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Andrea Ruggieri (Imagoeconomica)
L’ex parlamentare Andrea Ruggieri, che ha lanciato la candidatura di Occhiuto alla segreteria: «La strada non è il congresso, che si fonderebbe su tessere di dubbia provenienza».
«Fondare una corrente politica? Per carità, non diciamo parolacce. Ma una cosa è certa: Forza Italia deve camminare su gambe nuove, altrimenti sarà solo la cheerleader degli altri».
Anche quando si affronta la pesantezza della politica, le conversazioni con Andrea Ruggieri scivolano piane e leggere come certi vini bianchi in orario aperitivo. Forse anche per via di questa capacità di smussare gli angoli e sintonizzarsi con l’interlocutore, il giornalista ed ex parlamentare oggi viene inquadrato come uno dei tessitori del nuovo corso del partito. Tutto questo in vista di un congresso decisivo, che potrebbe contrapporre Antonio Tajani a Roberto Occhiuto. Ma Ruggieri frena, sollevando ombre sulla regolarità: «Non parlatemi di congresso. Sono liturgie ridicole. Per giunta si fonderebbe su tessere di dubbia provenienza».
Eppure la sfida alla dirigenza storica sembra essere ormai nei fatti. Il convegno intitolato «In libertà» organizzato da Ruggieri, alla presenza di un battaglione di parlamentari di Forza Italia, ha destato un certo clamore. La scelta scenografica di celebrare l’evento in via del Plebiscito, nella storica residenza romana di Silvio Berlusconi, è carica di simbologia. «Forza Italia non mi invita più ai convegni, e allora il convegno me lo sono fatto da solo, a Palazzo Grazioli, che per me è la capitale romana della cultura liberale. È stato un successo». Obiettivo: «Tornare allo spirito del ’94, come voleva il fondatore».
Diamo prima un’occhiata al curriculum. Avvocato penalista. Giornalista televisivo in Rai. Nipote di Bruno Vespa.
«Quattordici anni in Rai, senza mai arrivare alla conduzione proprio per via della parentela. È quella che io chiamo simpaticamente “la tassa Vespa”, che ho sempre dovuto sostenere. Ovviamente non per colpa sua».
Ma le avrà insegnato il mestiere.
«Assolutamente sì, zio Bruno è il numero uno, grande fonte di ispirazione e apprendimento. Mi dà suggerimenti e consigli insuperabili. Ma nessun dirigente tv può dire di aver mai ricevuto una sua telefonata in mio favore».
Primo incontro con Silvio Berlusconi?
«Nel 2015. Aveva adocchiato una puntata di un mio programma tv dedicato agli errori giudiziari, si chiamava Presunto colpevole. Mi telefonò sul cellulare: “Venga a Palazzo Grazioli”».
Faccia a faccia.
«L’incontro doveva durare 15 minuti: parlammo per un’ora e mezza. Poi ci siamo rivisti più volte, sempre in via del Plebiscito. Finché non mi disse: “Perché non lasci il lavoro e vieni a darmi una mano?”. Già all’epoca ero convinto che il partito andasse profondamente riformato».
Diventa collaboratore del leader, e poi parlamentare nelle file di Forza Italia. Ma poi non viene ricandidato.
«Lo sapevano tutti che i colonnelli del partito volevano farmi fuori. Ma avrei potuto continuare. Ho rifiutato tante offerte di rielezione provenienti da altri partiti: volevo mantenere intatta la stima degli elettori e la lealtà verso Berlusconi».
Una parentesi con Matteo Renzi, da direttore de Il Riformista.
«Gli voglio bene, è un politico di talento che però gioca nella squadra sbagliata. Sta personalizzando un po’ troppo gli attacchi contro Giorgia Meloni: purtroppo con lui la tattica prevale sulla strategia».
E arriviamo all’oggi. Da dove è partita l’idea di organizzare quel convegno proprio a Palazzo Grazioli?
«È stata un’idea mia, concretizzata con la mia società di comunicazione. Ufficialmente non ho invitato nessuno, a parte i 12 relatori di assoluto livello. Ma tutti erano benvenuti, e per tutti sarebbe stata un’opportunità».
Non è una corrente, si ripete, ma piuttosto una «scossa»?
«Questa in realtà è la prima di una lunga serie di scosse. Dopodiché, chi scambia un convegno per una corrente non capisce nulla di politica. Per fare una corrente bisogna stare in Parlamento, e io sono fuori».
La vecchia guardia del partito come l’ha presa?
