
All'epoca dei gialloblù i dem fecero un'interrogazione parlamentare per sapere se il premier era l'avvocato delle spie. Oggi che governano assieme stanno in silenzio. Tanto toccherà a Sergio Mattarella, in visita a Washington, rispondere a Donald Trump sullo Spygate.Fino alla formazione del governo giallorosso c'erano molte questioni sulle quali Pd e M5s sembravano distanti anni luce. Mentre i primi non perdevano occasione per accusare i secondi di incompetenza e cialtronaggine, dal canto loro i pentastellati giuravano solennemente che mai e poi mai si sarebbero accoppiati con il «partito di Bibbiano». Ma come recita il vecchio adagio, se non riesci a sconfiggere il tuo peggior nemico, meglio fartelo amico. Pochi lo sanno, ma una delle divergenze che ha segnato la prima parte della legislatura (quella cioè durante la quale la Lega di Matteo Salvini faceva parte della maggioranza) riguarda per l'appunto il coinvolgimento del governo italiano nel cosiddetto Spygate. Stiamo parlando del filone parallelo al Russiagate, l'inchiesta condotta dall'ex capo dell'Fbi e procuratore speciale Robert Mueller sulle presunte ingerenze russe nel corso della campagna elettorale del 2016 per la presidenza Usa. Tramontata di fatto l'accusa di collusione del presidente Donald Trump con i vertici del Cremlino, l'attenzione si è quindi spostata sul ruolo giocato dall'intelligence occidentale a sfavore dello stesso Trump.Nel corso delle ultime settimane, i lettori della Verità hanno avuto modo a più riprese di leggere in anteprima gli aggiornamenti sulla storia di spionaggio che sta tenendo le due sponde dell'Atlantico (e non solo, se pensiamo che c'è di mezzo anche l'Australia) con il fiato sospeso. Dall'intervista a George Papadopoulos, fino ai collegamenti con la Link campus university, passando per il caso Eyepyramid che ha visto coinvolti i fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero. La reazione nervosa di Matteo Renzi a seguito delle affermazioni rilasciate al nostro quotidiano da Papadopoulos («a causa di questa storia la sua carriera politica verrà distrutta») la dice lunga sul fatto che lo Spygate rappresenta oggi l'elefante nella stanza della politica italiana.Tuttavia, c'è stato un momento nel quale il Pd ha chiesto insistentemente conto al governo del suo ruolo in questa vicenda. Ovviamente parliamo ancora dei tempi del Conte uno, quando ancora cioè gli ex duellanti se le davano di santa ragione. Pochi mesi fa, a maggio di quest'anno, i deputati dem Andrea Romano, Alessia Morani e Anna Ascani (quest'ultima attuale viceministro all'Istruzione) depositarono un'interrogazione scritta rivolta al premier Conte, all'allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini, a quello degli Affari esteri, Enzo Moavero Milanesi, e al titolare del Miur, Marco Bussetti. Citando l'inchiesta condotta da Luciano Capone sul Foglio, i tre facevano innanzitutto notare che «anche l'Italia risulterebbe coinvolta nel cosiddetto Russiagate», e tiravano in ballo il «professore maltese Joseph Mifsud», definito un «personaggio chiave» di tutta la vicenda. Questi, prosegue l'interrogazione, avrebbe «incontrato per la prima volta presso l'università Link campus di Roma il consigliere di Trump, George Papadopoulos, lo stesso a cui avrebbe poi riferito che i servizi segreti russi erano in possesso di «migliaia di email imbarazzanti su Hillary Clinton». Più avanti, Romano e i suoi compagni di partito tornavano su Joseph Mifsud, il quale «sarebbe stato nascosto in un appartamento a Roma pagato da una società della Link, della quale lo stesso Mifsud risulta socio al 35%». Ma non finisce qui: i tre tirano in ballo anche Stephan Roh, l'avvocato di Mifsud, azionista della società di gestione della Link, il quale a sua volta ha dichiarato al Foglio che sarebbe stato Vincenzo Scotti (presidente dell'ateneo) a suggerirgli di presentare Papadopoulos ai suoi contatti russi. Tutti aspetti sui quali i parlamentari del Pd, attraverso questa interrogazione scritta hanno chiesto chiarimenti all'esecutivo. Senza tuttavia, almeno secondo quanto ha potuto verificare La Verità, ricevere alcuna risposta.La sostanza però è un'altra: una manciata di settimane prima che il governo gialloblù finisse la sua corsa, il Pd era pronto a incalzare Conte, Di Maio e Salvini sul presunto ruolo avuto dall'Italia nel filone europeo del Russiagate. Dall'interrogazione appare evidente che la vicenda rappresentava per gli autori, e dunque anche per l'intero partito, un punto decisivo sul quale il premier e i suoi più stretti collaboratori venivano chiamati a chiarire. E oggi che i dem sono al governo con i pentastellati? Possibile che abbiano mollato la presa solo perché l'obiettivo di scalzare la Lega è stato raggiunto e oggi a Palazzo Chigi insieme ai 5 stelle siedono loro? Per qualcuno come Graziano Delrio che invita alla prudenza, ci sono altri come Luigi Zanda secondo i quali «sul Russiagate molte cose non tornano» ed è necessario che «Conte le chiarisca subito». Non è esagerato dire che oggi, in particolare sul ruolo di quello che Lucia Annunziata ha definito «avvocato delle spie», la tenuta dell'asse tra dem e pentastellati rischia di cedere.Difficile pensare che tutti questi aspetti non finiscano al centro della visita del presidente Sergio Mattarella in corso in questi giorni a Washington. Oggi l'agenda prevede un colloquio tra il capo dello Stato e Donald Trump nello Studio ovale. Niente di strano che, a porte chiuse, l'inquilino della Casa Bianca chieda rassicurazioni al Quirinale sull'atteggiamento collaborativo dell'Italia ai fini di un'inchiesta considerata strategica per la sua rielezione. Un altro tema che potrebbe finire in agenda riguarda l'avvio della tecnologia 5G, in particolare dopo che Reuters ha rivelato che la Germania starebbe mettendo a punto regole per non escludere le tecnologie Huawei, e la pubblicazione di uno studio Ernst & Young nel quale si quantificano in 4-5 miliardi gli extra costi (con ricadute anche sui consumatori) per gli operatori in caso di bando per il gruppo cinese.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




