2021-06-11
L’incredibile capriola dem su Kamala: «I confini chiusi? È la nostra linea»
Kamala Harris (Getty Images)
Dopo essersi ripresi dallo choc per la vicepresidente Usa che annuncia il respingimento dei clandestini, gli esponenti del Pd negano la realtà: «Non speculate, anche noi l'abbiamo sempre pensata in questo modo».Kamala è mia e me la gestisco io. Dopo giorni di imbarazzato silenzio, la sinistra italiana insorge e si riappropria del suo mito. Come è noto, nel suo primo viaggio ufficiale all'estero, la democraticissima vicepresidente Usa, prima afroamericana e afroasiastica ad assurgere alle vette della Casa Bianca, la figlia di un'indiana e di un giamaicano, il simbolo dell'integrazione, la risposta del buonismo internazionale a quel cattivone di Donald Trump, la regina dell'accoglienza destinata a buttare giù tutti i muri, ebbene: proprio lei ha fatto un discorso che sembrava Giorgia Meloni: «Cari immigrati, non venite da noi perché sarete respinti», ha detto infatti.E così facendo ha creato non poco sconcerto nei suoi altrettanto democraticissimi fan. Per quarantott'ore dalla curva italiana degli ultrà dei porti aperti non è arrivato nessun commento. Solo mutismi spauriti. Poi, all'improvviso, ecco lo squillo di tromba. Ecco l'urlo di battaglia: «Alla riscossa! Alla riscossa!». Il dado è tratto. L'ordine di scuderia è partito, forte e chiaro, e dalle segrete stanze piomba sui militanti a dettare la linea: «Kamala una di noi». Ma come? Sta dicendo che bisogna respingere gli immigrati? «Lo diciamo anche noi». Ma come? Voi non siete quelli che volevano arrestare Matteo Salvini? «Non speculate» (copyright Enrico Letta). E certo: nessuno deve speculare, si capisce. Nemmeno perculare, però. In effetti sembra che la logica artistotelica sia andata a farsi friggere nelle dichiarazioni degli esponenti del Pd che cercano di tenere insieme la loro posizione con quella di Kamala Harris dicendo che sono la stessa cosa. Che è un po' come voler dimostrare che la visione del mondo tolemaica è uguale a quella copernicana: in fondo, ci sono sempre delle cose che girano. Ma sicuro, come no? Ci sono sempre delle cose che girano. E nelle stanze democratiche devono essere girate proprio tantissimo nel sentire l'idolo dell'«apriamo le porte a tutti» che diceva che non si possono aprire le porte tutti. E che si schierava per la difesa dei confini, come un sovranista qualsiasi. Ve lo ricordate, per dire, Matteo Orfini, quello che salì sulla nave della speronatrice Carola, per favorire l'ingresso illegale di immigrati nel nostro Paese? Ovviamente è anche lui d'accordo con Kamala, la quale però è contraria all'ingresso illegale di immigrati nel suo Paese. In effetti Kamala quelli che erano sulla nave di Carola li avrebbe (parole sue) «respinti tutti». «Non facciamo i provinciali», svicola Orfini, per di più sorridendo. E va bene, non facciamo i provinciali. Ma nemmeno i surreali, che ne dici Matteo? Da Carola a Kamala, infatti, il passo non è breve. Eppure i democraticissimi ultrà dell'accoglienza lo compiono con una leggiadria da teatro Bolshoj. La linea, come spesso avviene in questi casi, la detta un articolo su Repubblica non a caso titolato: «Il Pd respinge la Meloni: noi sulla linea Harris». Dal quale si deduce che l'unica invasione che i democratici temono è quella dei voti del centrodestra. E per cercare di respingere (l'unico respingimento che amano) Giorgia e i suoi Fratelli sono disposti a cimentarsi nelle acrobazie più spettacolari. Come per l'appunto sostenere che loro sono d'accordo con Kamala anche se lei, purtroppamente, dice l'esatto opposto di quello che dicono loro. Sono d'accordo a loro insaputa, ecco. Oltre che, naturalmente, a insaputa della vicepresidente Usa. L'argomento più gettonato per sostenere codesta ardita similitudine è che la Harris, come il Pd, dice no all'immigrazione irregolare perché è favorevole all'immigrazione regolare. «No all'immigrazione irregolare, sì ai flussi regolari: è la strada giusta», s'infiamma Lia Quartapelle. «Condivido che vanno riaperti i flussi regolari», insiste il ministro Lorenzo Guerini. «Kamala contrasta i flussi irregolari perché ha aperto ai flussi regolari», spiega Matteo Orfini, sempre lui. Il quale però, come dicevamo, dimentica che sul barcone di Carola, per esempio, di regolare non ce n'era nemmeno uno. Lui e tutti gli altri dimenticano insomma che quando il Pd dice sì ai barconi non sta dicendo sì ai flussi regolari ma sta dicendo sì al flusso degli irregolari. Proprio quelli cui Kamala dice: «Vi respingeremo». E dunque, di grazia, come fanno a essere d'accordo con Kamala e contrari ai respingimenti? Mistero della fede piddina. O della loro confusione mentale. In effetti i big della sinistra ricordano un po' quel terzino che andava in Tv a dire: «Sono completamente d'accordo a metà col mister». Negli Usa alcuni esponenti democratici come Alexandria Ocasio Cortez hanno contestato duramente la democraticissima vicepresidente Kamala. In Italia no: l'Italia resta patria dell'arabesco, il Paese in cui il modo più rapido per unire due punti è l'arzigogolo. E l'arzigogolo Pd è indimenticabile: sono d'accordo con la Harris dicendo l'esatto contrario di quello che dice lei. Non scendono dallo chicchissmo Kamala carro, anche se il Kamala carro sta andando in una direzione completamente opposta alla loro. Come uno che a Roma sale su un treno e chiede: dove va? A Reggio Calabria. E lui: perfetto, volevo andare a Milano, siamo nella giusta direzione. Come è possibile? «La Harris è pragmatica», rispondono i Pd (copyright Enrico Borghi). Ecco, perfetto. Lei è pragmatica. E noi quando potremo esserlo senza passare per assassini?
