
Mentre decine di persone assaltavano il pronto soccorso in cui c'era il rapinatore Ugo Russo, medici e infermieri non hanno potuto assistere una ragazza picchiata dal compagno: è deceduta in solitudine. Il complice del ladro: «Volevamo i soldi per la discoteca». Volevano andare in discoteca, e per questo hanno deciso di rapinare un giovane a bordo di una Mercedes che sfoggiava un bell'orologio mentre era impegnato a parcheggiare. Mai immaginando che, dalla pista da ballo, sarebbero passati uno all'obitorio e l'altro a una comunità di recupero. Ugo Russo e il complice F. D. C., 17 anni, dovevano portare a termine un colpo facile facile, nella notte tra sabato e domenica, nella zona di Santa Lucia, a poche decine di metri dalla sede della Regione Campania. Solo che quel giovane con la faccia sbarbata e l'aria innocua era un carabiniere in abiti civili, in compagnia della fidanzata, che ha fatto fuoco per difendersi. Ammazzando il primo e mettendo in fuga il secondo. È stato proprio F. D. C., che ieri si è visto convalidare il decreto di fermo dal gip del Tribunale dei minorenni di Napoli per tentata rapina aggravata in concorso, a raccontare al pubblico ministero i minuti precedenti la tragedia. «Ci servivano i soldi per il locale», ha biascicato al magistrato. «E così abbiamo deciso di fare la rapina». Ricostruzioni parziali di uno scenario investigativo a più voci in cui lo stesso giovane è al tempo stesso indagato e testimone.«Le indagini sono finalizzate a capire in quale maniera siano stati esplosi i colpi d'arma da fuoco da parte del carabiniere (indagato per omicidio volontario) e stabilire se i colpi sono stati esplosi in una condizione di legittima difesa per se stesso e la ragazza che stava con lui, se per cercare di evitare che gli venisse sottratto l'orologio, o se la sua reazione sia stata eccessiva», ha riassunto il legale del ragazzo, Mario Bruno. Il giovane F. D. C. dovrà iniziare un percorso di recupero lontano da Napoli e probabilmente riprendere gli studi. «Doveva frequentare il primo anno delle superiori ma ha deciso di lasciare. Stava cercando lavoro ma non lo trovava. È difficile trovarlo», ha aggiunto il legale provando ad accreditare l'immagine di un giovane vittima dei meccanismi della società. Sui social, F. D. C. sfoggia però foto con pose da duro e un vistoso orologio prezioso. Un modello che ricorda quello ritrovato, nelle tasche del jeans di Russo, dai medici dell'ospedale al momento del decesso. Un Rolex di cui i familiari del giovane non hanno saputo spiegare la provenienza, e che probabilmente rappresentava il bottino di un precedente raid. Insieme all'accessorio era stata rinvenuta pure una collanina d'oro di cui però il papà di Ugo, Vincenzo Russo, una sfilza di precedenti ma nessun rapporto con la camorra, ha rivendicato titolarità. «Era di mio figlio, non l'aveva rubata», ha giurato. Sempre i genitori di Ugo, ieri hanno voluto prendere le distanze dalle selvagge aggressioni che si sono verificate nel pronto soccorso dell'ospedale Pellegrini la notte della rapina. «Siete tutti dispensati dai fiori», ha detto il padre tramite l'avvocato Antonio Mormile rivolgendosi agli amici e ai parenti «vi chiedo di donare 1 euro al Pellegrini per ogni fiore che avreste portato a mio figlio». Che cosa sia successo quella sera, in corsia, non è però ancora chiaro. «Io e i miei familiari pensavamo a Ugo, non a danneggiare l'ospedale». L'inchiesta sulla devastazione è tuttora in corso, e si attende l'acquisizione dei filmati delle telecamere all'ingresso della struttura per identificare e denunciare gli autori. Al Pellegrini, proprio quella notte, è deceduta una donna di 39 anni, Irina, ridotta in fin di vita dal compagno. I genitori di lei, che attendevano in rianimazione l'arrivo dei medici, sono stati spintonati e calpestati dai criminali che hanno sfasciato computer e barelle. Al capezzale di Irina, in quelle fasi, nessuno era presente perché tutti - camici bianchi e infermieri - erano impegnati a bloccare la furia disumana di bestie scatenate. E lei è morta tra le urla, da sola. Il carabiniere indagato per omicidio volontario si prepara comunque alla battaglia giudiziaria. «Le indagini accerteranno che il comportamento del mio cliente è stato impeccabile», ha spiegato l'avvocato Enrico Capone, legale del militare. «È molto provato e dispiaciuto per l'accaduto: parliamo di una persona deceduta che ha solo 15 anni. Ci sono sentimenti contrastanti in lui, sofferenza per l'accaduto ma anche serenità e fiducia nell'operato dell'autorità giudiziaria». Riguardo all'imputazione contestata al suo cliente, l'omicidio volontario, l'avvocato Capone ha spiegato che «durante le indagini vengono ipotizzati dei reati ma solo successivamente si acclara se sussistono o meno, oppure se ne sussistono altri. C'è un'indagine in corso e siamo fiduciosi in merito all'esito delle attività investigative che confermeranno l'esito impeccabile del comportamento del mio assistito».Intanto, sul fronte del lavoro inquirente, c'è da rilevare lo scoop messo a segno ieri dal giornalista Giuseppe Pizzo di Chi l'ha visto? che è riuscito a identificare un terzo testimone oculare della rapina. Un uomo che ai microfoni della trasmissione Rai ha raccontato di aver sentito tre colpi di pistola. «Come ho visto quello in macchina (il carabiniere, ndr) prendere la pistola sono scappato». Potrebbe essere la sua versione quella che farà chiarezza una volta per tutte.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





