Chiacchiere. Sì, di chiacchiere a Bologna se ne sono sentite tante, con il patrocinio della Regione e di Elly Schlein, che fino a pochi mesi fa aveva la delega alla Transizione ecologica. Di fatti però se ne sono visti pochi, anzi quasi nessuno. Ecco, la chiave per capire quello che è successo a Forlì, Cesena, Ravenna, Imola e Bologna sta tutta qui. Invece delle opere necessarie a contenere la furia delle acque, si sono fatti i convegni. L’ultimo è di pochi giorni fa: tre giorni di dibattito all’Auditorium Enzo Biagi, a Bologna, seconda tappa del Festival dello sviluppo sostenibile. Per capire la beffa del destino basta leggere i titoli dei temi discussi. Giovedì 11 maggio si è parlato della «transizione ecologica nell’anno europeo della competenza», della «Cultura del cambiamento climatico», dell’Europa e della «Sfida della transizione verso la sostenibilità». Venerdì 12, l’argomento all’ordine del giorno era la «Neutralità climatica 2030, una sfida possibile. Nove città italiane si raccontano», e una di queste era Bologna. Nel pomeriggio, invece si parlava di «Meteo, clima, scienza, comunicazione e protezione civile: simulare il futuro per lo sviluppo sostenibile». A rileggere oggi i temi, mentre si allineano le bare dei morti e migliaia di persone sono sfrattate dalle loro case allagate, viene da chiedersi a che cosa sia servito discutere tanto. Qualcuno potrebbe pensare a una curiosa e funesta coincidenza che ha portato a organizzare un convegno in cui si parla di meteo, di protezione civile e di simulazione proprio pochi giorni prima che si scatenasse il diluvio.
E invece coincidenza non è, perché basta sfogliare le pagine per scoprire altri simposi, per esempio quello organizzato dall’area pianificazione territoriale e mobilità sostenibile della città metropolitana di Bologna a fine febbraio. «Cambiamenti climatici: il suolo e la rigenerazione urbana», sede del dibattito l’oratorio di San Filippo Neri, autorità presenti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il sindaco Matteo Lepore, il consigliere delegato alla pianificazione territoriale Maurizio Fabbri. Parole, parole, parole. Ma di opere per evitare che il diluvio allagasse campi e città, portandosi via tante vite, niente o quasi. Basta ascoltare la voce disperata di chi ha perso tutto. «La mia azienda agricola è andata completamente sotto», urlava in mezzo al fango il signor Augusto Moreno all’inviato della Stampa «e la colpa è dell’uomo». Non del cambiamento climatico, del surriscaldamento, della CO2. Dell’uomo. Vi chiedete che cosa ne può sapere un povero contadino inferocito? Molto più dei politici che si danno appuntamento nei convegni per parlare di sviluppo sostenibile. C’era già stata un’alluvione in quella zona, nel 2021. E sapete che cosa è successo? Lo spiega Moreno: «La Regione Emilia Romagna ha restituito, fra il 2021 e il 2022, la bellezza di 55,2 milioni di euro ricevuti dallo Stato per la manutenzione degli argini e la messa in sicurezza del territorio. E sapete perché quei soldi sono stati restituiti? Perché non sono riusciti a spenderli. Oh, non lo dico mica io! Lo dice la Corte dei conti!». Sì, mentre l’assessorato guidato da Elly Schlein produceva perle come quelle riportate ieri da Carlo Cambi («Continuare a rafforzare la strategia a consumo di suolo zero e di rigenerazione urbana con un piano di rigenerazione e resilienza della città»), gli interventi necessari a evitare le esondazioni non si facevano. Tra il 2015 e il 2022, l’Emilia Romagna ha ricevuto 190 milioni per realizzare 23 casse di espansione dei fiumi. Si tratta di opere di contenimento delle acque in caso di eventi di grande portata come quello verificatosi due giorni fa. Di quelle 23 casse, 12 sono state realizzate e funzionano a pieno regime, scrive il Quotidiano Nazionale, altre due funzionano in parte. Per quanto riguarda le altre, due sono ancora da finanziare mentre per nove i lavori non sono ancora conclusi.
E ora che si contano i morti, invece di parlare delle opere incompiute si dà la colpa al clima, come se non si sapesse che l’Emilia Romagna è terra di alluvioni. «Il surriscaldamento globale va fermato», ha sentenziato il meteorologo con il farfallino variopinto Luca Mercalli, già noto per le sue apparizioni in tv al fianco di Fabio Fazio. «Siamo tutti colpevoli. Nessuno vuole fare sacrifici tranne i ragazzi che si battono per il clima». E Mario Tozzi, altro climatologo da salotto tv, gli ha fatto eco in un’intervista, prevedendo un futuro con l’Italia spaccata in due: il Nord alluvionato e il Sud ridotto a un deserto. Era tutto noto fin dal secolo scorso, ha spiegato, e la responsabilità è anche del cemento con cui abbiamo ricoperto il nostro territorio.
Peccato che il capo dei geologi dell’Emilia Romagna dica l’esatto contrario: «Se si rompe un argine, il clima non c’entra. È un problema di manutenzione». Colpa del cemento? «Non puoi evitare che la gente costruisca, ma questo costruire deve essere accompagnato». Come? «In montagna con la riforestazione, per trattenere l’acqua. In pianura con le casse di espansione e la manutenzione degli argini». Insomma, non servono grandi progetti e tanti convegni: occorre rimboccarsi le maniche. Altro che prendersela con il cemento e lodare i ragazzini che protestano e imbrattano i monumenti. Dice Massimiliano Fazzini, responsabile della squadra Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale, cioè uno che se ne intende e non uno che va in tv a sproloquiare contro il governo ladro: «La spinta ambientalista all’interno della politica emiliano-romagnola è stata talmente forte che negli ultimi dieci anni non ha permesso di fare nulla. Ma non si può sempre dire no a tutto. Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua, laddove occorra anche con opere impattanti sull’ambiente». Insomma, citofonate a Elly Schlein.