
Appena eletto Nicola Zingaretti alla guida del Pd, due illustri rappresentanti del mondo di centro hanno espresso il medesimo concetto: «Ora ci sentiamo a casa». Il primo è Enrico Letta che, come Zingaretti, non vede l'ora di assistere alla tumulazione politica di Matteo Renzi e l'altro è Romano Prodi che, a sua volta, è impaziente di completare il suo progetto post euro e magari una volta per tutte di realizzare il sogno del Quirinale.
Tra il dire e il fare ci sono di mezzo le urne, intese come elezioni. Per questo i sogni europeisti del trio possono essere destinati a rimanere tali e a non trasformarsi nell'incubo di chi teme l'avvento proprio di quel tipo di Europa. Zingaretti si è fatto da subito fotografare con un cartello con su il messaggio «Sì Tav» e alla Stampa ha dichiarato: «Torino è diventata il simbolo di una regressione culturale. Da qui dobbiamo ripartire per ridare fiducia al Paese», riferendosi alla necessità di avviare subito l'opera. Per Zingaretti, però, il tunnel non è un elemento di merito, ma uno strumento per agganciarsi all'asse franco tedesco e posizionarsi come seconda ruota di scorta. Il Pd traccia, insomma, la linea: in ginocchio a Bruxelles perché «l'Europa va rifondata. Negli ultimi 15 anni ha perso la missione storica. Proporremo, e non da soli, un salto in avanti». Non più l'Ue dei popoli ma delle persone. «Sia chiaro che i peggiori responsabili della crisi dell'Europa sono Salvini e i suoi amici sovranisti. Il sovranismo è un imbroglio», dichiara il neo segretario sempre alla Stampa con cui si fa sfuggire il lapsus dei lapsus e si definisce favorevole all'Europa a due velocità: «Su intelligence, difesa, grandi reti di comunicazione la Ue a due velocità è necessaria. O pensiamo che ognuno ci pensi per conto suo? L'Ungheria, la Polonia, l'Italia...».
Il breve passaggio della lunga intervista già basta per alzare i cavalli di frisia. La Ue a due velocità è un disegno che sposta il baricentro delle decisioni molto lontano da Roma. La difesa comune, così come viene disegnata da Emmanuel Macron e da Angela Merkel, azzopperebbe la nostra industria degli armamenti. La prima vittima sarebbe Leonardo che finirebbe schiacciata in mezzo a programmi sui quali non avrebbe voce in capitolo. Potremmo al massimo diventare i numeri uno della cantieristica, attraverso Fincantieri, ma vorrebbe dire rinunciare ai cieli dove la tecnologia porta alti ritorni economici.
La Ue che piace al Pd ci vedrebbe in posizioni di retrovia nel comparto bancario che è già pesantemente in crisi e soprattutto rischierebbe di trasformare la Penisola in un mercato di consumo a favore di aziende estere. La gestione dei flussi di investimenti esteri è un'arma geopolitica e si basa su un setaccio delicato da maneggiare con cura. Temiamo che anche il filtro di valutazione, se passasse il progetto di più Europa, sarebbe gestito da Bruxelles. Non a caso ieri il governo gialloblù ha cercato inutilmente e senza troppa incisività di sbarrare la strada al progetto. Il Consiglio Ue ieri mattina ha approvato in via definitiva il regolamento che introduce nuove norme per esercitare un miglior controllo sugli investimenti diretti provenienti da Paesi terzi per motivi di sicurezza o di ordine pubblico. Tutti i Paesi hanno votato in favore, tranne Italia e Gran Bretagna che si sono astenute. «È la prima volta che l'Ue si dota di un quadro così generale», ha dichiarato il portavoce del Consiglio, «mentre i suoi principali partner commerciali hanno già messo a punto norme di questo tipo». La mossa punta a definire un quadro generale su quali siano gli investitori amici e quali i nemici per l'Europa.
Peccato che ciò che vale per Parigi non valga per Roma. In questo modo ci troveremmo a dover sottostare a norme europee su temi delicati come il 5G e altri filoni sensibili che riguardano la cyber security. Se Bruxelles decidesse che certi software devono essere certificati Ue e non Usa, per l'Italia significherebbe dover invertire la rotta atlantica. E su tali filiere passano tanto potere e molti soldi.
Ma il discorso di cessione della sovranità con il Pd di Zingaretti tornerebbe a farsi sentire anche sul tema dell'immigrazione. Ieri il segretario e governatore del Lazio si è recato ad Anagni e ha volutamente scelto di farsi fotografare con operai extracomunitari. Un simbolo, non casuale, camuffato con il «controllo dei flussi». Se poi qualcuno ancora avesse dubbi sulle posizioni del Pd, può semplicemente leggere l'ultimo post della giornata di ieri. «Oggi lunga chiacchierata con Emma Bonino. Dopo molto tempo una bella occasione di confronto sul futuro dell'Europa, sulla democrazia e le future sfide elettorali», ha scritto Zingaretti. «Si continua la prossima settimana con un incontro allargato con +Europa che vuole partecipare alla consultazione europea con il suo simbolo. Ma confrontarsi e trovare punti di battaglia comune». Più Bruxelles e meno Italia.






