2022-12-27
La persecuzione degli armeni va avanti. E con essa pure il silenzio dell’Occidente
Seicento ragazzi sono assediati dagli azeri in una scuola del Nagorno-Karabakh. Quasi nessun giornale presta attenzione a un popolo che versa sangue da secoli. La Masseria delle allodole è il dolente libro di Antonia Arslan sullo sterminio degli armeni. La scrittrice vive a Padova. Altro libro imperdibile sullo sterminio degli armeni è I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno (2018), di Siobhan Nash-Marshall. Costui è docente di filosofia teoretica e titolare della Mary T. Clark Chair of Christian Philosophy al Manhattanville College di New York. Siobhan Nash-Marshall mi ha spiegato in una lunga intervista telefonica le radici del conflitto. Quando Stalin detestava qualche cosa, ne conseguivano cose nefande. Stalin detestava gli armeni. Una leggenda nera narra che questo suo viscerale odio fosse dovuto ad una sua breve permanenza con i padri mechitaristi dell’isola di san Lazzaro a Venezia. Può anche darsi. Ma il fatto concreto è che egli fece di tutto per indebolire l’Armenia. Nella sua veste di plenipotenziario di Lenin per il Caucaso, diede parti del territorio armeno alla Turchia (il monte Ararat, Kars e Ardahan) e parti all’Azerbaijan (Nakhiçevan e Nagorno-Karabakh, che gli armeni chiamano Artsakh). Le frontiere seguivano il principio del divide et impera: il Nakhiçevan non è contiguo all’Azerbaijan, e il Nagorno Karabakh è un’isola nei territori assegnati all’Azerbaijan. Stalin diede però anche ad entrambe le regioni lo statuto di oblast: provincia autonoma. Ciò non impedì agli azeri di cacciare tutti gli armeni dal Nakhiçevan, eliminando poi ogni traccia della loro presenza. Negli ultimi due anni la sua ombra ha pesato molto sugli armeni del Nagorno-Karabakh. Nel settembre 2020, l’Azerbaijan, affiancato dai «cugini turchi», ha sferrato un micidiale attacco bellico per «riprendersi» quella provincia autonoma. Da allora fa razzie costanti sulle frontiere armene e del Karabakh. Il suo scopo, come anche Erdogan affermò nel maggio 2020, è di ripulire l’intero territorio dei «resti della spada». In questo momento c’è una scuola assediata. Sono più di 600 gli allievi della scuola italo-armena Antonia Arslan a Stepanakert, nel Nagorno Karabakh. Seicento giovani anime ingabbiate nella morsa azera, che le sta lentamente strangolando. Sono passati 15 giorni da quando l’Azerbaijan ha chiuso il corridoio di Lachin, l’unica strada di accesso rimasta agli armeni per l’Artsakh: il polmone del paese, la strada del soccorso, dei viveri, della vita. Non sono stati questa volta usati soldati per bloccare la strada: come una sinistra beffa, degli agenti camuffati da ambientalisti. Come può non farsi paladino dell’ambiente un paese che negli ultimi due anni ha sferrato attacchi dopo attacchi sull’Armenia e sul Nagorno Karabakh, un paese che impavidamente viola le convenzioni di Ginevra, un paese che impunemente trasmette video di donne torturate e mutilate, un paese che ha costruito un parco-museo di guerra per umiliare gli armeni dopo la terribile ostilità del 2020, solamente perché detentore della sommamente vitale industria petrolchimica? Gli assedi non sono cosa nuova per gli armeni. Conosciamo tutti, grazie a Franz Werfel, la storia del Mussa Dagh, l’unico capitolo a lieto fine nell’immensa tragedia del genocidio armeno. Non è cosa nuova per gli armeni vedere da vicino lo spettro della fame, della lenta morte, dell’espulsione dalle loro terre ancestrali. Come ricorda Antonia Arslan nella sua splendida ballata Canto per una nazione che muore, sono rimasti sulle cime dei monti dell’acrocoro armeno solamente «i fantasmi degli arceri di Van». Dei milioni di armeni che vivevano, danzavano, cantavano, pregavano da millenni sulle pendici e sulle valli occidentali dell’Ararat, non sono rimaste neppure le chiese, i monasteri, le tombe. Non è cosa nuova per gli armeni sentire la puzza di quell’odio nei confronti dei discendenti di Noè che i capi delle nazioni turaniche attentamente nutrono nelle teste e nei cuori dei loro sudditi. Non è cosa nuova l’implicita complicità dei governi occidentali nell’assassinio della prima nazione cristiana. Ciò che è nuovo è il silenzio assordante della stampa occidentale nei confronti di questo nuovo capitolo del genocidio armeno. Dove sono oggi le migliaia e migliaia di articoli che riempivano quotidianamente le pagine dei giornali del progredito Occidente sui massacri hamidiani (1894-96), e ancora del massacro di Adana (1909), e ancora del genocidio armeno (1915-18)? Ciò che è nuovo, è l’indifferenza occidentale di fronte a questa ultima calamità per gli armeni. I 600 allievi della scuola Antonia Arslan hanno fratelli al di là della strada sbarrata. Erano, infatti, andati in gita in Armenia pochi giorni prima dell’arrivo dei cosiddetti «ambientalisti». Guardano con orrore quello che sta succedendo ai loro fratelli, ai loro genitori, ai loro zii, ai loro insegnanti. Ma sanno che, diversamente da loro, i loro fratelli riescono ancora andare a scuola. L’armeno dell’Artsakh è ostinato. Per quanto senta la puzza l’odio turanico nei suoi confronti, per quanto sappia che la grande croce illuminata che si erge sulla collina fuori Stepanakert sia bersaglio dei soldati azeri stanziati nell’antica città armena di Shushi, l’armeno dell’Artsakh va avanti. Non a caso il suo animale araldico è l’asino. Noi mondo occidentale per l’ennesima volta stiamo tacendo, per l’ennesima volta non sappiamo nulla di quello che succede. La croce è nel cuore degli armeni e l’Europa odia la croce. Il principe di Davos ha appena dichiarato che Cristo è una fake news. L’attacco mortale al cristianesimo è cominciato con lo sterminio degli Armeni e l’indifferenza del mondo cristiano, un’indifferenza accuratamente costruita, istillata. Il mondo è sempre pieno del grido di dolore di altri, una forma di distrazione continua. Quando non ci sono altri c’è la Terra e ci sono le foche da salvare. È dal popolo armeno che adesso deve cominciare la riconquista della verità. È più di un secolo che il sangue degli armeni scorre come liquido senza valore, sono lasciati soli davanti ai nemici da quelli che dovrebbero essere i loro amici e non lo sono. Affidiamo gli armeni a san Giorgio, e anche noi da lui impariamo di nuovo il coraggio. La fede è coraggio. L’ateismo è vigliaccheria. Siobhan Nash-Marshall ha pubblicato il suo primo romanzo breve George (Crossroad Pub. Co., New York, 2022 e Ares, Milano 2022), perché prima o poi san Giorgio arriva, e allora sono tempi duri per i draghi.
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