«Qualcuno maligna e sparge veleno, ma non è una novità. A febbraio sicuramente replicheremo con un altro convegno a Milano».
Obiettivo finale?
«Condivido in pieno le parole di Pier Silvio Berlusconi: Forza Italia per vincere deve ritrovare freschezza, con idee e programmi rinnovati».
Cioè?
«Il partito va pesantemente aggiornato, perché continuando così si rischia di finire fuori mercato».
Fuori mercato?
«Oggi il mondo è cambiato, e non puoi continuare a vendere il Nokia prima generazione. Devi costruire l’ultimo modello e farlo bene».
Che significa?
«Bisogna importare personalità brillanti, dalla società civile e dalla tv. Tornare a puntare sulla capacità comunicativa, che è fondamentale. Chi parla di legame col territorio mi fa ridere. Tutto questo, ovviamente, rispettando il portato culturale del partito. E riscoprendo lo spirito liberale degli albori».
Antonio Tajani deve lasciare?
«Guardi, non avrei problemi a criticare il partito, anzi, avrei tutto il diritto di farlo, senza chiedere il permesso a nessuno».
Però?
«Però Tajani l’ho sempre rispettato, vanta rapporti internazionali fortissimi, sarebbe un perfetto presidente della Repubblica».
Lo sta candidando?
«Tuttavia, la storia italiana ci insegna che è quasi impossibile per un segretario di partito in carica salire al Quirinale. E io auguro a Tajani di avere davvero una chance per la presidenza».
Abbandonando la leadership, dunque?
«È proprio perché voglio bene a Forza Italia che immagino per questo partito un futuro diverso. Ci sono praterie di voti a disposizione, se solo riuscissimo a metterci al passo coi tempi».
Con il governatore calabrese Roberto Occhiuto?
«Ha fatto alcune mosse sacrosante. Si è scontrato con un governo amico, pur di liberalizzare il trasporto privato. Introduce l’intelligenza artificiale come elemento di meritocrazia nei bandi pubblici. Accetta e alimenta la concorrenza. Fatti alla mano, Occhiuto rappresenta bene, e meglio di altri, lo spirito di cui c’è bisogno».
Il congresso sarà una resa dei conti?
«I congressi sono una liturgia ridicola, non è questa la strada. E questo congresso in particolare si fonderebbe su tessere di dubbia provenienza».
Teme un congresso falsato?
«Fratelli d’Italia ha il 30% dei voti e 254.000 iscritti. Forza Italia con il 7% avrebbe 200.000 iscritti? Mi sembra un po’ anomalo».
Quindi si aspetta un cambio al vertice consensuale, senza spargimenti di sangue?
«Sì, nell’interesse di Forza Italia e della nazione. La dirigenza del partito dovrebbe prendere esempio dalla famiglia Berlusconi, che ha sempre mantenuto armonia ed unità, e che sta raggiungendo traguardi industriali giganteschi. Sono il simbolo di un’Italia che accetta le sfide del presente, e che non fa mai catenaccio».
Giorgia Meloni?
«Meno male che c’è lei a Palazzo Chigi, perché l’alternativa è il caos di una sinistra impresentabile».
Tuttavia?
«Tuttavia, una colonna liberale nella coalizione farebbe bene a tutti, anche in termini elettorali. Se liberali come Pera e Nordio sono finiti a orbitare intorno a Fratelli d’Italia, forse in Forza Italia c’è qualcosa di sbagliato nei meccanismi di selezione. Una Forza Italia più forte potrebbe favorire un cambiamento nel Ppe, aiutando Meloni a rivincere».
Quale è il rischio? Morire elettoralmente?
«Il rischio è che il partito si riduca a fare la “cheerleader” di chi vince. Come ha detto Nicola Porro, sulle battaglie di libertà non dobbiamo essere moderati, ma “estremisti liberali”».
Da dove dovrebbe partire la rivoluzione liberale?
«Dal riconoscimento di un principio: è solo l’iniziativa privata che crea ricchezza, non lo Stato. E quindi occorre invertire l’onere della prova nel processo tributario, esaltare il venture capitalism privato, dare in concessione ai privati i beni culturali, liberalizzare il settore taxi, togliere un anno di liceo e università abolendo la riforma Berlinguer. Meno tasse e burocrazia, più garantismo nei tribunali e più diritti civili».
Diritti civili?
«Il mondo cambia. È ora di riconoscere la cittadinanza automatica a chi la matura da straniero, e poi si discuta liberamente di eutanasia e delle adozioni dei single».
