Il presidente Usa parla di tariffe su auto, farmaceutica, chip e alluminio, ma senza indicare una data. Le misure potrebbero essere selettive. Sanzioni a chi fa affari con il Venezuela. Il commissario Sefcovic vola a Washington, ma poi andrà in Cina a chiedere aiuto.
Il presidente Usa parla di tariffe su auto, farmaceutica, chip e alluminio, ma senza indicare una data. Le misure potrebbero essere selettive. Sanzioni a chi fa affari con il Venezuela. Il commissario Sefcovic vola a Washington, ma poi andrà in Cina a chiedere aiuto.Più ci avviciniamo al 2 aprile, il D-Day indicato da Trump per l’avvio dei dazi contro l’Unione Europea e più il clima del commercio mondiale si surriscalda. Ieri il presidente americano ha dato il buongiorno al mondo con un salto di qualità in tema di tariffe: l’annuncio di balzelli del 25% sui Paesi che acquisteranno petrolio dal Venezuela. Insomma, siamo passati dai sovrapprezzi diretti, alla manaccia di un salasso per chi fa affari con un Paese sgradito. «Qualsiasi Stato compri petrolio o gas dal Venezuela», scrive The Donald su Truth Social, «pagherà dazi secondari del 25% per ogni scambio commerciale con noi», a partire dal 2 aprile. Domanda: quale Paese ha oggi profondi scambi energetici con Caracas? Risposta scontata: la Cina. Che soprattutto dal 2023, l’anno in cui le sanzioni Usa verso il Paese sudamericano sono rallentate, ha accelerato gli acquisti. Certo, Pechino è in buona compagnia, perché hanno rapporti con il Venezuela anche India, Russia ed Europa ma l’ennesima mossa a sorpresa della Casa Bianca, come sempre succede, non è casuale e ha un obiettivo bene preciso, mettere pressione su quello che Trump considera il vero avversario geopolitico degli Stati Uniti, Pechino. Ma la vera notizia di giornata arriva da lì a poco. Quando il presidente americano conferma che annuncerà nel prossimo futuro tariffe su automobili, alluminio, semiconduttori e prodotti farmaceutici, senza però indicare una data. Parlando ai giornalisti alla Casa Bianca, Trump spiega che gli Stati Uniti avranno bisogno di tutti questi prodotti realizzati in ambito nazionale, soprattutto se ci saranno problemi.Può sembrare una dichiarazione di guerra, ma la parole del tycoon e la mancata indicazione di una data certa vengono iterpretati da buona parte degli addetti ai lavori come una conferma delle indiscrezioni del Wall Street Journal. Si andrebbe, con Trump il condizionale è d’obbligo verso tariffe più light e su misura. Un approccio selettivo («per alcuni Paesi potrebbero essere inferiori», ha poi precisato) concentrato sulle nazioni con squilibri commerciali «cronici» con gli Stati Uniti, i cosiddetti «dirty 15», come li ha definiti il segretario al Tesoro Scott Bessent la scorsa settimana. Di certo Cina (con cui gli Usa hanno un deficit di quasi 300 miliardi di dollari), Giappone, Corea del Sud, India, Messico (deficit da quasi 175 miliardi), Canada e l’Unione Europea (deficit superiore ai 225 miliardi). Tuttavia, alcuni beni potrebbero essere esclusi, altri rinviati (automobili, prodotti farmaceutici, chip e alluminio). Sarebbe un’ottima notizia per il commissario europeo al Commercio internazionale, Maros Sefcovic, che è partito ieri in viaggio verso gli Stati Uniti dove incontrerà la sua controparte americana Howard Lutnick e il rappresentante al Commercio Jamieson Greer. Nelle intenzioni della Commissione, i colloqui dovrebbero disinnescare la possibile guerra commerciale tra Stati Uniti e Ue. A quanto si apprende a Bruxelles, Sefcovic sarà accompagnato Björn Seibert, il potente capo di gabinetto della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Ma non solo. Perché il commissario ha già programmato una seconda missione, direzione Pechino. Nel fine settimana sarà in Cina per intensificare i rapporti e strizzare un occhio a un Paese che in molti a Bruxelles vedono come il sostituto naturale degli Stati Uniti. Tra gli incontri programmati c’è quello con il titolare del commercio, Wang Wentao. Di sicuro si parlerà di auto, uno dei tarli di Pechino che continua a non digerire le sovrattasse imposte sulle vetture elettriche e una delle merci di scambio potrebbe arrivare da un freno all’enorme mole di prodotti a basso costo che dall’Asia invadono il mercato europeo. Di sicuro Xi Jinping scruta la situazione internazionale e sta provando a insinuarsi nella frattura che si è creata stra gli Stati Uniti e l’Europa.Come ovvio che fosse, anche ieri il tema dazi ha catalizzato l’attenzione dell’agenda della politica economica. Si è passati dalle dichiarazioni più allarmistiche, come quelle di sindacalisti che parlavano di circa 60.000 posti a rischio (in base a quale calcolo è impossibile saperlo), ai moniti più lungimiranti, come quello del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. «Le armi che oggi Trump esibisce, cioè i dazi e quella più insidiosa delle criptovalute per riaffermare il signoraggio del dollaro», ha spiegato il titolare del Mef, «servono a entrare in competizione diretta con la Cina, che questi strumenti già li usa senza sbandierarli. Noi, in Europa, sono tre anni che parliamo in modo accademico dell’euro digitale, senza la capacità di metterlo a terra». Come a dire, facciamo bene a preoccuparci delle tariffe americane, ma dietro ai dazi c’è una strategia precisa, quella che a Bruxelles non esiste.
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