
Parla l'ex ministro dell'Economia: «Con il Fondo salvastati si ripete la situazione del 2011, al posto della Grecia ci sono le banche di Berlino. La riforma ha meccanismi autocratici per noi devastanti. La logica del pacchetto invocata da Conte? Idea da kamikaze».A sentire l'ex ministro Giulio Tremonti, la vicenda del Mes sta prendendo la forma di una tragedia shakespeariana. Anche per questo, il professore risale al passato per arrivare al presente. La tempesta, atto secondo: «What's past is prologue»: serve (anche) il Bardo per spiegare la riforma del fondo salvastati.«Come nel passato», argomenta, «ancora oggi, più che un problema di bilanci pubblici pare un problema di bilanci bancari». Della passeggiata di Deauville, dove nel 2010 Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avevano condannato la Grecia coinvolgendo i privati nella ristrutturazione del debito, prima di Banca d'Italia aveva parlato proprio Tremonti in Uscita di sicurezza (2012). E ora usa l'amara ironia di chi non è sorpreso.«Ma come, ci è stato detto da ogni parte che l'euro è stato “salvato"! Un salvataggio con cui sarebbe iniziata l'età dell'oro... Com'è che, salvato l'euro, qualcuno pensa sia necessario salvare di nuovo il sistema finanziario? Com'è che l'iniziativa viene, tanto per cambiare, dalla Germania felix? È gestione di rischi nei bilanci pubblici o di rischi in quelli bancari?».La risposta, professore, è nella domanda.«Un'ipotesi che potrebbe essere fatta è proprio che oggi si reciti di nuovo la storia di Deauville: come allora, la crisi non è causata dai bilanci pubblici ma dai bilanci bancari, soprattutto dalle parti della Germania. Si tratta di criticità di bilancio che non sono solo industriali e strutturali, ma che derivano anche dal drammatico problema di trasferire da Londra in Germania i “book" dei derivati dopo la Brexit. Ma bisogna fare un passo indietro, e tornare nel 2008».Lei era appena rientrato al Tesoro.«Il governo italiano, nella primavera di quell'anno, era l'unico che fin dal programma elettorale aveva previsto l'arrivo della “crisi". Sulla Northern Rock - banca con la coda agli sportelli -, alla domanda italiana, da me fatta in Eurogruppo e in Ecofin nel maggio, “Come gestite questa crisi? Cosa fate se il governo del Regno unito interviene?", la risposta fu: “Li sanzioneremo: pianificano un aiuto che fa eccezione rispetto alla regola del mercato". A novembre, l'eccezione vietata era diventata la regola applicata: questo per dire del grado di lucidità e di visione che a quel tempo c'era da parte di Commissione, Bce e ministri... Non solo: il nostro governo segnalava come nei trattati europei non fosse previsto l'evento della “crisi", intesa come rottura di paradigma. Eppure essa iniziava, chiara (chiara a noi, meno agli altri). Ma la parola stessa in quelle norme non c'era: nei trattati era previsto il bene, e non il male. Il matrimonio era contratto solo nella buona sorte: ideologicamente, era esclusa quella cattiva».Quindi?«In questo contesto nasce, su proposta italiana, il primo Fondo salvastati europeo. In assenza di trattato, fu regolato con atto privato. Il reato è prescritto, ma arrivò il notaio a prendere le firme nella notte in Eurogruppo nel 2010. Dal mio punto di vista, quella doveva essere la base per gli Eurobond. Il messaggio trasmesso all'esterno fu comunque molto positivo: era l'Europa che agiva in termini unitari».Qualcosa andò storto, poi.«Ci fu la crisi del 2011, che non fu una crisi causata dai bilanci pubblici (e certo non dal bilancio italiano, come certificato da Bankitalia nelle sue considerazioni annuali), ma una crisi bancaria tedesca e francese. Cosa che poi - dopo aver straziato la Grecia - venne riconosciuta da due componenti della Troika: Fmi e Commissione. Il terzo, la Bce, non si è ancora pronunciato. Eppure si trattava di banche...». Torniamo alla crisi.«A partire dalla fine del 2011, il fondo ha perso la funzione politica originale, per essere inserito nella cabala “tecnica" dei vari Ltro, Omt, Brrd, Esrb, Npl, Erf, Adr, Esbies...».E oggi? Le modifiche che stanno spaccando il governo si inseriscono qui?