2020-01-29
Il M5s si spacca in tre: ormai sembra la Dc
Max Bugani, consigliere di Virginia Raggi: «Una fazione vuole rimanere indipendente, una seguire la Lega, una stare con i dem». Decisivi gli stati generali del 13 marzo, però mancano le regole. Gianluigi Paragone: «Niente causa contro l'espulsione: è una casa senza identità».Una che guarda a sinistra, una che guarda a destra, e in mezzo un grande centro a vocazione maggioritaria. Le tre correnti del M5s sembrano la Dc, senza tangenti e senza le simpatie di Cosa nostra, ma anche senza statisti e programmi ambiziosi. Dopo l'ennesima scoppola alle regionali, il Movimento capace di prendere il 32% alle ultime politiche sta implodendo e chissà se arriverà almeno in doppia cifra alle prossime elezioni. Le correnti interne a lungo negate e quasi criminalizzate, ieri sono state ammesse da Max Bugani, capo dello staff di Virginia Raggi, ex socio della piattaforma Rousseau ed ex uomo forte di M5s in Emilia Romagna. Per Bugani, i colleghi sono sempre più divisi tra autonomisti duri e puri, orfani dell'accordo con Matteo Salvini e deputati speranzosi di unirsi sempre più strettamente con il Pd e con Leu. Per capire la portata di una simile ammissione (che ci fossero le correnti si era capito al momento della formazione del Conte bis) basta riportare le secche parole di un post comparso sulla pagina Facebook del Movimento il 30 giugno 2019, quando l'ala sinistra dei Roberto Fico e degli Alessandro Di Battista era già insofferente per il patto con la Lega, accusata di «spolpare» l'alleato, anche per l'evidente divario di carisma e di ritmo tra Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier. «Nel Movimento c'è una sola corrente: quella dei cittadini!», esordiva il proclama social, «Correnti interne o spartizioni di poltrone nel Movimento? No grazie, non siamo il Pd. Continuiamo a leggere di fantasiose ricostruzioni sul fatto che qualcuno stia proponendo posti per cercare una pace interna: è pura mitologia. Se qualcuno non fa altro che chiedere poltrone viene allontanato». Bugani, che finora ha dimostrato che le poltrone le lascia, non le colleziona, ieri ha dunque fatto giustizia della propaganda di questo recente passato. Intervistato da un giornale «cugino» come il Fatto Quotidiano, ha spiegato con estrema naturalezza che il Movimento è spaccato in tre correnti: «C'è chi soffre la distanza da Salvini, chi vorrebbe fare un terzo polo autonomo e chi vuole andare a sinistra». E per spiegare in modo plastico quanta confusione regni sotto quel che resta del cielo grillino, il braccio destro del sindaco di Roma ha anche ammesso che una strada precisa ancora non c'è: «Nell'ultimo anno e mezzo non si è voluta guardare in faccia la realtà. Ognuno voleva un M5s fatto a sua immagine e somiglianza. Oggi il M5s non sa più dove andare». E Bugani ha anche ammesso che tutte e tre le strade sono legittime, perché «nessuno ha mai chiesto agli attivisti dei 5 stelle quale dovesse essere la rotta».L'occasione giusta dovrebbero essere gli stati generali del 13-15 marzo, una specie di congresso pentastellato, ma il problema è in che atmosfera e in che stato d'animo ci si arriverà. Luigi Di Maio, al di là della piccola astuzia di abbandonare il ruolo di capo politico di M5s prima del tracollo di domenica (ma va detto che era contrario a correre tanto in Calabria quanto in Emilia Romagna), ha lasciato momentaneamente il campo perché stremato fisicamente. Ma non è escluso che si ripresenti, da solo o con Stefano Patuanelli, come leader ancora una volta del corpaccione indipendentista del Movimento, e a patto di ottenere un piccolo passo indietro della Casaleggio&Associati dalla gestione delle cose anche più minute del Movimento, come le candidature e la rendicontazione finanziaria dei deputati. Ma alla fine è anche possibile che sia il solo Patuanelli a raccogliere la croce da «Giggino 'a marachella», come lo chiamano gli amici campani. Carlo Sibilia, voce sempre critica, invece chiede che ci sia un comitato di reggenti, perché la situazione è troppo delicata e un leader solo rischierebbe di perdersi per strada due correnti su tre. Limare le unghie a Davide Casaleggio è nei fatti anche il progetto della sinistra interna, rappresentata da Fico, presidente della Camera, dal «solito» Di Battista, da Nicola Morra, presidente dell'Antimafia, dal ministro Federico D'Incà e molti altri a Montecitorio. Formalmente, e per evitare strappi e accuse di mancanza di gratitudine, si tratta di mettere mano alla statuto del Movimento riportando dentro il partito alcune funzioni. Poi, certo, c'è anche il contenuto politico: ai grillini di sinistra proprio non vanno giù la politica dell'immigrazione della Lega, qualche strizzata d'occhio a Casa Pound e dintorni e le uscite anti euro. Sul fronte destro del partito, invece, bastano due temi a scaldare gli animi contro l'abbraccio mortale del Pd: i rapporti troppo stretti con le banche e la timidezza nei confronti della famiglia Benetton e delle concessioni autostradali che l'ex ministro Danilo Toninelli e Di Maio stesso volevano spezzare con una revoca totale. Gianluigi Paragone ha annunciato che non farà causa contro l'espulsione perché il partito ha già deciso di andare «di là» e ha aggiunto: «Siccome quella causa rischio di vincerla, cosa faccio? Rientro in una casa che è senza identità?».Certo, aiuterebbe il confronto se almeno si conoscessero le regole che governeranno gli stati generali, come osservano sotto garanzia di anonimato un paio di senatori vicinissimi a Beppe Grillo. E intanto, il comico genovese è costretto ad annullare le prossime due date (Palermo 28 febbraio e Catania il giorno dopo) del suo tour Terrapiattista. Lo ha annunciato via Facebook, spiegando che non riesce «a lavorare e riposare correttamente per colpa di apnee notturne». Lui almeno ce le ha solo di notte.