Con buona pace di Salvini?
«Competition is competition. Adesso sto andando negli Stati Uniti, dove affitterò l’auto di un privato cittadino che fa profitto, guidata da un immigrato che lavora e non delinque, visiterò località della Florida che richiamano turisti e producono posti di lavoro. Se ci riescono gli americani, perché in Italia, con la storia che abbiamo, non si può fare?».
Si immagina un partito alleato con Renzi e Calenda?
«Non finché continuano a frequentare personaggi come Bonelli e Silvia Salis».
Nel pantheon di Forza Italia, nelle ultime ore, ci è finito persino il sindaco di New York Mamdani, icona della sinistra.
«Io francamente preferisco Ronald Reagan e Tony Blair. Sono i punti di riferimento perfetti, con Silvio Berlusconi, per un partito che riscopre la sua natura originaria, riformista e liberale».
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Il castello di Melfi (iStock)
La ricchezza della storia della Basilicata rivive in un dialogo con cittadini e turisti.
Passeggiare tra i castelli normanni, assistere a uno spettacolo di piazza, sfogliare un libro o partecipare a un laboratorio per ragazzi: ogni attività di Fantastico Medioevo è pensata per coinvolgere e far sentire tutti parte di una storia più grande. E mentre il 2031 si avvicina, la Basilicata si prepara a festeggiare gli 800 anni delle Costituzioni di Federico II. Un anniversario che non sarà solo una celebrazione, ma anche un’occasione per riscoprire le proprie radici e proiettarle nel futuro. Perché, in fondo, conoscere il proprio passato è il modo migliore per immaginare il domani. L’iniziativa, ideata dalla presidenza della Regione Basilicata e coordinata dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019, in collaborazione con l’Apt e la Lucania film commission, si traduce in un percorso lungo tre anni fatto di eventi, festival, spettacoli, mostre e laboratori. Che abbraccia i borghi del Vulture-Melfese Alto Bradano e li trasforma in palcoscenici viventi. L’obiettivo? Restituire a questa terra il ruolo che ebbe nel Medioevo e raccontarlo in modo nuovo, coinvolgente e inclusivo. Forse non tutti lo sanno, ma la Basilicata non fu mai un angolo dimenticato. Al contrario: Melfi era il cuore pulsante della politica medievale. Qui si svolsero concili papali, si alzarono castelli normanni e, soprattutto, nel 1231 l’imperatore Federico II di Svevia promulgò le celebri Costituzioni di Melfi. L’importanza della Basilicata nel Medioevo sta proprio in questo: non un margine, ma un crocevia. Non una terra isolata, ma un luogo di connessioni, di innovazioni e di visioni politiche che hanno segnato la storia europea. Ed è da qui che nasce il senso del progetto Fantastico Medioevo: restituire dignità e centralità a una regione che, ottocento anni fa, ha contribuito a scrivere una delle pagine più avanzate e moderne della nostra civiltà. Per questo, la Regione Basilicata ha creato una vera e propria «rete medievale» con i comuni del Vulture-Melfese Alto Bradano e con partner internazionali. In programma ci sono: un festival delle arti performative con musica, teatro e danza; una collana editoriale per Laterza; mostre multimediali e fotografiche; rievocazioni storiche e laboratori per le scuole; una web series dedicata ai luoghi e ai personaggi dell’epoca. Il presidente della Regione Vito Bardi è convinto: «Con Fantastico Medioevo vogliamo unire storia, identità e turismo per generare nuova economia e appartenenza. Melfi e gli altri comuni che hanno tracce medievali non sono mai stati valorizzati come meritano: ora lo faremo con forza e visione».
Accanto a lui, lo storico Fulvio Delle Donne, direttore scientifico del progetto, aggiunge: «La Basilicata è stata crocevia di culture straordinarie. Il nostro compito è restituire questa ricchezza, raccontando un Medioevo luminoso e moderno, lontano dagli stereotipi».
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Eniko Gyori (Ansa)
L’eurodeputata ungherese: «Già l’accordo commerciale con Kiev danneggia la nostra agricoltura. Col Mercosur la uccideremmo».
Eniko Gyori, ambasciatore in Italia per l’Ungheria. Per quanto tempo?
«Dal 1999 fino all’inizio del 2003»
Il che spiega il suo perfetto italiano. Da quanto tempo è a Bruxelles come europarlamentare di Fidesz? Il partito guidato dal primo ministro Viktor Orbán?
