2019-12-28
In Alitalia le spese più pazze del mondo
Verso la chiusura l'inchiesta che vede indagati, tra gli altri ex manager, anche Luca Cordero di Montezemolo. I pm di Civitavecchia hanno stilato, fatture alla mano, un elenco di esborsi anomali. Pause caffè a 1.500 euro e the e tisane a peso d'oro. Blue Panorama: brutto precedente. Giuseppe Leogrande, nominato commissario dell'ex compagnia di bandiera si impegnò anche nella gestione del vettore charter. Su cui ora indaga la Procura di Roma. Lo speciale comprende due articoli. La filmografia internazionale ha immeritatamente sottovalutato il filone dei disastri delle compagnie aeree. Ci sono infatti pellicole e pellicole sui velivoli in avaria tra le nuvole come Prigionieri del Cielo, Nell'Occhio del Ciclone, L'ultimo Volo, Atterraggio di Emergenza, solo per citarne alcuni, e nessuno invece sulle società a cui appartengono. Eppure, così come possono precipitare gli apparecchi, rischiano di precipitare pure le aziende che li gestiscono; e i danni sono ugualmente disastrosi. L'inchiesta sul fallimento dell'Alitalia potrebbe, però, inaugurare questo nuovo genere cinematografico. Basterà infatti attendere ancora un po' per leggere gli avvisi di conclusione delle indagini che i militari della Guardia di finanza stanno notificando a decine e decine di indagati proprio in queste ore al termine di un gigantesco sforzo investigativo durato oltre due anni e racchiuso in un lungo elenco di capi di imputazione, e farsi un'idea di quel che succede in casi del genere. Di bancarotta fraudolenta sono accusati, tra gli altri, i tre manager che hanno guidato l'azienda dal 1° gennaio 2015 al 2 maggio 2017, pochi giorni prima della dichiarazione di insolvenza (11 maggio 2017): si tratta di Silvano Cassano, Luca Cordero di Montezemolo e Mark Ball Cramer. Il lavoro inquirente, condotto dalla Procura di Civitavecchia (procuratore Andrea Vardaro e pm Allegra Migliorini e Mirko Piloni) e da quella di Roma (aggiunto Gustavo De Marinis) ha affondato il bisturi in particolare nella gestione araba della nostra compagnia di bandiera. Quella che faceva capo alla società emiratina Etihad che, nel 2015, entrò nel capitale sociale con il 49 per cento lasciando la maggioranza alla Cai-Midco di cui facevano parte istituti di credito come Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo, e colossi imprenditoriali come Atlantia della famiglia Benetton. Etihad è la stessa società che, in quel periodo, chiuse un discutibile accordo con il ministero della Difesa per fittare un Airbus 340/500 (il famoso «Air force Renzi» voluto dall'allora premier Rottamatore) per 168 milioni di euro spalmati in otto anni, con un sovrapprezzo di 26 volte il valore di mercato, e al contempo sottoscrisse un'obbligazione da 200 milioni di euro emessa proprio dalla società di Fiumicino. Da quel che il nostro giornale è riuscito a ricostruire, pare però che le indagini abbiano imboccato la strada anche della gestione commissariale a cui parteciparono due commissari, nominati dall'allora ministro Carlo Calenda, che erano stati coinvolti anche nella amministrazione ordinaria dell'azienda. Al momento del commissariamento, infatti, nel cda sedevano, oltre a Montezemolo, tre manager Etihad (l'amministratore delegato Ball Cramer, appunto, il vicepresidente James Hogan e James Rigney), Giovanni Bisignani, Federico Ghizzoni, Gaetano Micciché e Luigi Gubitosi. Tra il 2015 e i primi due mesi del 2017, Alitalia accumulò qualcosa come 900 milioni di euro di debiti che portarono in negativo il patrimonio netto per 111 milioni di euro (stima al 28 febbraio 2017) spalancando le porte al default. Scelte scellerate di politica industriale, errori di valutazione del management e manovre di gestione poco chiare, a cui si aggiunge il sospetto di falsi contabili, hanno dissanguato la società. Che, proprio come l'orchestrina del Titanic che continuava a suonare mentre il transatlantico affondava, non si è accorta di nulla. E ha proseguito a bruciare una quantità incredibile di denaro. Sarebbe troppo facile sostenere che i debiti hanno letteralmente mangiato l'azienda se non fosse che i debiti sono stati fatti anche per mangiare in azienda. Prova ne sono le fatture agli atti del procedimento emesse da Relais le Jardin, una delle ditte di catering più importanti di Roma con un portafoglio clienti che va dalla Banca d'Italia alla presidenza della Repubblica, che il nostro giornale ha potuto visionare. E che descrivono perfettamente l'atmosfera che regnava nel quartier generale della compagnia di bandiera uscita, da poco, dalla burrasca affrontata dai «capitani coraggiosi» che, nel 2014, avevano registrato una perdita secca di due miliardi di euro. Per una pausa caffè del Consiglio di amministrazione (16-17 maggio 2016) e un «light lunch» (una specie di spuntino) Alitalia pagò la bellezza di 1.537 euro. Per un «welcome coffee», in un famoso studio legale della Capitale, vennero sborsati invece 1900 euro. Per un pranzo leggero, la media era di circa 1.500 euro al giorno, almeno. D'altronde, il coffee break più economico costava non meno di 900 euro. Nulla però in confronto ai 72.000 euro che vennero spesi dall'azienda per il catering per l'evento del 18 maggio 2016 presso l'Auditorium Parco della Musica, a Roma. Solo per il