2020-12-04
Albergatori e ristoratori in rivolta. «È una beffa, non verrà nessuno»
Con i clienti murati nei propri Comuni, aprire le attività sarà inutile. Federalberghi: «In fumo 14 miliardi». Confindustria: «Perso il 90% del fatturato. I ristori? Ridicoli». E per la Fipe è la «mazzata definitiva».C'è da domandarsi se Giuseppe Conte abbia mai sostenuto un esame di geografia, se Roberto Speranza il ministro della Salute, quello del libro fantasma Perché guariremo, affermazione che non trova risposta - che pure viene da una regione non estesa come la Basilicata - conosca l'Italia. C'è da chiedersi se il ministro dei Trasporti, la piacentina Paola De Micheli, o la sua collega agricola Teresa Bellanova, appassionata gourmet, sappiano che non tutte le strade portano a Roma e dove si trovano i migliori ristoranti e alberghi d'Italia. Perché il dpcm di Natale è una barzelletta se visto dalla parte di ristoratori, albergatori, gestori di piste da sci o di negozi che non siano affiliati alle multinazionali dell'e-commerce, sempre più ricche e sempre più esentasse. Stabilisce che ristoranti e alberghi possono restare aperti a Natale, Santo Stefano e primo dell'anno, ma impone il blocco degli spostamenti da Comune a Comune. Gli albergatori parlano di offesa alla dignità, i ristoratori di mazzata definitiva. Ad accorgersi che il governo sta andando alla deriva sono anche 25 senatori del Pd che hanno scritto ad Andrea Marcucci, il loro capogruppo, per chiedere: «Il governo ci ripensi sui divieti di spostamento, così si fa un danno ai cittadini». Ma un danno certo il governo lo fa all'economia: gli alberghi perderanno sui 12 miliardi, i ristoranti 6, gli impianti da sci almeno 8 dei 12 che fatturano durante tutto l'anno, altri 10 se ne vanno per lo stop ai regali, con il vino che solo di mancati brindisi ci rimette 1 miliardo secco. Il conto totale fa 36 miliardi. Non c'è che dire, un bel regalo di Natale con il rischio di mettere sul lastrico almeno 200.000 imprese. Ora, così giusto per saperlo, degli 11 ristoranti tre stelle Michelin solo tre stanno in città al di sopra dei 50.000 abitanti. Un divo dei fornelli come Antonino Cannavaciolo, con la sua Villa Crespi, può contare su una clientela potenziale di 1.262 abitanti, tanti quanti sono quelli di Orta San Giulio. Nadia Santini, che da sei lustri si fregia del massimo riconoscimento gastronomico, ne ha 4.400 di abitanti a Canneto sull'Oglio, Da Vittorio a Brusaporto ha un bacino potenziale di 5.570 clienti e Gianfranco Vissani, ormai il leader riconosciuto delle forchette arrabbiate a Baschi può trovare clienti tra i 2.700 abitanti del paesello umbro. Se si ragiona dei grandi alberghi la faccenda diventa ancora più comica: 929 i potenziali clienti al Sestriere, 3.900 quelli di Positano, non arrivano a 6.000 i cortinesi. Serve sapere queste cifre per capire perché ristoratori, albergatori sono imbufaliti. I primi a protestare sono stati però i presidenti di Regione. Giovanni Toti, che presiede ad interim la conferenza Stato-Regioni, dalla Liguria con un tweet si è chiesto: «Ma chi scrive queste norme ha mai vissuto nella province italiane o solo nelle grandi città? Sa che il nostro Paese è composto da tanti piccoli comuni, uno vicino all'altro e che così separeremo milioni di italiani senza valide motivazioni scientifiche legate alla lotta contro il virus?». Gli ha fatto eco anche un piddino come Michele Emiliano, che dalla Puglia dice: « Il divieto di spostamento tra comuni è surreale». Attilio Fontana dalla Lombardia contesta con durezza i provvedimenti e poi dantescamente dice: Il modo ancor m'offende. La Conferenza delle Regioni ha messo nero su bianco la protesta con una lettera indirizzata a Palazzo Chigi in cui esprime «stupore e rammarico» per il metodo usato nell'approvare il decreto alla faccia di Sergio Mattarella, che ha più volte invitato alla collaborazione. Luca Zaia, presidente del Veneto, è tranchant: «Per il Veneto questo è un mini lockdown, spero che il governo ci ripensi». Non ci sperano più invece le categorie economiche che sono pronte anche a forme di protesta molto forti. Lo dice senza mezzi termini Alessandro Massimo Nucara, direttore di Federalberghi che si è fatto due conti: «Durante le festività riceviamo 19 milioni di clienti che spendono più o meno 730 euro a testa, così vanno in fumo 14 miliardi». Quasi comico è il dpcm per Maria Carmela Colaiacovo, vicepresidente di Confindustria Alberghi: «Ci lasciano fare il room service, cioè portare il pasto in camera. A chi? Non verrà nessuno. Vi immaginate alberghi cinque stelle lusso che possono contare solo sui clienti di Stresa? Stiamo perdendo il 90% dei fatturati, ci promettono ristori per il 10% mentre ad esempio Francia e Spagna hanno coperto fino al 70% delle perdite». La Colaiacovo fa anche i conti delle tasse che sono continuate a correre e dell'impossibilità di gestire così le strutture. Come sottolinea Nucara, di fatto quest'anno il turismo invernale non ci sarà, va in fumo una stagione che solo per gli impianti di risalita vale 12 miliardi. Ancora più severo il commento della Fipe, l'organizzazione dei pubblici esercizi aderenti a Confcommercio, che ha fatto i conti. Dice Aldo Cursano, che è il vicepresidente: «Abbiamo messo a tavola lo scorso anno circa 5 milioni di persone tra Natale e Capodanno. Il dpcm stabilisce che il pranzo di Natale sarà consentito solo nelle zone gialle, quindi nel 30% del Paese. E lì i ristoranti sconteranno circa il 50% dei coperti per il distanziamento. Così passiamo da 5 milioni di clienti a meno di 800.000 potenziali, vuol dire chiudere definitivamente i ristoranti». Se ne vanno in fumo 6 miliardi di incassi. Ma Giuseppe Conte rassicura: questo deve essere un Natale diverso.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.