«Terza legislatura. La prima l’ho iniziata nel 2009. Ma non l’ho conclusa. Ho infatti ricoperto la carica di ministro di Stato per gli Affari europei. Rieletta nel 2019 e quindi nel 2024».
L’Ungheria ha definito grave la scelta del Consiglio europeo di procedere con il finanziamento all’Ucraina.
«Siamo preoccupati. L’Europa si sente in guerra. Lo ha ribadito Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione europea a settembre. E lo ha confermato il segretario generale della Nato, pochi giorni fa. Non è così. L’Europa non è in guerra. Addolorati che la nostra vicina Ucraina lo sia perché aggredita dalla Russia. Ma sono passati già tre anni e mezzo e non siamo arrivati a nessun risultato. Questo ci preoccupa. E facciamo un Consiglio europeo per finanziare il proseguimento della guerra? Dovremmo concentrare tutte le nostre energie ed anche i mezzi finanziari per arrivare alla pace. Come ci arriviamo?».
Appunto…
«Gli americani ci provano. Non ci si arriva in 24 ore come promesso da Trump. Giusto. Ma dovremmo supportare gli Stati Uniti. Pure Macron ha ammesso che dovremmo tornare a dialogare con Putin. Come si può arrivare alla pace senza dialogare con la controparte? All’ordine del giorno del Consiglio europeo c’era l’ipotesi di confiscare gli asset russi in Europa. Avessimo scelto questa strada ci saremmo trovati in guerra contro la Russia. Questo pericolo - anche grazie all’Ungheria - è stato evitato. Che la Russia sia l’aggressore non c’è alcun dubbio. Così come sul fatto che l’Ucraina non potrà mai vincere questa guerra. Se questi sono i presupposti dobbiamo cercare un’altra strada».
Sta dicendo che l’Unione europea cerca di sabotare il processo di pace portato avanti da Trump?
«Fatico a vedere la situazione in un altro modo. Non sono convinta che l’Europa abbia fatto del suo meglio per convincere le parti in guerra a negoziare. Finanziare l’Ucraina senza condizioni invece che convincerli a negoziare non è una buona strategia. Tutti vediamo gli scandali di corruzione. La toilette d’oro ha avuto un impatto qua».
Pure da noi… mi creda.
«In Ungheria abbiamo accolto più di un milione di profughi ucraini. Ma dopo quasi quattro anni dobbiamo ammettere che la strategia europea non ha funzionato. Il primo ministro belga si è opposto nell’interesse del suo Paese alla confisca dei beni russi a Bruxelles. Lei sa che il patrimonio privato europeo in Russia vale molto di più di quello russo in Europa?».
La confisca dei beni russi era un’illusione. Molti governi vi si cullavano. Ora che molti Paesi europei hanno scoperto la realtà, cioè si sono indebitati per far proseguire la guerra, ecco che Emmanuel Macron scopre che dobbiamo dialogare con Vladimit Putin. Un bagno di realismo?
«Purtroppo, non sono ottimista. Adesso dicono che l'Unione europea ha raggiunto un successo. Di nuovo debito comune. Come con il recovery fund. Ecco perché l’Ungheria ha dato il suo placet. A patto che non partecipasse finanziariamente».
Come la Cechia e la Slovacchia. Sa che vi invidio?
«Non ne ha motivo, mi creda. Giorgia Meloni è molto brava. E questo mi fa essere ottimista. Tre Paesi di Visegrad sono uniti. Manca la Polonia. Ma la comprendo e la rispetto. Hanno una sensibilità diversa rispetto a noi. Come i nostri partner baltici. Un primo ministro deve però comportarsi in maniera razionale. E pensare all’interesse del suo Paese. Come appunto ha fatto il primo ministro belga e anche la premier italiana».
Qual è la posizione dell’Ungheria sull’accordo di libero scambio fra Unione europea e Mercosur?
«Noi pensiamo che adesso non sia il momento. E sa perché? Perché abbiamo approvato la liberalizzazione del commercio con l’Ucraina attraverso il Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (accordo che prevede un’area di libero scambio simile che è stato concluso anche con Moldova e Georgia, ndr). Da lì arrivano prodotti agricoli come il grano. Non creda che questo non sia un problema per gli agricoltori europei. Ma sul punto se ti azzardi a dire qualcosa ti dicono che siamo cuccioli di Putin. Poi abbiamo il Green deal. Anche questo danneggia i nostri agricoltori. Se ci mettiamo anche il Mercosur finiamo per uccidere definitivamente la nostra agricoltura. L’Ucraina domani sarà una potenza agricola le cui terre sono in mano agli americani. Per questo diciamo che non è il momento di firmare l’accordo con il Mercosur. Non lo sosteniamo».