Donald Trump (Ansa). Nel riquadro il suo post pubblicato su Truth con cui ha annunciato il raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas
Nella notte raggiunto l'accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri. Il presidente americano: «Giornata storica». Le truppe israeliane lasceranno la Striscia, tranne Rafah. Guterres: «Tutti rispettino l’intesa».
È stato Donald Trump, poco prima dell’una italiana, ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano al gruppo islamista. «Sono molto orgoglioso di comunicare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace», ha scritto il presidente americano su Truth, definendo quella di oggi «una giornata storica».
Secondo le prime ricostruzioni dei media israeliani, la firma ufficiale dell’intesa è prevista alle 11 italiane. L’accordo prevede il ritiro dell’Idf, l’esercito israeliano, da gran parte della Striscia di Gaza, con l’eccezione di Rafah, e il rilascio degli ostaggi sopravvissuti entro la fine del fine settimana, probabilmente tra sabato e domenica. Il piano, frutto di settimane di mediazione tra Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia, stabilisce anche la liberazione di circa duemila detenuti palestinesi in cambio del rilascio dei prigionieri israeliani. Lo scambio dovrà avvenire entro 72 ore dall’attuazione dell’accordo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la notizia in un comunicato del suo ufficio, parlando di «una conversazione molto emozionante e calorosa» avuta con Trump subito dopo l’annuncio. «I due leader si sono congratulati per lo storico risultato ottenuto con la firma dell’accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi», si legge nella nota. Netanyahu ha ringraziato Trump «per la sua leadership e per gli sforzi a livello globale», ricevendo a sua volta le lodi del presidente americano per «la sua guida determinata». Trump, parlando poi con Axios, ha rivelato di aver ricevuto un invito ufficiale a recarsi in Israele. «Probabilmente nei prossimi giorni visiterò il Paese e potrei rivolgermi alla Knesset. Vogliono che tenga un discorso, e se lo desiderano, lo farò sicuramente», ha detto. E ha aggiunto: «Per raggiungere questo accordo si sono uniti gli sforzi di tutto il mondo, compresi Paesi ostili. È un grande risultato. La mia chiamata con Netanyahu è stata fantastica, lui è molto contento, e dovrebbe esserlo». In un altro messaggio pubblicato sui social, il presidente americano ha voluto ringraziare i mediatori regionali: «Tutte le parti saranno trattate equamente. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America. Benedetti gli operatori di pace!».
Da Gaza, Hamas ha confermato la propria adesione, sottolineando che l’accordo «prevede la fine della guerra, il ritiro dell’occupazione, l’ingresso di aiuti e uno scambio di prigionieri». Il movimento islamista ha ringraziato «i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia» e «gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine definitivamente alla guerra». Hamas ha poi chiesto ai mediatori internazionali di «costringere Israele ad attuare pienamente i requisiti dell’accordo e a non permettergli di eludere o ritardare quanto concordato». Secondo la Bbc, resta invece fuori dall’intesa la richiesta di Hamas di includere nel piano lo storico leader palestinese Marwan Barghouti, la cui scarcerazione è stata respinta da Israele.
La notizia dell’accordo ha provocato scene di entusiasmo nella Striscia: i media israeliani riferiscono che migliaia di palestinesi sono scesi in strada a Gaza, tra clacson, canti e fuochi d’artificio, dopo l’annuncio del presidente americano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con favore la svolta: «Accolgo con favore l’annuncio di un accordo per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza, sulla base della proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti. Elogio gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia nel mediare questa svolta disperatamente necessaria». Guterres ha poi invitato «tutti gli interessati a rispettare pienamente i termini dell’accordo», sottolineando che «tutti gli ostaggi devono essere rilasciati in modo dignitoso» e che «deve essere garantito un cessate il fuoco permanente».
Intanto, sui social, i familiari degli ostaggi hanno diffuso un video di ringraziamento rivolto a Trump: «Il presidente ce l’ha fatta, i nostri cari stanno tornando a casa», affermano alcuni di loro. «Non smetteremo di combattere finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi». Se i tempi saranno rispettati, la giornata di oggi potrebbe segnare la fine di una guerra durata quasi un anno, costata decine di migliaia di vittime e un drammatico esodo di civili. Un accordo che, nelle parole dello stesso Trump, «è solo il primo passo verso una pace forte e duratura».
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Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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