2018-08-23
Gros Pietro, da ombra di Prodi a Mr Telepass
Al vertice dell'Iri, su mandato del Professore inaugurò le svendite di Stato. Due anni dopo la cessione di Autostrade ai Benetton, entrò in Atlantia come presidente. Finita con i veneti, cambiò casello accasandosi con i Gavio. L'ultima poltrona dorata è in Intesa.Ha un omonimo del Quattrocento, minore francescano che censurava i facili costumi delle donne e del suo tempo: un moralista! Il frate in questione è tal Pietro dei Gros. A cambiare l'ordine dei fattori a volte qualcosa cambia. Ecco Gros Pietro di cognome e Gian Maria di nome. Professore di economia aziendale, di professione presidente di tutto. In segreto magari è anche terziario francescano, di certo è cresciuto all'ombra delle sacrestie democristiane: il suo mentore era Carlo Donat Cattin, il suo vettore la Cisl. Torinese del 1942, era una delle teste d'uovo della corrente democristiana di sinistra industrialista opposta alla corrente dossettiana incarnata da Beniamino Andreatta e che ha avuto come braccio armato Romano Prodi. I due, Prodi e Gros Pietro, hanno viaggiato di conserva e il torinese con la sua faccia da parroco che profuma di borotalco è stato il succhiaruote del bolognese che lo portò alla presidenza dell'Iri nel 1997. Nel 1999 vendette Autostrade ai Benetton, nel 2002 diventò presidente di Atlantia dove è rimasto fino al 2010, assicurando agli industriali veneti profitti da capogiro, circa 8 miliardi in 8 anni, allungamenti di concessioni come ad esempio quella per la Livorno-Civitavecchia, autostrada inesistente per la quale però ricevono un bonus sui pedaggi per gli investimenti futuri e molto incerti.Gros Pietro, ancorché riciclatosi come banchiere, è l'ultimo grande boiardo di Stato, una specie che abita il Jurassic park dell'economia, ma che fa un gran comodo ai «prenditori» che se ne stanno all'ombra di Confindustria. Dotato d'intelletto fino, ha sempre fatto credere di avere doti evangeliche: puro come una colomba, scaltro come un serpente. Se Prodi ha scelto di stare sotto i riflettori della politica, Gros Pietro ha optato per le prebende dei consigli di amministrazione. Chiunque abbia un conto corrente con Intesa San Paolo e le sue infinite ramificazioni locali dovrebbe sapere che è il presidente del Consiglio di amministrazione della più potente banca italiana che lo retribuisce con circa 900.000 euro all'anno. Ma è stato praticamente tutto e il contrario di tutto. Ha presieduto l'Eni, fatto parte del Cnel e per il Cnr, si è occupato delle politiche industriali del Paese. Prima ha incoraggiato l'industria di Stato anche in funzione di ammortizzatore sociale: da Taranto a Bagnoli arrivando alla Sme, Gros Pietro ha sempre magnificato l'Iri. Poi però quando Prodi lo ha voluto nel comitato privatizzazioni, si è sperticato a favore della necessità di vendere il patrimonio pubblico per approdare all'euro.Da ricercatore diceva che il Paese ha un grave deficit infrastrutturale, da presidente di Federtrasporti e di Autostrade disse che non si poteva fare di più. Ma il florilegio di Gros Pietro è la dichiarazione, da presidente dell'Iri, che avrebbe superato in privatizzazioni sia Francia che Germania portando all'Italia 100.000 miliardi di lire e poi svendette Autostrade per meno di 6,7 miliardi di euro, consentendo ai Benetton di pagarla a rate e sostanzialmente facendo indebitare Autostrade con un'operazione che tecnicamente si chiama leveraged buyout . Ma una ragione, come abbiamo visto, c'era. Oggi siede nel board dell'Abi, è presidente di Stm (da cui ricava circa 360.000 euro), la cassaforte di famiglia dei Gavio, i terzi più potenti concessionari di autostrade d'Europa: 4.100 chilometri «protetti» dai governi di centrosinistra e dalle omologhe amministrazioni piemontesi. Gros Pietro ha un debole