2025-03-29
La Biancaneve woke è una sciagura. Il flop costa carissimo alla Disney
Rachel Zegler è Biancaneve
Protagonista mulatta, principe senza titolo, nani digitali e trama stravolta: non si salva proprio nulla nel film che fa a pezzi la fiaba dei Grimm. E adesso la casa di produzione, già in crisi, si lecca le ferite.Un capolavoro di revisionismo cinematografico. Una summa di wokismo per i bambini del pianeta. Infine, un discreto flop al botteghino, accompagnato da uno tsunami di polemiche. È il remake di Biancaneve targato Disney; senza i sette nani nel titolo e vedremo perché. Un kolossal con attori in carne e ossa, firmato da Marc Webb e costato 270 milioni di dollari. Addirittura 350 per il New York Times, a causa dei rinvii per il Covid e degli scioperi degli studi contro l’avvento dell’intelligenza artificiale.Chissà che cosa staranno facendo i fratelli Jakob Ludwig Karl e Wilhelm Karl Grimm nelle loro tombe nel cimitero vecchio di San Matteo a Berlino. È noto invece il pessimo umore che turba i manager del marchio di Topolino per i modesti incassi del primo weekend di programmazione. Appena 43 milioni negli Stati Uniti e 44 nel resto del mondo (oltre 2 milioni di euro in Italia) che fanno 87 in totale: molti meno dei 100 previsti dalle stime al ribasso della produzione. Così, ora, nella major già provata dai tagli di personale - 7.000 lavoratori licenziati nel 2023 soprattutto per i flop delle opere «impegnate», più altre centinaia nel 2024 (nei parchi a tema, Espn, Disney Entertainment e Pixar) - si è scatenata la ricerca dei colpevoli.Lungi dal mettere in discussione il politicamente corretto che stravolge uno dei maggiori classici della letteratura per l’infanzia, il capro espiatorio è stato trovato nell’attrice protagonista, la colombiana Rachel Zegler, colpevole di aver postato critiche alla fiaba originale, espressioni anti-Trump e pro Palestina. «Ho lasciato che le mie emozioni prendessero il sopravvento», ha ammesso lei, scusandosi. Ma ciò non è bastato a frenare le contestazioni di Gal Gadot, l’attrice israeliana che interpreta Grimilde. Insomma, mamme e bambini di mezzo mondo avrebbero risposto tiepidamente perché le interpreti di Biancaneve e della regina cattiva sono schierate su fronti opposti nella guerra in Medio Oriente. Un discreto alibi per i vertici Disney.Parecchi critici hanno, invece, idee diverse. Soprattutto le hanno gli spettatori che si sono espressi su Imdb (Internet movie database), la piattaforma che misura le valutazioni di film, serie e videogame, attribuendo a Biancaneve una classificazione di 2,0/10 che, al momento, è in assoluto la peggiore a livello mondiale dell’ultimo decennio.È giustificata una stroncatura tanto spietata? Purtroppo sì. La più intoccabile delle favole raccontata in forma di musical a metà tra il femminismo a buon mercato di Paola Cortellesi - «Biancaneve era la colf dei sette nani» - e il revisionismo da Metoo di Roberto Barbolini - «Il principe azzurro è un molestatore» - non può che aizzare la rivolta.La prima storpiatura si ha sull’origine del nome. Mentre nella versione dei fratelli Grimm la mamma desidera una bambina con pelle candida come neve e labbra rosse come il sangue, qui il nome deriva dalla tempesta invernale che accompagna la sua venuta al mondo. L’escamotage è perfetto per dare alla protagonista interpretata da un’attrice latinoamericana, una carnagione, seppur lievemente, ambrata. Con tanti saluti al suo candore e all’idea di purezza.La seconda trovata è l’abolizione del principe azzurro, in odore di prevaricazione e mascolinità tossica in quanto protagonista del bacio che la riporta in vita. Al suo posto troviamo tal Jonathan, capitano del popolo del bosco, ovviamente multietnico e inclusivo. Una sorta di Robin Hood che ruba dalle dispense del castello per sfamarsi insieme ai poveri. Tra una fuga dalle segrete e una difesa di Biancaneve dalle guardie, sboccia il sentimento che si compirà in quel bacio, ora sì giustificato e paritariamente condiviso.Condivisi sono anche i lavori domestici nel rifugio dei sette nani. Qui non è lei a svolgerli in cambio dell’ospitalità e del cibo. Ma, tramutata in una specie di Mary Poppins, istruisce i padroni di casa su come rigovernarla danzando e fischiettando malgrado siano reduci dalla giornata in miniera. Più che una situazione fiabesca, è una forzatura. Ancor peggio la decisione della Disney di ricorrere alla computer grafica per rappresentarli. Le proteste degli attori affetti da nanismo non si sono fate attendere: «Ci avete discriminato. Se non possiamo neanche interpretare i sette nani che cosa facciamo?», ha dichiarato Choon Tan, artista e culturista londinese. «La decisione di utilizzare l’intelligenza artificiale è piuttosto stupida», gli ha fatto eco l’attore australiano Black Johnston. «Ci sono un sacco di attori nani che muoiono dalla voglia di interpretare ruoli come questi. Io ho sempre sognato di fare Cucciolo, uno dei personaggi più adorabili. Penso che la Disney abbia ceduto alla pressione del politicamente corretto». Insomma, l’idea di «evitare di rafforzare gli stereotipi» anche cancellando i sette nani dal titolo, si è rivelata un boomerang.Ultima gigantesca correzione ai fratelli Grimm è il finale di tutta la storia. Anziché andarsene felice e contenta con Jonathan, Biancaneve torna al castello per spodestare la regina cattiva e ripristinare l’ordine. Ma nel sermone che fa improvvisamente ricordare ai sudditi multietnici quanto stavano bene prima, sorprendentemente non parla di inclusività e resilienza, ma ci va molto vicino. Sembrava che i massicci licenziamenti degli ultimi due anni dovuti ai flop di kolossal come Strange world e Wish avessero convinto la Walt Disney company ad abbandonare le storie intonate alla cultura woke. Invece, con questa Biancaneve, uno dei pochi marchi ad aver respinto l’invito dell’amministrazione americana a disdire l’adesione ai codici Dei (Diversità equità inclusione), ha voluto ribadire la sua linea progressista e corretta.Alla prossima fake fable.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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