Grazie al genio dell'Fbi abbiamo appreso una grande notizia: le nazioni in guerra utilizzano la propaganda. Chissà se ci saremmo mai arrivati da soli, senza il suggerimento degli investigatori statunitensi. Mercoledì il governo americano ha incriminato due cittadini russi e sequestrato più di 30 domini Internet legati a una poderosa campagna di disinformazione. Come racconta Politico.eu, «la mole di informazioni depositate in tribunale dall’Fbi ha svelato anche una bomba: un’operazione russa volta a manipolare politici, imprenditori, giornalisti e altri influencer tedeschi, francesi, italiani e britannici. Secondo una serie di documenti russi, promemoria e verbali di riunioni sulla guerra psicologica svoltesi in Russia, l’obiettivo della campagna del Cremlino in Europa era seminare divisione, screditare l’America e minare il sostegno all’Ucraina».
In buona sostanza il Federal Bureau ha denunciato l’operato della Social Design Agency, organizzazione russa che avrebbe pianificato la diffusione di false notizie su larga scala per influenzare le opinioni pubbliche europee, a partire da quella tedesca. Curiosamente, questa notizia con accenno alla Germania arriva proprio a pochi giorni dal voto in Turingia e Sassonia, dove hanno trionfato partiti sovranisti di destra e sinistra come Afd e Bsw, ovviamente accusati di putinismo.
Qui non si tratta, però, di fare i complottisti. Che la disinformazione esista è un fatto, che la guerra psicologica e d’informazione si combatta è noto. La portano avanti i russi e la portano avanti gli ucraini e l’Occidente: niente di nuovo sotto il sole. Giusto dunque denunciare e se possibile impedire le operazioni sporche condotte sulla Rete. Sarebbe meglio farlo, tuttavia, con un filo di lucidità in più. Le notizie sulla propaganda digitale - che vanno pubblicate, ci mancherebbe - vengono quasi sempre utilizzate dalle nostre parti per sminuire e screditare i discorsi critici riguardo la guerra in Ucraina e il modo in cui viene portata avanti. Si veicola l’idea che ogni forma di opposizione sia pesantemente influenzata dalla disinformazione del Cremlino o ne sia addirittura una protuberanza. Ergo chiunque dissenta diviene immediatamente un putiniano se non un megafono prezzolato.
Il fatto è che non c’è alcun bisogno della guerra psicologica di Putin o dei fantomatici hacker russi per rendersi conto che un bel po’ di passaggi nel discorso dominante sull’Ucraina non tornano. O per farsi sorgere pesanti dubbi sulle tesi che le nostre élite continuano a veicolare. Ad esempio quelle che ieri Tony Blair ha ripetuto al Corriere della Sera, nel corso di una lunga intervista concessa ad Aldo Cazzullo.
Secondo Blair, «l’Ucraina non si sta battendo solo per sé stessa ma anche per scoraggiare altre aggressioni. Se si ci tirassimo indietro oggi, finiremmo per pagare un prezzo incomparabilmente più alto domani». L’ex premier inglese ha davvero un bel fegato: fa la morale agli altri sulle aggressioni quando fu tra i maggiori sponsor dell’attacco americano all’Iraq nel 2003. Una carneficina immotivata che provocò migliaia di morti e che ha contribuito a gettare il Medio Oriente nel caos in cui si trova ancora adesso. Non c’è bisogno di chissà quali mistificazioni russe per rendersi conto dell’ipocrisia di Blair, e non c’è bisogno di presunti lavaggi del cervello per rigettare in blocco le sue proposte. Il caro Tony sostiene tra l’altro che sia «giusto supportare qualsiasi soluzione, qualsiasi tattica che faccia si che Putin non possa proseguire la sua politica aggressiva e sia invece indotto a venire a patti». Quindi, a suo dire, sarebbe giusto concedere all’Ucraina di impiegare le armi europee per colpire in territorio russo. Un consiglio da seguire, come no. Soprattutto se consideriamo che proviene da uno che ha sostenuto una tremenda guerra di aggressione nei decenni passati e che ha giustificato orrendi massacri di innocenti.
No, davvero non c’è bisogno di essere putiniani per smascherare le menzogne dei guerrafondai da tinello, anche perché più passa il tempo e più i loro ragionamenti traballano, demoliti dai fatti. Blair, per dire, si lancia sul Corriere in uno sperticato elogio della democrazia, e sostiene che alla fine i nostri sistemi politici «prevarranno sull’uomo forte». Le persone che vivono nelle autocrazie, spiega, «vorrebbero poter scegliere il loro governo. Vorrebbero venire nei Paesi democratici». Può anche darsi.
Ma se, come sostiene l’amico Tony, la guerra in Ucraina è un conflitto fra autocrazia e democrazia, allora qualche ripassino sulle procedure democratiche andrebbe fatto anche a Volodymyr Zelensky. Come noto, il presidente ucraino ha appena organizzato un poderoso rimpasto di governo. Dopo aver fatto fuori nei mesi passati organi di informazione e partiti politici d’opposizione, da qualche tempo si dedica ai repulisti pure fra coloro che non gli sono ostili. Tra i dimissionari c’è anche Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri, celebratissimo in Occidente e intervistato a ripetizione.
È molto interessante, a tale proposito, ciò che ha scritto ieri Politico, magazine online non certo destrorso o filorusso. Ha raccolto varie testimonianze fra i politici ucraini e il quadro che ne esce non è esattamente radioso. Secondo Ivanna Klympush-Tsintsadze, una parlamentare del partito di opposizione European Solidarity, «tutte le attuali azioni delle autorità parlano della centralizzazione sistematica del potere da parte del presidente e del suo ufficio. Questa raffica di dimissioni di funzionari governativi mostra una grave crisi di governance nel Paese».
Ancora più suggestiva la testimonia, raccolta sempre da Politico, di «un ex alto funzionario ucraino, a cui, come ad altri in questa storia, è stata concesso l’anonimato per parlare apertamente del rimpasto». Questa fonte ha spiegato che Kuleba «è stato estromesso a causa di uno scontro con il potente capo dell’ufficio di Zelensky, Andriy Yermak. Tutti sapevano che avevano un conflitto. Una volta ho anche assistito a un episodio. A causa del suo incarico, Kuleba aveva contatti diretti ben consolidati con Blinken, con il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e molti altri. Anche se fosse stato fedele al 300 percento, l’ufficio del presidente non poteva lasciare un tale canale di comunicazione nelle mani di una persona. Persona che non erano del tutto sicuri fosse “dei loro”, se capite cosa intendo». Il messaggio è chiaro: Zelensky sta concentrando il potere nel suo circolo ristretto. Cosa che in guerra è forse anche giustificabile, ma che non qualifica certo l’Ucraina come un tempio della democrazia. Forse è putiniano anche Politico perché lo fa notare?
Ci sarà pure la propaganda russa, come no. Ma i popoli europei sono abbastanza intelligenti per pensare da soli e per farsi un’idea al netto delle pressioni e della disinformazione. Compresa quella fabbricata in Occidente.