gli euroburocrati, che in questi giorni hanno un filo diretto con il Quirinale. Una consuetudine da spezzare, pensano dentro la Lega. Un colonnello di larga esperienza aggiunge: «Abbiamo detto sì con il cappello di Mario Monti in mano, abbiamo chinato il capo con Enrico Letta, poi ci siamo fatti prendere in giro dalle moine di Matteo Renzi, che faceva lo spaccone qui e il Fracchia a Bruxelles. Adesso basta, sappiamo che il Paese la pensa come noi». Allora, alla sabauda, avanti Savona. E se il no del capo dello Stato sarà granitico si tornerà alle urne. La Lega non teme le elezioni, qualunque mossa faccia guadagna consensi. L'ultimo sondaggio arrivato sulle scrivanie mercoledì scorso dà il Carroccio al 25,5% con Forza Italia fra il 7 e l'8%, mentre Di Maio segna il passo al 30% (il mal di pancia della base grillina di sinistra non si placa). Nulla di ciò che dice Salvini in queste ore è men che studiato. Altro che pancia. E quando butta lì: «Il rischio non è una nostra frattura con il Quirinale, ma un'ulteriore frattura fra i palazzi del potere e gli italiani», intende proprio quei numeri e quel catenaccio percepito per non far andare in gol il nuovo governo. Nella Lega sono sicuri che sarebbe un boomerang per il vecchio establishment contrario al cambiamento e anche un marpione come Massimo D'Alema lo ha capito: «Se si va alle urne per il no a Savona prendono l'80%». Nonostante i tuoni sul Montello e gli elmetti a punta, la partita si gioca anche su un altro livello, quello della trattativa. E ancora una volta il protagonista è Giancarlo Giorgetti. In queste ore ha incassato il sì di Giorgia Meloni: Fratelli d'Italia, pur stando fuori, potrebbe vedere con maggiore favore un esecutivo sovranista, molto tricolore, assediato dall'Europa rigorista. La numero uno della destra storica lo ha sottolineato: «L'Italia è ancora una nazione sovrana e ha il diritto di scegliere un ministro non indicato da Bruxelles. Jean Claude Juncker e la Merkel se ne facciano una ragione». Si susseguono telefonate e confronti, il problema è la mancanza di alternative. E Mattarella viene indicato come principale responsabile: il suo no senza un piano B condivisibile da suggerire («Per fortuna che l'uomo saggio è lui», spifferano da via Bellerio) ha creato il muro contro muro. Nonostante ciò si vedono spiragli che fanno dire a Salvini: «Se sapessi di avere perso 15 giorni di lavoro mi arrabbierei molto. Ma andiamo avanti, prima o poi il governo si fa». In questo clima da bunker nell'ora più buia c'è un silenzio che grida, quello di Silvio Berlusconi. Dalla Lega gli hanno chiesto con insistenza di dire una parola a difesa della sovranità nazionale. Ma il Cavaliere, che non è per nulla convinto della strana coppia Di Maio-Salvini e che solo una settimana fa a Bucarest ha mostrato freddezza nei confronti della nouvelle vague italiana. Una scelta non condivisa dal 58% degli elettori di Forza Italia. Ma questa volta lui ascolta Mattarella e non i sondaggi. Fa filtrare che «la lealtà al presidente è un dovere». Ma anche un investimento. Giorgio Gandola <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/verso-gli-esteri-un-amico-delliran-2572372169.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="gli-italiani-ne-hanno-le-tasche-piene-dei-ficcanaso-ue" data-post-id="2572372169" data-published-at="1757923424" data-use-pagination="False"> Gli italiani ne hanno le tasche piene dei ficcanaso Ue Tra veti e diktat, il governo gialloblù rischia di essere soffocato nella culla. Le persistenti «perplessità» del Quirinale sul professor Paolo Savona, reo di euroscetticismo, diventano un braccio di ferro tra Lega e Movimento 5 stelle, con la mediazione del premier incaricato Giuseppe Conte che non basta a convincere il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il capo dello Stato è determinato come non mai a non accettare diktat, specialmente da Matteo Salvini. È il leader del Carroccio, infatti, a volere nel governo l'economista ed ex ministro nell'esecutivo Ciampi. Il suo è un curriculum ineccepibile sul fronte accademico, ma con posizioni giudicate eretiche sull'Europa e la moneta unica, al punto che, secondo il Colle, una sua eventuale nomina non garantirebbero l'ancoraggio dell'Italia all'Unione. Insomma, Mattarella non sopporta che venga proposto un nome sgradito a Bruxelles, ma soprattutto che venga imposto contro le prerogative del capo dello Stato. Prerogative non istituzionali, ma politiche secondo l'ex deputato M5s Alessandro Di Battista, che rappresenta l'ala movimentista della galassia grillina, di sicuro più vicina alla piazza che all'aplomb di Luigi Di Maio: « Il presidente della Repubblica su Savona ha espresso solo un veto politico». Ieri però Salvini ha confermato la sua totale irremovibilità e ha dichiarato di aver inviato a Conte la lista dei ministri leghisti: «Un nome che piaccia alla Germania? No, grazie. E se non c'è il professor Savona il governo Conte non parte». Del resto all'erede di Umberto Bossi è arrivato un sondaggio riservato, curato da una importante società: la maggioranza degli italiani è «irritata riguardo all'ingerenza europea» sulla formazione del governo Conte. Il 55% degli italiani è così suddiviso: il 22% ritiene gli interventi europei «sbagliati, bisogna prima aspettare di vedere il governo all'opera»; il 17% considera gli interventi «ingiustificati, è una eccessiva ingerenza»; e il 16% giudica gli interventi critici dei partner europei «sbagliati, criticano perché sono preoccupati che il nuovo governo vada a danneggiare i poteri forti». E se resta impensabile un piano B, che ad esempio veda Savona ministro depotenziato, l'unica via d'uscita sarebbero le elezioni anticipate. Sembra convinto di questo anche Di Maio, che ieri avrebbe confermato la linea dura: nessun tentennamento o salta tutto, anche perché se Savona è il simbolo dell'antiestablishment, il M5s non può cedere. Anche perché, oltre a far passare la linea di sudditanza all'Ue, Salvini passerebbe alla storia come un rivoluzionario e i pentastellati come dei conservatori. Un po' di ottimismo nel Movimento 5 stelle cerca di farlo trapelare lo stratega Davide Casaleggio: «Il tema del governo è in mano a Giuseppe Conte e a Sergio Mattarella. Sono fiducioso che troveranno un'ottima soluzione. Sono convinto che siamo vicini a un cambiamento importante per il Paese». Intanto in serata, a Le parole della settimana su Rai 3, Di Battista torna sulla questione elezioni anticipate e dice: «Qualora si dovesse tornare a votare non farei il mio viaggio in programma e farei, invece, la campagna elettorale». Un'autocandidatura? Ne ha tutta l'aria. Sarina Biraghi
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi