2024-01-14
La produzione è in crisi da 15 anni: in positivo c’è solamente il Nordest
Dal 2007 il valore aggiunto dell’attività manifatturiera è sceso dell’8,4%, in linea con la Spagna, peggio di Berlino e Parigi. Tra i settori più in difficoltà la raffinazione di petrolio, oltre a legno, carta e chimica.L’industria italiana (ed europea) sta affrontando una crisi senza precedenti. A dirlo è una indagine della Cgia di Mestre che spiega come tra il 2007 e il 2022 il valore aggiunto reale dell’attività manifatturiera italiana sia sceso dell’8,4%, un crollo che si giustifica solo in parte con la crisi dell’economia europea perché nel nostro Paese i valori sono in alcuni casi peggiori della media. In Francia, ad esempio, il crollo della manifattura nello stesso periodo di analisi è stato del 4,4%. In Germania il dato è positivo con una crescita del 16,4%. Tra i principali Paesi europei, però, la Spagna, con il -8,9%, ha registrato un risultato peggiore del nostro.«Questi dati», afferma il segretario della Cgia, Renato Mason, «dimostrano che c’è la necessità di mettere a punto una politica industriale di lungo periodo, deregolamentando, dove possibile, per non frenare la crescita e lo sviluppo, con una particolare attenzione al tema».Del resto, come ricorda la Confederazione generale italiana dell’artigianato, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, gli ultimi 15 sono stati gli anni più difficili per la gran parte dei Paesi occidentali. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, la grande recessione del 2008-2009, la crisi dei debiti sovrani del 2012-2013, la pandemia del 2020-2021 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avvenuta nel 2022 hanno profondamente cambiato il volto della nostra economia. In particolare, spiega lo studio della Cgia, il comparto che nell’industria nostrana ha subito la contrazione negativa del valore aggiunto più pesante in questi ultimi 15 anni è stato il coke e la raffinazione del petrolio (-38,3%). Seguono il legno e la carta (-25,1 %), la chimica (-23,5%), le apparecchiature elettriche (-23,2%), l’energia elettrica/gas (-22,1%), i mobili (-15,5%) e la metallurgia (-12,5%). C’è, però, anche chi si è distinto per la crescita. I settori che hanno mostrato una variazione positiva sono i macchinari (+4,6%), gli alimentari e bevande (+18,2%) e i prodotti farmaceutici (+34,4%). Ma, tra tutte le divisioni, la maglia rosa è ad appannaggio dell’estrattivo che, sebbene possegga un valore aggiunto in termini assoluti relativamente contenuto, in 15 anni ha registrato un incremento spaventoso pari al 125%.In tutto questo, non stupisce quindi che ad essere in maggiore difficoltà è il Sud Italia, area del Paese da sempre più in crisi. Non a caso, sempre tra il 2007 e il 2022, il valore aggiunto reale dell’industria del Mezzogiorno è crollato del 27%, quello del Centro del 14,2% e del Nordovest dell’8,4%. Solo il Nordest ha registrato un risultato positivo che ha toccato il +5,9%. A livello regionale sono le imprese della Basilicata ad aver registrato la crescita del valore aggiunto dell’industria più importante (+35,1%). Il risultato, secondo l’ufficio studi della Cgia, è in gran parte ascrivibile agli ottimi risultati conseguiti dal settore estrattivo, grazie alla presenza di Eni, Total e Shell nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro. In seconda posizione si colloca il Trentino-Alto Adige (+15,9%) che ha potuto contare sui buoni risultati del settore agroalimentare, della distribuzione di energia, delle acciaierie e delle imprese meccaniche. In terza posizione, invece, troviamo l’Emilia-Romagna (+10,1%) e appena fuori dal podio il Veneto (+3,1%). Dal quinto posto in poi tutte le regioni italiane presentano una variazione di crescita del valore aggiunto negativa. Le situazioni più critiche si sono verificate in Calabria (-33,5%), in Valle d’Aosta (-33,7%), in Sicilia (-43,3%) e in Sardegna (-52,4%).A livello provinciale, Milano (con 28,2 miliardi di valore aggiunto nominale nel 2021) non sorprende essere l’area più «manifatturiera» del Paese. Seguono Torino (15,6 miliardi), Brescia (13,5 miliardi), Roma (12,1 miliardi) e Bergamo (11,9 miliardi). Delle prime dieci province più industrializzate d’Italia, sette si trovano lungo l’autostrada A4, quella che non a casa collega tutto il nordest italiano. Tra tutte le 107 province monitorate dalla Cgia, quella che tra il 2007 e il 2021 ha registrato la crescita del valore aggiunto industriale nominale più elevata è stata Trieste (+102,2%). Subito dopo troviamo Bolzano (+55,1%), Parma (54,7%), Forlì-Cesena (+45%) e Genova (+39,5%). Ben più preoccupante, invece, la lista dei territori dove le perdite di valore aggiunto sono state più importanti come Sassari (-25,9%), Oristano (-34,7%), Cagliari (-36,1%), Caltanissetta (-39%) e Nuoro (-50,7%).Dai dati, insomma, si intuisce che il problema dell’industria italiana riguarda tutto lo Stivale e anche regioni ritenute ricche del Nord come ad esempio la Valle d’Aosta, elemento che dovrebbe mettere in guardia le istituzioni che devono occuparsi di sviluppare una politica industriale più competitiva che disincentivi le aziende a lasciare il Paese. La crisi, insomma, pare generalizzata e solo il Nordest fa trasparire un barlume di speranza all’interno di un mondo manifatturiero che da tempo ha abbandonato l’Italia per mercati produttivi ben più economici.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.