2019-07-25
Renzi finge di picconare il governo. In realtà l’obiettivo è demolire il Pd
Il Bullo accusa «membri della segreteria» vicini a Nicola Zingaretti di avergli impedito l'intervento in Senato e i suoi fedelissimi incalzano: «È il nostro miglior comunicatore». Per l'autopromozione affossa il partito. Nel giorno in cui poteva spaccare il governo, Matteo Renzi sceglie (con successo) di spaccare il Pd. Missione compiuta. Renzi riesce in questo capolavoro mediatico alimentando il circuito polemico (sostenendo che imprecisati «membri della segreteria vicini a Zingaretti» non fossero contenti della possibilità di un suo intervento in Senato), e lo fa creando uno scandalo e annunciando platealmente che rinuncia lui a parlare in Aula (quindi glielo consentivano). Nel contempo Renzi, nella serata di ieri, dopo averla pubblicizzata con questo strappo attiva una diretta Facebook in cui dice di voler dire quello che avrebbe detto in Aula. Roba da far venire il mal di testa, un genio dell'autopromozione. La diretta dell'ex premier va in onda alle sette di sera, una cosa a metà tra la solita chat e l'invettiva, tra il riciclaggio del discorso (che forse aveva già scritto) e il meglio dei suoi tweet. Chi era che non lo voleva far parlare? Mistero. Ma non conta: come un parassita ospite di un corpo da cui drena energie, da mesi l'uomo che fu un leader da 40%, un golden boy, un rottamatore, un autocrate, un premier di successo, si è ridotto a rubare lo spazio di luce del Pd per trovare a ritagliarsi la visibilità che ha perso. Cannoneggia la segreteria per attrarre i giornali. Lo ha fatto la settimana scorsa prospettando (via Twitter e via Maria Elena Boschi) una mozione di sfiducia che non era stata discussa con nessun organo dirigente. Lo ha fatto un anno fa, quando fece saltare l'accordo di governo con una comparsata da Fabio Fazio, e senza nemmeno andare a parlare negli organismi del Pd. Lo ha fatto ieri. Nel giorno in cui Salvini schiva il caso Russia e Di Maio ha le sue rogne da grattare sulla Tav, i giornali parlano della sinistra solo per riferire questo strappo. Ed è quasi normale che il povero Nicola Zingaretti si dica incredulo: «Francamente non capisco, è una polemica insensata». Troppo tardi. Ovvio che di fronte a questa obiezione Renzi risponda con l'altra sua storica arma: il vittimismo. Aveva scritto: «Penso che ci sia chi continua ad attaccare il Matteo sbagliato, ma penso anche che non valga la pena dividersi su questo: sarò in aula ad applaudire il collega che parlerà a nome del Pd. E poi alle 19 farò una diretta Facebook». Un bel pasticcio. Nel pomeriggio di ieri i fedelissimi avevano provato a difendere il capo. Ad esempio Michele Anzaldi, l'ex portavoce: «Renzi rinuncia a intervenire dopo le polemiche nel Pd. Qualcuno ha parlato di metodo, allora ci dicano di che metodo si tratta se l'ex premier, ex segretario, senatore della commissione Esteri, il più bravo comunicatore che abbiamo non deve intervenire in una giornata come questa». E poi l'ex sottosegretaria del suo governo, Teresa Bellanova, con un tweet rilanciato dalla vicepresidente al Senato del Pd Simona Malpezzi (tutta gente che rischia di non tornare in parlamento senza la tutela dell'ex segretario). «Noi abbiamo un ex presidente del Consiglio, senatore, invitato in tutto il mondo a fare conferenze. E un governo pericoloso che mente su tutto, creando danni al Paese. Ora il problema del Pd può essere se Matteo Renzi debba o non debba parlare in Aula? Ma cosa siamo diventati?». Più ecumenico Carlo Calenda, che non si schiera nella disputa: «Capite perché non si può andare avanti così. Perché abbiamo bisogno di un luogo dove Renzi, Gentiloni, Zingaretti etc si incontrino e si confrontino», scrive. Una pantomima fantastica, se è vero che Zingaretti non aveva mai detto che Renzi non avrebbe dovuto parlare. Tanto più che il capogruppo al Senato, unico arbitro nella calendarizzazione degli interventi d'Aula era e resta Andrea Marcucci, un fedelissimo renziano. È in effetti costernato pure Marcucci stesso, che finisce di ritrovarsi fra l'incudine e il martello: «C'è una indole autolesionistica che ci spinge spesso a dividerci». Ma poi accusa anche il partito «di voler spingere all'angolo alcuni esponenti della minoranza». Quando Zingaretti chiarisce la diatriba, è troppo tardi per fermare l'alluvione dei i titoli online e la febbre dei social: «Ho parlato ieri con il capogruppo al Senato assicurando pieno sostegno e totale autonomia al gruppo e nessun problema rispetto a qualsiasi scelta si sarebbe fatta», ricostruisce il segretario: «Mi risulta che dopo la discussione fossero tutti d'accordo». E sull'intervento di Renzi aggiunge: «Che poi in un gruppo parlamentare diventi lesa maestà discutere su chi deve intervenire mi sembra un po' esagerato. Ieri sera ho incontrato i due capigruppo in uno spirito molto positivo e di totale collaborazione per coordinarsi oggi dopo l'intervento di Renzi in Aula a nome di tutto il Pd. Ora riesplode una polemica insensata: in momenti come questi ci vuole molta responsabilità e rispetto da parte di tutti perché gli avversari sono fuori di noi: l'Italia» chiude Zingaretti «ci chiede di combattere uniti». Insomma, una giornata di colpi bassi, polemiche e veleni, che, nel Pd sembra perfetta per inverate la celebre epigrafe di Nanni Moretti: «Continuiamo così, facciamoci del male».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?