2021-11-20
Camera e Senato finiti in ostaggio di decreti e fiducie
Da fine luglio a oggi, presentato un dl a settimana: discussione impossibile anche per rispettare i tempi imposti dal PnrrSono passati circa quattro mesi dal 23 luglio. Quel giorno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intinse la penna nella soda caustica prima di vergare una lettera ai presidenti delle Camere per invitarli a «un ricorso più razionale e disciplinato alla decretazione d'urgenza». Da allora sulle Camere si è scatenato un vero e proprio diluvio normativo. Quattordici decreti legge, di cui sette convertiti, uno decaduto e sei in attesa di conversione. Quasi uno alla settimana, agosto compreso. A essi si aggiungono i disegni di legge delega sulla riforma fiscale, sulla riforma del processo civile (approvato al Senato e in discussione alla Camera), sulla riforma della disabilità e sulla concorrenza (ancora in transito tra Ragioneria e Quirinale). Oltre alla riforma del processo penale che è già legge dal 27 settembre. Il tutto in piena sessione di esame della legge di bilancio 2022, presentata al Senato solo il 16 novembre.Nei prossimi 40 giorni, Natale e Santo Stefano compresi, le Camere dovranno convertire sei decreti legge, approvare la legge di bilancio 2022 e altri quattro disegni di legge di delega al governo su materie molto importanti. Tra un panettone e uno spumante i parlamentari dovranno trovare anche il tempo per approvare la legge di ratifica del Trattato sulla riforma del Mes e si vedranno recapitare, come ogni anno prima del brindisi di Capodanno, anche l'immancabile decreto legge Milleproroghe. Ma il problema, già di per sé enorme, non è tanto il numero dei provvedimenti quanto le modalità con cui sono presentati, discussi e approvati. Che furono proprio oggetto delle doglianze estive di Mattarella, in cui chiedeva di «modificare l'attuale tendenza. I decreti legge devono presentare ab origine un oggetto il più possibile definito e circoscritto per materia […] l'attività emendativa dovrà essere limitata dalla materia ovvero dalla finalità originariamente oggetto del provvedimento, come definite dal governo […] Anche per rimuovere la abituale prassi, ormai generalizzata, che consiste nella presentazione di maxi emendamenti sui quali porre la questione di fiducia». Per chiudere, Mattarella invitò «Parlamento e governo a riconsiderare le modalità di esercizio della decretazione d'urgenza […] che hanno ormai assunto dimensioni e prodotto effetti difficilmente sostenibili» e promise che avrebbe valutato «l'eventuale ricorso alla facoltà prevista dall'articolo 74 (rinvio alle Camere delle leggi di conversione, ndr) della Costituzione». Parole che sono state trascinate via come turaccioli sulla battigia all'arrivo dello tsunami normativo a cavallo tra estate e autunno. Si è perso il conto dei voti di fiducia su maxi emendamenti del governo e la seconda lettura è di fatto scomparsa.Il totale disinteresse del governo per le parole del presidente è ben documentato negli atti del comitato per la legislazione presso la Camera dei deputati - organo di dieci deputati oggi presieduto da Alessio Butti di Fdi, che ha il ruolo di emettere un parere sulla specificità, omogeneità e limiti di contenuto di tutti i decreti legge - che nelle ultime settimane ha dovuto denunciare lo svuotamento della funzione parlamentare.In particolare, nell'ultima seduta di mercoledì 17 il comitato ha esaminato il decreto legge 152 sull'attuazione del Pnrr. Una valanga di 52 articoli e 180 commi tutti finalizzati a «mettere la bandierina» sui 51 obiettivi da conseguire entro il 31 dicembre per ricevere la prima rata (dopo l'acconto di agosto) del Pnrr e gli strali verso Palazzo Chigi sono stati numerosi.Si parte dalla mancanza dei requisiti di urgenza, mancanti quando si prevede l'adozione di un decreto di attuazione del ministro del Turismo addirittura «entro il 31 marzo 2025». Il comitato è costretto ad ammettere che «si tratta di misure per le quali la decisione del Consiglio Ue di approvazione del Pnrr italiano prevede come termine per l'approvazione il dicembre 2021» e quindi il fine giustifica i mezzi del tutto inappropriati. Ma dubbi sorgono anche sulla loro «effettiva idoneità a raggiungere gli obiettivi previsti dalla decisione del Consiglio Ue» e i parlamentari affondano il colpo chiedendo «una riflessione sull'opportunità, con riferimento al Pnrr, di una programmazione legislativa condivisa tra Parlamento e governo che eviti in futuro di avvicinarsi alle scadenze previste dal Pnrr con un numero significativo di provvedimenti legislativi ancora da approvare, il che rende inevitabile, come nel caso in esame, il ricorso a decreti legge di ampie dimensioni, con possibile pregiudizio di un'adeguata istruttoria legislativa». Ben consapevole che questa situazione rischia di ripetersi per i prossimi nove semestri, il comitato chiede che il Parlamento abbia almeno il tempo per leggere ciò che vota.L'allarme è trasversale tra tutti i gruppi politici presenti nel comitato e perfino l'onorevole Stefano Ceccanti del Pd ha denunciato il «monocameralismo alternato che sembra essersi affermato in via di fatto». A questo proposito abbiamo raccolto l'appassionato j'accuse dell'onorevole Maura Tomasi della Lega, già presidente del comitato, che non ha esitato a parlare di «esproprio della funzione legislativa del Parlamento da parte del governo». In particolare, «con il governo Draghi si è accentuata fino a divenire insostenibile la tendenza a presentare decreti legge a distanza ravvicinata e assistere - per impedire una discussione che prolungherebbe i tempi - a un'abnorme dilatazione dei tempi di esame da parte del ramo del Parlamento che li riceve in prima lettura che si conclude sempre a ridosso della scadenza dei 60 giorni per la conversione, lasciando così all'altro ramo solo pochi giorni nei quali è impossibile anche la mera lettura dei testi». Ha aggiunto che «poteva tollerarsi obtorto collo tale modo di procedere in materia sanitaria, ma ritrovarsi ad analizzare - nelle stesse condizioni di emergenza - le scelte del Pnrr che incideranno sul futuro del nostro Paese per il prossimo decennio e oltre, è semplicemente incostituzionale». Quali i rimedi, allora? «Fermatevi», conclude la Tomasi, che vede due possibilità: rendere vincolante il parere del comitato sui decreti o auspicare che Mattarella eserciti il rifiuto di promulgare una legge, rinviandola alla Camere. Un gesto simbolico ma grave che egli stesso ha minacciato.In assenza di quest'iniziativa, aggiungiamo noi, le Camere, esattamente 99 anni dopo, saranno state davvero ridotte a «un bivacco di manipoli».
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