per le corsie, soprattutto quelle preferenziali. Da presidente dell'Iri ha venduto, nel 1999, alcune autostrade ai Benetton e dopo due anni è diventato presidente di Atlantia e quando ha lasciato, nel 2010, si è accasato con i suoi conterranei Gavio, anch'essi beneficiari del gran lavoro di lobby fatto da Gros Pietro che da quel momento è noto nell'ambiente come Mr Telepass. Quando i Benetton gli dettero il benservito non la prese benissimo. Sospettò che ci fosse dietro Romano Prodi, suo ex sponsor, continuando una lite cominciata quando il «Bologna» era presidente del Consiglio. In verità i Benetton, amici della sinistra delle buone azioni, quelle di Borsa, hanno scaricato Gros Pietro perché dovevano fare posto ad altri rampanti: in particolare a Giovani Castellucci, un marchigiano di Senigallia e dunque gabelliere per costituzione. Dice il proverbio «meglio un morto in casa che un marchigiano all'uscio», ricordando quando erano esattori del Papa, e Gros Pietro lo ha imparato a sue spese perché con Castellucci - uscito di scena da Atlantia anche Vito Gamberale - si è fatta la tanto agognata fusione con Abertis.Oltre a quelle preferenziali il nostro colleziona anche le corsie presidenziali. È al vertice dall'università di Confindustria Luiss e di un'altra decina di consigli di amministrazione. Uno in particolare è interessante: Nomisma. È il think thank creato a Bologna da Romano Prodi e dopo la furiosa litigata che ha tenuto divisi i due professori democristiani nessuno ha capito come mai Gros Pietro abbia preso in mano la leva del comando in Strada Maggiore. Evidentemente deve essere riuscito a restaurare il ponte con il Professore che nel 2006 era crollato per colpa di un'autostrada. Era il 2006 e Gros Pietro stava agendo in tutti i modi per fondere Atlantia con Abertis, che possedeva le autostrade spagnole oltre ad una fortissima presenza in America latina, dove i Benetton volevano arrivare. A fare da prologo il fatto che Autogrill - ogni rustichella che mangiate ingrassa i trevigiani e ora forse vi verrà più facile fare una deviazione per andare in trattoria o partire riforniti da casa - avesse conquistato la rete di «ristoranti» autostradali in Spagna. Antonio Di Pietro, allora ministro delle Infrastrutture e Trasporti, si mise di traverso e Prodi premier non riuscì a spianare la strada al suo ex amico e pupillo Gros Pietro. Che per tutta risposta accusò il governo di miopia e protezionismo. C'era in ballo anche il suo stipendio da un milioncino di euro. Quattro anni dopo i Benetton lo hanno scaricato e hanno proseguito verso la fusione con Abertis. Che a Gros Pietro ha creato anche il rinfocolarsi di un'antica inimicizia: quella con Giancarlo Elia Valori che era presidente di Autostrade quando venne privatizzata. Valori ha una rete interazionale di rapporti e rappresenta la faccia opposta a Gros Pietro: la sua rivincita l'ha avuta perché oggi se ne sta in fondazione Abertis facendo da mediatore tra i Benetton e Florentino Peres. Ai Benetton, però, Gros Pietro - anche se non riuscì a chiudere con Abertis - ha portato in dote il decadere del veto d'ingresso nell'azionariato di Autostrade di costruttori (Il presidente del Real Madrid lo è) e di produttori di veicoli, la blindatura della concessione e soprattutto ha tolto all'Anas il potere di controllo. È l'argomento forte dei Benetton in questo momento contro il premier Giuseppe Conte che gliela vuole revocare.A chiudere il cerchio della mirabile carriera di Gros Pietro mancava il credito. Ed eccolo finalmente al posto di Giovani Bazoli, il deus ex machina della finanza cattolica per mezzo secolo e il contraltare di Enrico Cuccia nella stagione d'oro del capitalismo familiare.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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