2020-09-15
Il ritorno di Agnelli e Mika e il debutto di Emma Marrone e Hell Raton: X Factor torna il 17 settembre su Sky
Uff. Stampa
La conferenza stampa di X Factor, succedaneo virtuale di ciò che ogni anno sancisce il ritorno su Sky del talent canoro, è stata preceduta da una sorta di mea culpa. «Diciamocelo. La scorsa edizione, in termini di ascolti, non ci ha soddisfatto», ha ammesso Nicola Maccanico, Executive Vice President Programming di Sky Italia, mettendo in luce una falla nel meccanismo televisivo dello show.
«Qualcosa», ha detto, «ha interrotto la comunicazione con il pubblico: sembrava si fosse perso il legame con la musica». Perciò, prima ancora che la pandemia imponesse alle televisioni di riscrivere i propri canoni, Sky avrebbe deciso di modificare in maniera significativa la narrazione del proprio programma. «Meno spettacolarizzato, ma non meno spettacolare», ha suggerito Manuel Agnelli, che per la nuova edizione di X Factor, su Sky Uno e NowTv dalla prima serata di giovedì 17 settembre, ha acconsentito a riprendere posto tra le fila della giuria.
Agnelli aveva giurato non sarebbe tornato indietro. Ma la carne è debole, e insieme al leader degli Afterhours anche Mika è tornato a svolgere il ruolo di giudice. La popstar, che il 19 settembre, su Youtube, ha organizzato un concerto digitale a beneficio della natia Beirut, ha detto di essere stato catturato dal progetto di Sky: una sorta di manifesto politico in cui la musica diventasse la risposta dinamica alla stasi indotta dal Covid-19. «Ho preso parte a tanti programmi, e l’approccio di norma è identico. La chiamata per X Factor è arrivata in un momento particolare, in cui tutto sembrava sospeso. Ho sottolineato la mia paura, ma lo scambio con la produzione mi ha convinto di quanto grande fosse la sfida», ha spiegato il cantante, che tra sé e Agnelli ha avuto Emma Marrone ed Hell Raton, rapper di origini sardo-ecuadoriane.
X Factor, nelle parole di Mika, ha ricevuto le stigma di un impegno sociale. E così ci ha tenuto a descriverlo Sky, spiegando di aver scelto con coraggio di adattare il format alla situazione presente, rinunciando al pubblico e al contatto umano. «Chi fa il nostro lavoro non deve fermarsi, ma investire sulla creatività, cercare formule diverse», ha ribadito Maccanico, presentando alla stampa la prima puntata di uno show che, però, non sembra coraggioso quanto la scelta che lo ha visto nascere.
X Factor, nella sua versione senza pubblico, con l’incognita dei Live e di potenziali contagi («Rispetteremo tutti i protocolli», ha assicurato la produzione), è parso annaspare. Qualcosa gli ha tolto smalto, forza. E nel silenzio di uno studio vuoto, con i giudici separati dal metro di legge e gli spalti deserti, quel che è rimasto è il rumore del nulla. I concorrenti, per quel che ad oggi ci è stato dato vedere, sono stati utilizzati come pedine di un gioco ormai noto. «Inclusività», hanno detto, «Racconto delle emozione, della diversità». Ci si è appellati alla «centralità della musica», che senza applausi può vivere di sé. Ma le parole sono state dette al vento, perché la musica da sola non ha potuto niente, e nemmeno lo ha fatto la giuria.
X Factor è un programma datato, del quale tanto, troppo ormai si è visto. La scelta coraggiosa, quella vera, avrebbe forse dovuto imporre una rinuncia. Come la musica si è fermata, come il mondo, composto, ha accettato di prendere del tempo per elaborare i canoni di una nuova normalità, così avrebbe dovuto fare la televisione. Che, invece, ci ha rifilato un programma debole, martoriato dal virus che ci ha sottratto la convivialità.
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La conferenza stampa di X Factor, succedaneo virtuale di ciò che ogni anno sancisce il ritorno su Sky del talent canoro, è stata preceduta da una sorta di mea culpa. «Diciamocelo. La scorsa edizione, in termini di ascolti, non ci ha soddisfatto», ha ammesso Nicola Maccanico, Executive Vice President Programming di Sky Italia, mettendo in luce una falla nel meccanismo televisivo dello show. «Qualcosa», ha detto, «ha interrotto la comunicazione con il pubblico: sembrava si fosse perso il legame con la musica». Perciò, prima ancora che la pandemia imponesse alle televisioni di riscrivere i propri canoni, Sky avrebbe deciso di modificare in maniera significativa la narrazione del proprio programma. «Meno spettacolarizzato, ma non meno spettacolare», ha suggerito Manuel Agnelli, che per la nuova edizione di X Factor, su Sky Uno e NowTv dalla prima serata di giovedì 17 settembre, ha acconsentito a riprendere posto tra le fila della giuria. Agnelli aveva giurato non sarebbe tornato indietro. Ma la carne è debole, e insieme al leader degli Afterhours anche Mika è tornato a svolgere il ruolo di giudice. La popstar, che il 19 settembre, su Youtube, ha organizzato un concerto digitale a beneficio della natia Beirut, ha detto di essere stato catturato dal progetto di Sky: una sorta di manifesto politico in cui la musica diventasse la risposta dinamica alla stasi indotta dal Covid-19. «Ho preso parte a tanti programmi, e l’approccio di norma è identico. La chiamata per X Factor è arrivata in un momento particolare, in cui tutto sembrava sospeso. Ho sottolineato la mia paura, ma lo scambio con la produzione mi ha convinto di quanto grande fosse la sfida», ha spiegato il cantante, che tra sé e Agnelli ha avuto Emma Marrone ed Hell Raton, rapper di origini sardo-ecuadoriane. X Factor, nelle parole di Mika, ha ricevuto le stigma di un impegno sociale. E così ci ha tenuto a descriverlo Sky, spiegando di aver scelto con coraggio di adattare il format alla situazione presente, rinunciando al pubblico e al contatto umano. «Chi fa il nostro lavoro non deve fermarsi, ma investire sulla creatività, cercare formule diverse», ha ribadito Maccanico, presentando alla stampa la prima puntata di uno show che, però, non sembra coraggioso quanto la scelta che lo ha visto nascere. X Factor, nella sua versione senza pubblico, con l’incognita dei Live e di potenziali contagi («Rispetteremo tutti i protocolli», ha assicurato la produzione), è parso annaspare. Qualcosa gli ha tolto smalto, forza. E nel silenzio di uno studio vuoto, con i giudici separati dal metro di legge e gli spalti deserti, quel che è rimasto è il rumore del nulla. I concorrenti, per quel che ad oggi ci è stato dato vedere, sono stati utilizzati come pedine di un gioco ormai noto. «Inclusività», hanno detto, «Racconto delle emozione, della diversità». Ci si è appellati alla «centralità della musica», che senza applausi può vivere di sé. Ma le parole sono state dette al vento, perché la musica da sola non ha potuto niente, e nemmeno lo ha fatto la giuria. X Factor è un programma datato, del quale tanto, troppo ormai si è visto. La scelta coraggiosa, quella vera, avrebbe forse dovuto imporre una rinuncia. Come la musica si è fermata, come il mondo, composto, ha accettato di prendere del tempo per elaborare i canoni di una nuova normalità, così avrebbe dovuto fare la televisione. Che, invece, ci ha rifilato un programma debole, martoriato dal virus che ci ha sottratto la convivialità.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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