
Il Time conta la differenza di battute affidate ai due sessi in ogni film del regista. Per arrivare alla conclusione che se non ci sono uguali righe nella sceneggiatura, significa che siamo in piena discriminazione. È la psicopatologia del politicamente corretto.Il problema, molto probabilmente, sta tutto nel fatto che in giro c'è un sacco di gente con troppo tempo libero. Costoro sono costretti a inventarsi stravaganti attività per consumare le giornate, ed è così che nascono alcune assurde rivendicazioni. Prendiamo il caso di queste firme della prestigiosa rivista Time, Anna Purna Kambhampaty e Elijah Wolfson. Costoro si sono messi a esaminare tutti i film di Quentin Tarantino, allo scopo di calcolare quante battute siano state affidate alle donne e quante agli uomini in ogni sceneggiatura. Scena dopo scena, riga dopo riga, hanno contato le battute di ogni singolo personaggio, compresi quelli minori e quelli che appaiono solo per pronunciare tre parole. Ed ecco che cosa hanno concluso: «I dati mostrano chiaramente che gli uomini hanno ottenuto la maggior parte dei dialoghi nei film di Tarantino. In parte questo è dovuto», spiegano gli autori di Time, «al fatto che nella maggior parte dei film del regista hanno cast a maggioranza maschile. Ma anche i film di Tarantino in cui i protagonisti sono donne tendono ad avere più dialoghi affidati agli uomini. In Kill Bill volume 2, ad esempio, la parte di battute affidate agli uomini all'interno dei dialoghi supera del 17.5% la parte affidata alle donne. In Jackie Brown la percentuale di battute affidate ai maschi supera di addirittura il 39.8% quella di battute delle donne».A dirla tutta, ci sono anche un paio di film tarantiniani in cui le donne parlano più degli uomini. Si tratta di Kill Bill volume 1 e Death Proof. Del resto, entrambi i film hanno protagoniste femmine. Ma solo in Death Proof (in italiano Grindhouse - A Prova di Morte) i dialoghi al femminile sono molto molto superiori a quelli maschili (quasi del 60%). Insomma, il succo è che Quentin Tarantino, nonostante le sue dichiarazioni pubbliche sul Me too e le battaglie femministe, sarebbe alla fine dei conti un misogino. Perché, dopo tutto, ciò che conta è lo spazio concesso ai due sessi: se non ci sono battute uguali, significa che siamo in piena discriminazione.Ora, tutto questo può sembrare una follia, ma tale genere di ragionamenti è piuttosto comune Oltreoceano. Calcoli di questo tipo sono stati fatti anche in altre occasioni. Lo studio più completo è quello realizzato, nel 2016, da Hanah Anderson e Matt Daniels, i quali hanno esaminato la bellezza di 2.000 sceneggiature, vagliandole sulla base dell'età e del sesso dei protagonisti. Che cosa hanno concluso i due? Ovvio: che il cinema hollywoodiano è orribilmente misogino. Nei cartoni Disney come nei blockbuster di maggior successo. «Anche le commedie romantiche hanno dialoghi che sono, in media, al 58% maschili. Ad esempio, Pretty Woman e Dieci cose che odio di te hanno delle donne come protagoniste (ovvero personaggi a cui è assegnato il maggior numero di dialoghi). Ma a livello complessivo per entrambi i film i dialoghi sono al 52% maschili, a causa del numero di personaggi di supporto maschi».Un'altra ricerca, realizzata nel 2017 dalla Usc Viterbi e ripresa sempre da Time, spiegava che i «personaggi femminili ottengono le peggiori battute nei film». Le righe affidate ai maschi erano 37.000 contro le 15.000 affidate alle donne. Non solo. Le battute delle donne risultavano più incentrate su valori e famiglia, mentre quelle dei maschi riguardavano maggiormente sesso e morte. Questo genere di ricerche mostra a che punto sia arrivata la psicopatologia chiamata politicamente corretto. L'idea che le donne debbano avere nei film le stesse battute degli uomini è una follia burocratica che ignora il peso di ogni singola parola e trascura il fatto che si possa cambiare un film con un solo sguardo, anche senza parlare. Mostra però anche un tratto distintivo delle battaglie per i diritti contemporanee. Chi ne beneficia? Dietro le rivendicazioni delle vestali della Mecca del Cinema, dietro le sparate pro donne di alcune celebrità o intellettuali impegnate (vedere per credere la sterile polemica sulla presenza di Roman Polanski alla mostra del cinema di Venezia) si cela in realtà un interesse piuttosto bieco. Lo notano persino femministe più che radicali come Nancy Fraser: certe campagne egualitarie Vip servono a promuovere le carriere di pochissime donne, l'1% che vive sulle spalle del restante 99%. Nel caso dei film, se i dialoghi maschili e femminili fossero pareggiati, a guadagnarne sarebbero soltanto alcune attrici strapagate, non certo le donne normali o le spettatrici. Soprattutto, a perderci sarebbe il cinema. Burocratizzare l'arte o imbrigliarla in ridicoli discorsi sulle minoranze serve solo ad ucciderla.