«La cosa poco considerata è che anche le banche possono accedere al fondo. Non solo: l'ipotesi in discussione affida un enorme potere alla tecnostruttura. Approfitta del vuoto politico della Commissione e attribuisce un potere smisurato al direttore generale: un tedesco».Lei conosce Klaus Regling, capo dell'Esm?«Sì. Mi ricorda quello che diceva Ciano di Ribbentrop: ha una forma del cranio che fa male all'Italia».Dunque sono giusti gli allarmi levatisi in questi giorni?«I meccanismi per giudicare i debiti sovrani contenuti nella riforma sono così autocratici e imperscrutabili da fare venire nostalgia delle agenzie di rating, che al confronto sembrano più razionali e trasparenti. Vedo che la presidenza italiana, in vista del vertice di dicembre, confida nello scambio tra “riforma" e “pacchetto". In realtà per noi il pacchetto è ancora più avvelenato del trattato, perché produce automatici, devastanti effetti tanto sulle banche e quanto sul debito. Entrare a Palazzo Berlaymont, a Bruxelles, con quel “pacchetto" equivale a presentarsi alla Commissione come un kamikaze».Ma cos'è accaduto? Perché l'Italia ha condiviso un iter così dannoso?«I trattati presuppongono una prima fase di lavoro misto tecnico-politico (Eurogruppo ed Ecofin), poi una fase politica vera e propria nel Consiglio intergovernativo, infine - sempre in ambito politico - le ratifiche nei Parlamenti. Fin dal principio, in questo cammino è necessario combinare la capacità, o forza, politica con la tecnica. Se ne manca, o è scarsa una delle due, salta tutto. Ora, quando si sente dire che all'Ecofin l'Italia ha fatto benissimo… Forse si vuole dire che chi c'era va assolto per non aver compreso il fatto».Professore, ma l'Italia a questo punto che margini ha? Cosa deve fare?«Di certo non deve votare sì, né invocare il famoso “pacchetto" kamikaze. Approvare e rimettersi al voto in Aula significa sottoporsi, come governo, al rischio che l'Aula stessa dica no, devastando l'immagine del Paese. E il rinvio non serve obiettivamente a nulla».Ritiene positivo che sia esploso il tema politico dopo mesi di un percorso opaco e trascurato da gran parte dell'opinione pubblica?«Molto positivo. Non c'è un Paese europeo oltre al nostro in cui questi temi vengano trattati come arcana imperii, come invece vediamo qui. L'unica cosa positiva è proprio che ne parli la politica, contrariamente a quanto è accaduto nel periodo dei governi Monti e successivi. Una volta, in ambito sovranista, si diceva “Umano, troppo umano". Ancora fino a qualche tempo fa, era di moda: “Europeo, troppo europeo". Chi dovrebbe difendere l'Europa, oggi sembra smentire la democrazia».Ma c'è dolo in questo?«Guardi, se chi governa non capisce, è grave; se capisce e non denuncia, è peggio. Apprezzo che molti, ora, si rendano conto dei rischi. Ma prima dov'erano? E poi, anche adesso, troppi reagiscono, ma preoccupandosi degli effetti a valle e non comprendendo le cause. Ancora: banche straniere, e non finanza pubblica italiana».Lei non cita mai Deutsche bank, ma sono queste le “cause" a cui guardare?«Perché l'impulso per questa riforma emerge dal lato tedesco? L'analogia con il 2011 mi sembra impressionante: ancora una volta, come allora, si cercano cause alternative della crisi, si cercano cioè colpe esterne».Non dice così per nostalgia del governo di cui era ministro?«Quando esplose la crisi greca, Jean Claude Juncker mi chiese di usare il Fondo salvastati per salvare le banche francesi e tedesche esposte sulle Grecia. Loro erano a rischio per 200 miliardi, noi per 20. La risposta fu: sì, ma pesando la contribuzione dei singoli Stati in base al rischio delle banche e non al Pil. Lì si arrivò allo scontro, lì partirono gli spread. Volevano i nostri soldi e non volevano si parlasse di crisi bancaria. Oggi, al posto della Grecia, ci sono di nuovo banche tedesche. Allora avevano la quinta colonna al Quirinale, e Mario Monti a Palazzo Chigi».Addirittura.«Tra i primi atti di Monti ci fu quello di autodenunciare una crisi di bilancio che non c'era, e in questo modo mascherare una crisi bancaria straniera che invece c'era. Quindi, usare i nostri soldi per fare il “salvataggio forestiero"».Sta dicendo che Conte è il nuovo Monti?«Sono figure un petit différent...».
