2022-02-06
«A Sanremo dirige pure chi ha imparato con il computer»
Mimma Gaspari (Agf-Enrica Scalfari - Ansa)
La consigliera dei big della musica: «Vedere la Michielin sul podio mi interroga, come avrà fatto? Adesso voglio capire la trap».Gianni Morandi, Renato Zero, Enzo Jannacci, Paolo Conte, Nada, Riccardo Cocciante: sono solo alcune delle star per le quali Mimma Gaspari ha lavorato. Come press agent, autrice, consulente per l’immagine… Insomma, è stata la consigliera dei grandi della musica italiana. Dopo Penso che un «mondo» così non ritorni mai più, sempre per Baldini+Castoldi ha appena pubblicato La musica è cambiata?! Dite la vostra che io ho detto la mia, quasi 600 pagine di ritratti, aneddoti, interviste.Le è piaciuto Sanremo?«A tratti sì. Alcune canzoni mi sono piaciute molto. Mi è piaciuta Drusilla Foer. E poi, ovviamente Gianni Morandi, la più bella voce italiana; la seconda è quella di Blanco».Che voto, da 0 a 10?«Darei un sette e mezzo, anche otto».Il merito principale di Amadeus è stato mescolare generazioni musicali diverse?«Direi di sì. Però, non ho capito se sceglie da solo le canzoni, con l’aiuto di Gianmarco Mazzi o di una commissione. In passato c’era una commissione, mi chiedo se sarebbe meglio che ci fosse ancora».Perché questa domanda?«Parlando in questi giorni con Pippo Baudo, mi raccontava che ai suoi tempi, dopo un’iniziale scrematura, una commissione sceglieva un certo numero di canzoni da mandare al Festival. Gianni Ravera voleva avere nel cassetto sempre sette o otto pezzi forti».La selezione di questo Festival era modesta?«No, il pregio di Amadeus è avere mescolato. Ma Sanremo deve avere grandi canzoni, come per esempio Brividi. In passato c’erano interpreti come Riccardo Cocciante, Renato Zero… Quando nel 1968 Sergio Endrigo vinse con Canzone per te si rammaricò: “Era meglio se arrivavo secondo”».Ha avuto anche lei la sensazione che l’esibizione di Cesare Cremonini fosse una spanna sopra quelle di molti concorrenti?«Senz’altro. Cremonini è bravissimo, è un animale da palcoscenico, ha bei testi. Ma io sono bolognese e dunque di parte. Morandi, Lucio Dalla, Francesco Guccini, Luca Carboni, gli Stadio, Ligabue, anche Samuele Bersani, che è di Cattolica… diciamo che la scuola emiliano-romagnola ha dato molto alla canzone italiana».Lei è stata vicina a star come Renato Zero, Conte e Morandi, ma nel suo libro parla con competenza di Salmo, Marracash, Rkomi, Achille Lauro... Perché è così interessata al rap e alla trap?«La curiosità per la musica non muore mai. Voglio capire perché questi rapper hanno tanto successo».E come si risponde?«Ancora non l’ho capito bene. Ci sono situazioni diverse. Per esempio, Blanco ha una voce eccezionale. Alcuni testi sono interessanti, ma è molto difficile cantarli, mentre Poesia di Cocciante la canto anche ora dopo 50 anni».Quindi non si spiega il successo del rap?«Ai giovani piace molto questo genere, ma non sanno chi sono Lucio Battisti e Adriano Celentano. I ragazzi di oggi sono insicuri, déracinés, sradicati. Perciò si riconoscono in questi “fiumi di parole”. Dove si trovano bei testi come L’Albatro di Marracash, che però è incantabile. Forse è musica da ascolto».Da ascolto?«Indie e trap più del rap».Tornando alla domanda del libro che accompagna con punto interrogativo ed esclamativo, la musica è cambiata in meglio o in peggio?«Probabilmente in peggio, non poter cantare le canzoni è un grande difetto. I rapper cantano troppo velocemente».Come si fa a cantare un rap sotto la doccia?«Impossibile, per questo dico che è musica da ascolto».Come il jazz o Ludovico Einaudi? «Non ascolto nel senso classico. A volte il rap ha testi pesanti, come Suicidio di Faust’O, difficile da cantare per noi adulti».Ecco, per gli adulti è più difficile il salto dalla canzone classica al rap o quello dal mondo analogico al digitale?«Domandona. Ormai si è obbligati a diventare digitali, almeno un po’. Entrare nella metrica rap invece è facoltativo e facciamo più fatica perché abbiamo sentito tanta musica importante. Invece, i rapper non conoscono Quando finisce un amore di Cocciante, per dire. Per questo nel libro ho suggerito 250 canzoni da ascoltare prima di lanciarsi come autori».Condivide il tifo della critica per Mahmood e Blanco?«Non sono una giornalista, ma condivido. Certo, preferisco Morandi, però Mahmood e Blanco sono affascinanti ed esprimono una fusione molto forte».È davvero la migliore canzone del Festival o piace perché contiene altri messaggi?«Può darsi, ma non ne sono sicura. In questo Festival ne abbiamo visti parecchi di questi messaggi. Avrei scelto canzoni più propriamente italiane, forse non ce n’erano abbastanza. Ma non voglio giudicare chi sceglie le canzoni. Non mi hanno mai coinvolto nella selezione del Festival, anche se me ne intendo, lo dico senza falsa modestia».Nel 2019 la giuria di qualità sovvertì l’esito del televoto che aveva scelto Ultimo facendo vincere Mahmood.«Ultimo ottenne il 49% dei voti, Mahmood il 15%».In una prospettiva generazionale, il televoto premia sempre i concorrenti più giovani?«È anche una delle mie curiosità: il televoto si concentrerà sui rapper?».Perché l’hip hop nato nei ghetti neri ora, diventato urban, conquista un palco nazionalpopolare come l’Ariston?