Bruxelles ha stanziato 11 miliardi ai Paesi sub-sahariani: fondi finiti a chi non aveva bisogno. Corte dei Conti: «Zero controlli».
Emmanuel Macron (Ansa)
Per la prima volta nella storia, quasi l’intera Assemblea francese ha bocciato la legge finanziaria. C’è la concreta possibilità di arrivare a una sorta di proroga che costerebbe 11 miliardi. Nelle stesse ore Moody’s migliorava il giudizio sul debito italiano.
C’era una volta l’Italia pecora nera dell’Europa. Era il tempo in cui Parigi e Berlino si ergevano a garanti della stabilità economica europea, arrivando al punto di condizionare la vita di un governo e «consigliare» un cambio della guardia a Palazzo Chigi (come fu la staffetta tra Berlusconi e Monti con lo spread ai massimi). Sembra preistoria se si guarda alla situazione attuale con la premier Giorgia Meloni che riceve l’endorsement di organi di stampa, come l’Economist, anni luce distante ideologicamente dal centro destra e mai tenero con l’Italia e, più recente, la promozione delle agenzie di rating.
Greta Thunberg (Ansa)
Greta Thunberg prosegue il suo tour da attivista, tingendo di verde il Canal Grande per denunciare un presunto «ecocidio», consapevole che nessun magistrato si muoverà per lei. Luca Zaia tuona: «Sono gesti che rovinano Venezia, necessari interventi».
Se c’è di mezzo Greta Thunberg e il vandalismo viene fatto passare come «grido di dolore» per il pianeta Terra «distrutto dall’uomo», i magistrati tacciono. Forse le toghe condividono lo scempio operato ancora una volta nelle nostre città tingendo di rosso o di verde la Laguna di Venezia, fiumi, laghetti, torrenti.
Giorgia Meloni (Getty)
Oggi vertice a Ginevra tra Ucraina, Stati Uniti e Unione sui punti della pace con Mosca. Troppi soldi e morti: si doveva siglare prima.
È il 1.368° giorno di guerra in Ucraina. Dopo quasi quattro anni dall’invasione della Russia, è il momento cruciale. Pace, ultima chiamata; o finirà adesso questa carneficina o non ci saranno più strade da percorrere. A scrivere le condizioni Stati Uniti e Russia; Unione europea messa con le spalle al muro. Come sempre. Né l’Ucraina, né i Paesi dell’Ue sono stati consultati. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, insieme al primo ministro britannico Keir Starmer, al presidente francese Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco Friedrich Merz, concordano sulla necessità di un «piano alternativo». Merz aggiunge: «Tutti i membri del G20 devono assumersi le proprie responsabilità, non solo per interessi economici». Ma Donald Trump schiaccia Zelensky alle corde.