(Arma dei Carabinieri)
I militari del Comando di Milano hanno seguito fino in provincia di Bergamo un Tir sospetto con targa spagnola. Arrestati tre italiani e un cittadino spagnolo. Sequestrate anche armi da fuoco.
Nella serata del 25 novembre i Carabinieri della Compagnia di Milano Duomo hanno arrestato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti due bergamaschi, un palermitano e un soggetto di nazionalità spagnola, rispettivamente di 28, 32, 29 e 54 anni.
I militari dell'Arma, nel corso di un più ampio servizio di prevenzione generale organizzato per le vie di Milano, insospettiti da un autoarticolato con targa spagnola di dubbia provenienza, dopo una prima fase di monitoraggio fino alla provincia di Bergamo, hanno sorpreso i soggetti mentre scaricavano 10 borsoni dal mezzo, all’interno di un capannone.
Alla perquisizione, sono stati trovati 258 chilogrammi di hashish, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati.
L’autoarticolato, sottoposto a sequestro, è risultato dotato di un doppio fondo utilizzato per nascone la droga.
Nel corso dei successivi accertamenti sviluppati nelle abitazioni degli indagati, sono stati rinvenuti in casa del 28enne altri 86 chili di hashish, termosigillati e nascosti all’interno di un congelatore oltre a materiale per il confezionamento, due pistole cariche con matricola abrasa, munizioni e materiale riconducibile ad altri reati tra cui t-shirt riportanti la scritta «Polizia», un paio di manette, una maschera per travestimento, il tutto ancora ancora al vaglio degli inquirenti. Per il 28enne è scattato l’arresto anche per detenzione abusiva di arma clandestina. Nell’abitazione del 29enne sono stati invece trovati altri 4 chilogrammi di droga, anche questi custoditi in un congelatore, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati. Complessivamente, sono stati sequestrati circa 348 chilogrammi di hashish.
Su disposizione del Pubblico Ministero di turno presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bergamo, i quattro sono stati portati nel carcere di San Vittore di Milano in attesa dell’udienza di convalida.
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Brian Hughes (Getty Images)
L’uomo messo da Trump alla Nasa come capo dello staff: «Torneremo sulla Luna anche con partner italiani. Vogliamo creare una economia spaziale di tipo commerciale. Con l’agenzia russa continuiamo a collaborare».
Politico lo ha definito ad agosto «l’uomo di Trump all’interno della Nasa». È stato senior advisor dell’attuale presidente americano durante la campagna elettorale del 2024. Poi, dopo la vittoria, Trump lo aveva nominato vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca con delega alle comunicazioni strategiche. Tutto questo fino a maggio, quando il presidente lo ha fatto designare capo dello staff della Nasa. Brian Hughes ha quindi assunto un ruolo chiave all’interno di un’agenzia che Donald Trump considera strategica sia sul piano tecnologico che su quello geopolitico: un’agenzia che l’inquilino della Casa Bianca vuole adesso sottoporre a una serie di riforme per incrementarne l’efficienza, ridurne i costi e rafforzarne i legami con il settore privato.
Nel riquadro Francesco Morcavallo (iStock)
Francesco Morcavallo: «Le autorità non possono intervenire sullo stile di vita se non limita la libertà altrui, altrimenti è Stato etico. Le strutture che ospitano bimbi hanno un giro di miliardi».
Lei ora è avvocato dopo essersi occupato di minori in quanto magistrato, giusto?
«Ho lasciato la magistratura nel 2013».
Si fa un gran parlare di riforma della giustizia, lei che idea si è fatto?
«La riforma della giustizia sul tema della giustizia dei minori è marginale. In Italia la riforma della giustizia civile avrebbe bisogno di scelte coraggiose, tipo decongestionare l’attività dei tribunali».
(Ansa)
Il ministro degli Esteri: «Stiamo lavorando per riportare a casa lui e gli altri detenuti politici. L’altro giorno il nostro ambasciatore ha avuto la possibilità di incontrare Alberto Trentini e un altro italiano detenuto in Venezuela, e ha parlato con loro. Trentini è sì detenuto, ma è stato trovato in condizioni migliori rispetto all’ultima volta in cui era stato visto». Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parlando dell’attivista trattenuto in Venezuela, a margine dell’assemblea di Noi Moderati in corso a Roma. «La famiglia è stata informata – ha aggiunto – e questo dimostra che stiamo seguendo la vicenda con la massima attenzione. Il ministero degli Esteri, come tutto il governo, se ne occupa con grande scrupolo. Stiamo lavorando per riportarlo a casa. Non è un’impresa facile: basta guardare la situazione internazionale».