cocktail pomeridiano furono necessari 25.000 euro a cui aggiungere una somma identica per «allestimento, materiali e servizio» e altri 3.800 euro per i «67 metri di barriera verde». Più frugale fu invece il pasto - lo stesso giorno - presso lo Spazio nazionale eventi: «solo» 27.000 euro. Di cui 20.000 per il «cocktail rinforzato». In pratica, in ventiquattr'ore, Alitalia spese per due pranzi circa 100.000 euro. Da Relais le Jardin la società comprava anche tutto il necessario per il rifornimento mensile delle cucine che, evidentemente, funzionavano poco considerato il ricorso a professionisti della ristorazione esterni. Ci sono diverse fatture che oscillano tra i 1.600 e i 2.400 euro per l'acquisto di cialde per il caffè (500 euro), varie miscele di tè, tisane e camomilla, succhi di frutta, acqua, bibite gassate, latte intero e scremato, biscotti al burro (quelli danesi nelle scatole di latta), sale, pepe, olio e aceto balsamico, e posate e tovaglioli monouso. Con questo scenario, non sfigurerebbe un kolossal dal titolo: «Crac ad alta quota». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alitalia-nel-crac-dei-tre-manager-due-pranzi-in-24-ore-100-000-euro-2642262071.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="blue-panorama-brutto-precedente" data-post-id="2642262071" data-published-at="1756984248" data-use-pagination="False"> Blue Panorama: brutto precedente Che Alitalia non stia navigando in cieli tersi è un fatto acclarato. Da una parte l'inchiesta della procura di Civitavecchia che da mesi indaga sul crac di Alitalia Sai. Dall'altra la situazione economica che ha portato al suo ennesimo commissariamento. Due settimane fa il ministero dello Sviluppo economico ha nominato commissario unico Giuseppe Leogrande. Nel panorama dell'aviazione civile Giuseppe Leogrande è un nome conosciuto. L'avvocato originario di Ravenna nel 2014 era stato nominato dal Tribunale di Roma commissario straordinario di Blue panorama. La compagnia aerea, fondata da Franco Pecci, sarebbe finita sotto la lente dei magistrati romani che avrebbero aperto un fascicolo, ipotizzando il reato di bancarotta, perpetrato almeno fino al 2014. Ma gli accertamenti, pare stiano riguardando anche anni successivi. Nel salvataggio di Blue panorama un contributo fondamentale è stato dato dal governo Renzi. Il 30 settembre 2015 il Consiglio dei ministri approva una deroga rispetto alle normali procedure della legge Prodi bis. Una norma che stabilisce il fallimento automatico di un'impresa se, una volta trascorso il periodo previsto dal programma presentato al ministero dello Sviluppo (12 mesi se finalizzato alla vendita, 24 mesi per la ristrutturazione economico-finanziaria), il programma non viene attuato in tutto o in parte. Ma con la modifica legislativa l'amministrazione straordinaria di Blue panorama riuscì a salvarsi e, in barba alle normative allora vigenti, il commissario Leogrande poté perseguire la sua opera. Decise di costituire una Newco a cui conferire gli asset aziendali per consentire la prosecuzione dell'attività. Dai documenti che abbiamo visionato non si capiscono i criteri di capitalizzazione della Newco, aspettiamo quindi gli esiti delle indagini per capire la regolarità del passaggio, e soprattutto non si comprendono le modalità di vendita della Newco (dicembre 2017) considerando che gli ultimi documenti resi pubblici dall'amministrazione straordinaria sul sito risalgono al 2016. Sappiamo soltanto che il 100 per cento della Newco venne ceduto a Uvet e che Leogrande si autonominò presidente del cda della Newco sino alla cessione e nominò ad Giancarlo Zeni già direttore generale della società dichiarata insolvente dal 2010 al 2014. Per cui Blue panorama fu ceduta a Uvet che in modo piuttosto anomalo lasciò integralmente il management in carica e legato al precedente proprietario nonché fondatore di Blue panorama: Franco Pecci. Non solo. Lo stesso Leogrande divenne commissario della Formula blue srl società sempre di proprietà di Pecci e azionista della Blue panorama spa. Leogrande, dunque, nella crisi di Blue panorama ha cumulato tre incarichi: commissario della vecchia Blue panorama spa, presidente della nuova Blue panorama airlines e commissario di Formula plue. Da notare che il capitale di Formula Blue era per il 51 per cento detenuto da Pecci e per il 49 dalla società Knight finanz Sa. Società schermata in Lussemburgo dietro la quale pare ci fosse lo stesso Pecci. Un ulteriore mistero avvolge un'altra società che da anni lavora per Blue panorama fornendo aerei ed equipaggi: Alba wings, società di diritto albanese su cui chi indaga sta cercando di comprendere il reale proprietario. Sempre in tema di «stranezze» non va dimenticato il ruolo di Giancarlo Zeni, che da direttore generale della Blue panorama spa dichiarata insolvente e prima ancora posta in concordato preventivo si è ritrovato grazie a Leogrande ad essere amministratore delegato alla «seconda» Blue panorama poi acquisita da Uvet. Nelle more che la Procura di Roma e la Guardia di finanza a cui è delegata l'indagine facciano luce su queste che a oggi vogliamo definire delle «anomalie» si spera che Leogrande voglia essere meno anomalo e soprattutto meno misterioso nella gestione di Alitalia.
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