2021-02-16
Sport fermo al palo senza un ministro mentre la Figc gioca la partita decisiva
Il 22 si vota il presidente: sul tavolo l'ingresso dei fondi esteri Gabriele Gravina affida un incarico da 200.000 euro l'anno a Marco TardelliC'è nervosismo nel mondo dello sport italiano, non solo per lo smacco agli impianti sciistici che hanno dovuto tenere le serrande abbassate all'improvviso. L'insediamento del governo di Mario Draghi rischia di cambiare diverse carte in tavola, con un ospite d'eccezione. Perché dentro l'esecutivo è tornato Giancarlo Giorgetti (come ministro del Mise), che due anni fa tentò la riforma del sistema sportivo, poi accantonata dal Conte bis. Mancano meno di sette giorni all'assemblea della Figc (Federazione italiana gioco calcio) e le polemiche sono appena all'inizio. È una situazione di instabilità che si aggiunge allo stallo della serie A sui futuri accordi sui diritti televisivi come anche al nuovo esecutivo dove è scomparso il ministro allo Sport: c'è ancora incertezza su chi avrà le deleghe un tempo di Vincenzo Spadafora. In questa fase più che mai complessa, l'attuale presidente Figc Gabriele Gravina sfida il prossimo 22 febbraio Cosimo Sibilia, attuale presidente della Lega nazionale dilettanti. Gravina ha confidato fino all'ultimo in una corsa solitaria, in modo da poter confermarsi alla guida del mondo del pallone per altri quattro anni. Ma Sibilia, deputato di Fi, ha deciso di candidarsi, anche forte di quel 34% che la Lnd rappresenta proprio all'interno della Figc. Il cuore dello scontro tra i due verte sugli accordi che la serie A sta portando avanti sulla creazione della media company, ovvero l'entrata dei fondi Cvc, Advent e Fsi nei prossimi anni. La situazione si è cristallizzata dopo le ultime assemblee di via Rosellini, anche perché l'arrivo dei capitali stranieri potrebbe stravolgere per sempre il mondo del calcio italiano, penalizzando soprattutto le leghe minori. L'elezione del prossimo presidente Figc è quindi delicata, una vittoria di Gravina non fermerebbe i fondi esteri.Proprio per questo l'attuale numero uno Figc, in linea con il presidente della serie A Paolo Dal Pino, sta lavorando da mesi alla sua riconferma. Basti pensare che lo scorso anno era riuscito a dissuadere persino Marco Tardelli dal diventare presidente dell'Associazione nazionale calciatori (Aic). Nell'estate 2020, infatti, sembrava che l'ex campione del mondo dell'Italia '82 sfidasse Umberto Calcagno nella successione a Damiano Tommasi. L'Aic vale il 20% dei voti in Figc, più di serie A (12%), serie B (5%) e anche serie C (17%). A settembre fu proprio Gravina ad affidare a Tardelli il ruolo di responsabile del nuovo centro tecnico della Federcalcio che sorgerà a Roma al Salario sport village. Così si è ritirato. La Verità ha potuto leggere il contratto. La Figc ha riconosciuto a Tardelli 200.000 all'anno per quattro anni. Nonostante la candidatura di Beppe Dossena, alla fine è rimasto in lizza solo Calcagno, ora nuovo numero uno dell'Aic, più noto come avvocato che come calciatore, avendo militato in passato nel Baracca Lugo e nel Giulianova. Non solo. A fine dicembre, sempre in piena campagna elettorale, la Figc di Gravina ha stipulato con Calcagno nuovi accordi per l'erogazione di fondi, per un totale di 1.300.000 euroAnche per la presidenza dell'associazione arbitri (Aia) ci sono state diverse polemiche. A vincere è stato Alfredo Trentalange, considerato vicino a Sibilia, accostamento che potrebbe portare molti club a votare per il presidente della Lnd. A uscire sconfitto è stato Marcello Nicchi, a cui si contesta un contratto da 80.000 euro all'anno (sempre con la Figc) come visionatore del Var. Ci sono polemiche anche in serie B. Mauro Balata, che durante l'anno scorso aveva spesso criticato le scelte di Gravina, ora invece sembra più che mai allineato anche per aver scelto come vicepresidente Adriano Galliani, amministratore delegato del Monza. E pensare che Balata si era trovato di fronte a gennaio Ezio Maria Simonelli, quest'ultimo considerato da tempo vicino a Silvio Berlusconi. Ma a vincere è stato sempre Balata che adesso, forte dell'asse con Galliani - uno dei più strenui difensori dell'entrata dei fondi esteri - è diventato uno dei sostenitori di Gravina. Non finisce qui. Perché la parte più rilevante dei problemi è legata alla giustizia sportiva, in mano all'avvocato Giancarlo Viglione, fedelissimo proprio di Gravina e consulente della Federcalcio senza aver mai partecipato a un bando. La Figc in parte è anche soggetta a diritto pubblico (come da sentenza della Corte europea), ma nessuno ha mai visto il suo contratto. A gennaio due comitati della Lega nazionale dilettanti, quello lombardo e quello dell'Emilia Romagna, sono stati oggetto di ricorsi per presunti brogli nella nomina a presidente di Carlo Tavecchio e Simone Alberici. In entrambe le votazioni, infatti, avvenute online, a votare sarebbero state persone diverse da quelle dichiarate. Inoltre non sarebbero stati rispettati i tempi di presentazione dei voti. Il problema è che la giustizia sportiva, invece di fare il suo corso, starebbe prendendo tempo. Sia Tavecchio sia Alberici dovrebbero votare per Gravina. Quando si sapranno i risultati dei ricorsi? Il 25 febbraio, tre giorni dopo l'assemblea, in modo da non intaccare la sfida con Sibilia.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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