
A Roma si è festeggiato l’anniversario della nascita di Israele la scorsa settimana. Lunedì è stata la volta di Milano. Il neo ambasciatore in Italia, Alon Bar, ha ripristinato le vecchie tradizioni interrotte dal Covid e dal lockdown. Nel capoluogo lombardo ha incontrato la comunità ebraica, i vertici della Regione, Attilio Fontana, e si è recato in stazione Centrale per inginocchiarsi al Memoriale della Shoah, il binario 21. Abbiamo incontrato il rappresentante dello Stato di Israele per condividere alcuni temi di attualità e parlare di Mediterraneo.
Da quando si è insediato, sono cambiati governi sia in Israele sia in Italia. Il primo ministro Netanyahu è stato a Roma, uno dei pochissimi Paesi che ha visitato dopo l’elezione. Tajani e La Russa hanno visitato Israele. Il presidente della Knesset, Amir Ohana, e il titolare dell’innovazione, Ofir Akunis, sono volati qui. Incontri frequenti. Vede la possibilità di stringere ulteriori legami tra i due Paesi?
«Credo abbiamo già oggi ottimi rapporti. Ma sono convinto che l’agenda che i nostri Paesi stanno mettendo a terra fornirà ulteriori occasioni. Ad esempio si sta lavorando a un meeting intergovernativo che si terrà in Israele dopo l’estate con una delegazione italiana guidata dal presidente Meloni. Inoltre ci sono tre temi che ci accomunano. Sono l’acqua, l’energia e la sicurezza».
Sul primo tema a giugno è previsto in Puglia un summit con le vostre aziende: di che tecnologia si parla?
«La questione è condividere tecnologia idonea a gestire la desalinizzazione. Ma c’è tanto altro. Si sta lavorando a stretto contatto con il ministero dell’Università anche per mettere a terra diversi progetti che l’Italia ha inserito nel Pnrr. Inoltre, non sto a citare la questione del gas e delle energie rinnovabili. Possiamo dire che, nel quadro più allargato del Mediterraneo, se l’Italia cerca Israele anche Israele cerca l’Italia. In un rapporto proficuo che mira a mettere in sicurezza il Mare Nostrum».
A proposito di sicurezza e terrorismo, ritiene che il nostro Paese debba affrontare la questione del Mediterraneo sfruttando nuove tecnologie nell’underwater?
«Personalmente non sono un grande esperto del tema del dominio sottomarino. Tra le nostre intelligence e comparti di sicurezza, in generale, esistono ottime relazioni e penso che coinvolgano già quanto accade sotto e sopra il mare. Vale anche per le nostre Marine militari. La sicurezza del Mediterraneo è ovviamente una nostra priorità, e vedo che è un imperativo anche per Roma. Immagino si tradurrà in ulteriore partnership. Cito quella della Guardia di Finanza, che potrà aiutare tutti i Paesi a contrastare i movimenti del terrorismo jihadista, tracciandone i flussi di denaro e le scatole finanziarie».
Passando a temi più politici. Da oltre quattro mesi in Israele ci sono manifestazioni di piazza e proteste contro le riforme avviate dal governo Netanyahu. La stampa italiana ne ha dato grande risalto. A chi ha descritto Israele come un Paese spaccato in due e sull’orlo della crisi che cosa risponde?
«Capisco l’interesse per il nostro Paese. Israele è in effetti una nazione interessante e che ha sempre ampia eco. Ma questa è la nostra cultura di confronto e pluralismo politico. Da una ventina di settimane stiamo assistendo a varie manifestazioni sia contro che a favore dell’attuale governo. C’è stato qualche episodio di violenza, ma statisticamente irrilevante. Il resto è manifestazione pacifica. È la base della democrazia: spetta poi a noi trovare una sintesi delle diverse posizioni. D’altronde siamo un Paese nato da interessi diversi tra loro, e spinte che sembrano contrapposte. Lo viviamo come dinamismo».
La Rappresentanza Ue in Israele ha cancellato la cerimonia diplomatica prevista per la festa dell’Europa, alla quale avrebbe dovuto partecipare il ministro alla Sicurezza, Itamar Ben Gvir. L’Ue l’ha accusato di contraddire i valori del Vecchio Continente. Cambieranno le relazioni?
«La notizia di per sé mi ha sorpreso. È vero noi abbiamo valori in comune. Ma ero convinto che consistessero nell’affermare reciprocamente che noi eleggiamo i nostri rappresentanti e voi i vostri. Poi ciascuno rispetta le scelte degli altri. Gvir è stato eletto dal popolo. La Ue lo accetti e poi, come si fa sempre in democrazia, si avvia un percorso di dialogo. Anche di critica, per carità. In caso contrario mi viene da dire: se Bruxelles non dovesse gradire il governo Meloni, si metterebbe a cambiarlo? Mi risulta che sia stato eletto dal popolo...».
Beh, allora a quali valori comuni fa riferimento la Rappresentanza?
«Per rispondere a questa domanda bisognerebbe chiederlo direttamente all’Ue. Anche se va notato che Bruxelles frequenta spesso molti dei nostri vicini di casa, e allora giro io la domanda: quali valori di democrazia hanno in comune con loro?».
A proposito di rappresentatività, lei conosce bene le dinamiche dell’Onu, visto che per anni per conto del ministero degli Affari esteri si è dedicato alle organizzazioni internazionali. In merito alla tematica palestinese, crede che la posizione dell’Italia in sede Onu possa cambiare? Mi riferisco al fatto che a Roma adesso c’è un governo di centrodestra.
«Da diversi anni Israele viene discriminato sistematicamente nelle sedi Onu. Per principio. Questa posizione politica non fa bene all’Onu né alla causa dei palestinesi che ne escono in ogni caso strumentalizzati. Per quanto riguarda Roma, vediamo dei cambiamenti. Credo che i buoni rapporti tra i due governi e anche il fatto che condividano numerosi principi possano aiutare un cambio di passo all’Onu. Principalmente per il bene dell’organizzazione che così potrà recuperare credibilità ed essere più efficace».
A proposito, l’altro giorno Abu Mazen ha chiesto la vostra sospensione dal Palazzo di Vetro. Invece, lei vede spunti concreti nella prossima agenda?
«Ad esempio un modo concreto per mettere l’Onu su una nuova strada c’è. Il 24 maggio sarà votata una risoluzione avviata dall’Oms sulle condizioni di salute dei palestinesi e di chi vive nel Golan. È l’ennesima mossa pretestuosa e sembra, come al solito, una scelta politica. Ecco, questa sarà la prossima tappa in agenda anche per la diplomazia italiana».
Passando alla politica estera, crede che in caso di sconfitta di Erdogan la Turchia possa avvicinarsi all’Europa o possa cambiare la politica verso Siria e Libano?
«Non abbiamo indicazioni in questo senso. So che i rispettivi ambasciatori proseguono nel lavoro di stabilizzazione dei rapporti e quindi della regione».