«Il gangsta rap è espressione della protesta dei neri contro i bianchi, tanto che i neri si arrabbiarono parecchio quando Eminem se ne impadronì. Adesso il rap è diventato un ritmo più che l’espressione di una protesta antirazzista».Non sarà anche perché i rapper italiani sono sensibili alle sirene del mercato e dei media?«Molti si affermano perché si postano su Spotify e vengono segnalati alle case discografiche. È un sistema per sfondare molto diverso da quello di una volta. Oggi le canzoni sono meno verificate».Fedez, J-Ax, Sfera Ebbasta nati nei centri sociali sono diventati fenomeni mediatici.«A 51 anni J-Ax è considerato lo zio del rap. Dai centri sociali alle prime serate tv il salto è vertiginoso. Molti di questi ragazzi sono figli di operai che arrivano dal Sud. Studiano informatica, ma quasi nessuno finisce la scuola. Con i social la strada per il successo è più breve».Sbaglio o Achille Lauro è uno di quelli che le piace meno?«Non sbaglia. Ho lavorato dieci anni con Renato Zero che è sempre stato molto scenografico. Mi diceva: “Non penseranno che ho copiato David Bowie… Ho cominciato prima di lui”. Soffriva perché non superava mai il provino per andare in televisione. Prima o poi mi chiamerete per fargli fare dieci sabati sera, dicevo ai capi della Rai. Infatti. A differenza di Renato che scriveva sempre grandi testi, Lauro fa passare canzoni modeste attraverso la messa in scena».Prevalgono l’immagine e il glamour sulla qualità della musica?«A volte mi sono occupata anche dell’immagine. Ai tempi di Il cuore è uno zingaro, copiandolo da Via col vento, suggerii a Nada un vestito bianco che andò su molte copertine. L’immagine deve aiutare la canzone, non sovrapporsi».Cosa pensa dei Måneskin?«Li trovo bravissimi, Coraline dimostra che sanno fare anche canzoni diverse».Ritiene giustificata questa estasi diffusa?«Mi chiedo perché hanno successo in tutto il mondo. Forse non sono il vero rock, ma in Italia è tanto che non c’è un vero gruppo rock e loro riempiono questo vuoto».Un tempo il successo di un artista si costruiva in anni di studio e con il lavoro di produttori, autori, arrangiatori, discografici: oggi?«Oggi più che costruire ci si posta. Se va va, se no pazienza».I followers sui social hanno preso il posto di casting e provini?«Morandi ha 2 milioni di followers, ma sono persone che lo amano. Io ho fatto tanti provini alla Rca con produttori, musicisti e arrangiatori, era un lavoro d’équipe. Se non si era tutti d’accordo, la canzone non passava».Che cosa ha pensato quando ha visto Francesca Michielin dirigere l’orchestra del Festival?«Non ho ben capito come mai fosse in grado di farlo. Io ho studiato tre anni pianoforte, ma poi ho smesso perché non me la sentivo. Mi chiedo se abbia seguito dei corsi di composizione o di direzione d’orchestra».Consegnarle il podio di Sanremo squalifica il ruolo dei direttori e legittima la presunzione dei millennial?«Ho sentito Enrico Melozzi, il direttore d’orchestra dei Måneskin, dire che ha imparato studiando su Internet. S’impara a dirigere con il computer».Con dei tutorial?«Forse. Il direttore dei Måneskin ha fatto tante direzioni, so che suona anche il violoncello. Io ho sempre sognato di suonare, vedo che tanti ci riescono, ma a volte mi sembrano dei miracoli».Che ricordo ha di Ennio Morricone conosciuto alla Rca?«È uno degli uomini più adorabili che ho incontrato».Parlando di umiltà e applicazione...«Lo incontravo al bar della Rca, dove passavano musicisti, autori, artisti. Lui aveva ascoltato la mia traduzione di Exodus e mi chiese: “Signorina, sarebbe disposta a fare una canzone con me?”. Pensavo di sognare, era il 1966. Mi precipitai e insieme scrivemmo Occhio per occhio che fu portata al Cantagiro da Maurizio Graf».Ha visto il documentario che gli ha dedicato Giuseppe Tornatore?«Ancora no. È rimasto solo due giorni, ma appena tornerà al cinema andrò a vederlo». Ha mai tentato di convincere Paolo Conte a partecipare a Sanremo?«Impossibile. Però Conte ha scritto per altri. Azzurro l’aveva scritta da solo, ma poi fu Vito Pallavicini a farla cantare a Celentano. Il Clan era molto selettivo nella scelta delle canzoni. Pallavicini andò con un registratore Geloso a farla ascoltare ad Adriano attraverso la finestra aperta mentre faceva la doccia».Tra i tanti con i quali ha collaborato a chi è più affezionata e perché?«Ero diventata grande amica di Jannacci. Un po’ perché parlavamo in dollari…».In che senso?«I dirigenti della Rca la ritenevano una gag, ma io li convinsi a pubblicare Vengo anch’io. Vendette 600.000 copie e Jannacci diventò ricco. Così quando gli telefonavo mi diceva: “Parliamo in dollari?”».Con Conte che rapporto ha?«Affettuoso. Mi chiama la dama en bleu marine, alla sua maniera. Ci scriviamo e telefoniamo ancora».Tre canzoni che porterebbe in un’isola deserta?«Vieni via con me, Un mondo d’amore e Vengo anch’io».E l’artista con cui conversare per ingannare le lunghe giornate?«Con Morandi, anche lui bolognese, mi sembrerebbe di tornare alle origini».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 settembre con Carlo Cambi