Donald Trump (Ansa). Nel riquadro il suo post pubblicato su Truth con cui ha annunciato il raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas
Nella notte raggiunto l'accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri. Il presidente americano: «Giornata storica». Le truppe israeliane lasceranno la Striscia, tranne Rafah. Guterres: «Tutti rispettino l’intesa».
È stato Donald Trump, poco prima dell’una italiana, ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano al gruppo islamista. «Sono molto orgoglioso di comunicare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace», ha scritto il presidente americano su Truth, definendo quella di oggi «una giornata storica».
Secondo le prime ricostruzioni dei media israeliani, la firma ufficiale dell’intesa è prevista alle 11 italiane. L’accordo prevede il ritiro dell’Idf, l’esercito israeliano, da gran parte della Striscia di Gaza, con l’eccezione di Rafah, e il rilascio degli ostaggi sopravvissuti entro la fine del fine settimana, probabilmente tra sabato e domenica. Il piano, frutto di settimane di mediazione tra Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia, stabilisce anche la liberazione di circa duemila detenuti palestinesi in cambio del rilascio dei prigionieri israeliani. Lo scambio dovrà avvenire entro 72 ore dall’attuazione dell’accordo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la notizia in un comunicato del suo ufficio, parlando di «una conversazione molto emozionante e calorosa» avuta con Trump subito dopo l’annuncio. «I due leader si sono congratulati per lo storico risultato ottenuto con la firma dell’accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi», si legge nella nota. Netanyahu ha ringraziato Trump «per la sua leadership e per gli sforzi a livello globale», ricevendo a sua volta le lodi del presidente americano per «la sua guida determinata». Trump, parlando poi con Axios, ha rivelato di aver ricevuto un invito ufficiale a recarsi in Israele. «Probabilmente nei prossimi giorni visiterò il Paese e potrei rivolgermi alla Knesset. Vogliono che tenga un discorso, e se lo desiderano, lo farò sicuramente», ha detto. E ha aggiunto: «Per raggiungere questo accordo si sono uniti gli sforzi di tutto il mondo, compresi Paesi ostili. È un grande risultato. La mia chiamata con Netanyahu è stata fantastica, lui è molto contento, e dovrebbe esserlo». In un altro messaggio pubblicato sui social, il presidente americano ha voluto ringraziare i mediatori regionali: «Tutte le parti saranno trattate equamente. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America. Benedetti gli operatori di pace!».
Da Gaza, Hamas ha confermato la propria adesione, sottolineando che l’accordo «prevede la fine della guerra, il ritiro dell’occupazione, l’ingresso di aiuti e uno scambio di prigionieri». Il movimento islamista ha ringraziato «i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia» e «gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine definitivamente alla guerra». Hamas ha poi chiesto ai mediatori internazionali di «costringere Israele ad attuare pienamente i requisiti dell’accordo e a non permettergli di eludere o ritardare quanto concordato». Secondo la Bbc, resta invece fuori dall’intesa la richiesta di Hamas di includere nel piano lo storico leader palestinese Marwan Barghouti, la cui scarcerazione è stata respinta da Israele.
La notizia dell’accordo ha provocato scene di entusiasmo nella Striscia: i media israeliani riferiscono che migliaia di palestinesi sono scesi in strada a Gaza, tra clacson, canti e fuochi d’artificio, dopo l’annuncio del presidente americano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con favore la svolta: «Accolgo con favore l’annuncio di un accordo per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza, sulla base della proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti. Elogio gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia nel mediare questa svolta disperatamente necessaria». Guterres ha poi invitato «tutti gli interessati a rispettare pienamente i termini dell’accordo», sottolineando che «tutti gli ostaggi devono essere rilasciati in modo dignitoso» e che «deve essere garantito un cessate il fuoco permanente».
Intanto, sui social, i familiari degli ostaggi hanno diffuso un video di ringraziamento rivolto a Trump: «Il presidente ce l’ha fatta, i nostri cari stanno tornando a casa», affermano alcuni di loro. «Non smetteremo di combattere finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi». Se i tempi saranno rispettati, la giornata di oggi potrebbe segnare la fine di una guerra durata quasi un anno, costata decine di migliaia di vittime e un drammatico esodo di civili. Un accordo che, nelle parole dello stesso Trump, «è solo il primo passo verso una pace forte e duratura».
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Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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