È una buona idea una volta ottenuta la pace - come speriamo - ammettere l’Ucraina dentro l’Unione europea?
«No, noi pensiamo che sicuramente non sia una buona idea. Quello che stupisce, ma davvero, è che sia stata iniziata questa procedura dell’allargamento mentre abbiamo i Paesi balcanici che aspettano da più di vent’anni. Questi Paesi hanno iniziato un loro percorso. Hanno fatto delle riforme importanti e non lo riconosciamo. Sempre ci inventiamo nuovi ostacoli per loro. Mentre la maggior parte degli Stati membri adesso vogliono aprire la porta all’Ucraina. Ma scusate, di cosa stiamo parlando? Conosciamo il territorio? Quanto è grande l’Ucraina? Dove sono i confini? Lo sappiamo? Sappiamo quanta gente ci abita? E la corruzione? Prima di tutto dobbiamo fare la pace. Dobbiamo aiutarli ad avere una partnership strategica con l’Unione europea. Questo va bene».
Con un governo filorusso in Ucraina domani, questa scelts potrebbe essere una porta di ingresso per la Russia.
«Sa quello che mi ha detto un importante politico della Macedonia qualche anno fa? “Ah, vedo che funziona così. Ti invade la Russia e allora puoi entrare nell’Unione europea. Forse diciamo ai russi che vengano a invaderci anche noi e così possiamo entrare più velocemente”. Le sembra logico?».
Da ex ambasciatore che effetto le ha fatto il documento National Security Strategy pubblicato dal presidente americano Donald Trump sul sito della Casa Bianca? Gli europeisti l’hanno preso molto male!
«Molto male. Giustamente perché il tono non era cortese. Questi americani dicono però la verità. Quello che nessuno ha detto prima perché infuriava una battaglia ideologica e culturale. Penso alla cultura woke. Una volta con una delegazione del Parlamento europeo sono stata alla Casa Bianca. C’era ancora Biden e praticamente ho toccato con mano. Dividevano il mondo tra i cattivi e i buoni. Invece dobbiamo rispettare gli altri Paesi. Anche se non sono necessariamente democrazie perfette. E vedevamo affiorare l’antisemitismo nelle università americane e adesso anche in Europa. E inoltre l’Europa che ha perso competitività. Io mi occupo di temi economici. Ci spaventa come l’Europa abbia scelto la strada sbagliata con il Green deal. Cresce il divario di competitività con Asia e con l’America. Ci spiegano perché siamo in pieno declino economico. Può piacere o non piacere quel documento. Ma è la pura verità. Per non parlare del tema immigrazione».
L’Ungheria viene multata per un milione di euro al giorno dall’Unione europea?
«Esatto. Al margine del Consiglio europeo si è tenuta una riunione di 8-9 primi ministri per parlare di immigrazione. Il tema è che molti immigrati sono già entrati. Noi da 2015 non li lasciamo entrare. E non vogliamo quote obbligatorie. Non vogliamo queste soluzioni».
Vi preoccupano i sondaggi alle prossime elezioni? Fidesz è data in calo di consensi.
«La risposta è semplice. Si devono vincere le elezioni e non i sondaggi. Ma non possiamo starcene seduti e tranquilli. Abbiamo un nuovo avversario (Peter Magyar, leader di Tisza, iscritto nel Partito popolare europeo, ndr). Animato da sentimenti di rivalsa e vendetta anche per questioni sue personali e familiari. Il Partito popolare europeo lo ha scelto. Ed ha tutto il sostegno europeo. È una strada sbagliata questa dell’interferenza dell’Unione europea, perché va contro i principi sui quali si è fondata l’Ue stessa. Io sono comunque ottimista. Bisogna lavorare molto e triplicare lo sforzo in rete. Il nostro avversario è forte ma gli ungheresi capiranno che lui non ha un progetto politico. Ma solo rivalsa e vendetta. Non è così che si conquista il voto degli ungheresi».
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L’energia solare, grazie alla sua natura rinnovabile e alla crescente efficienza dei moduli, è una soluzione flessibile e scalabile per accelerare la transizione verso l’energia pulita.
L’energia fotovoltaica rappresenta una delle principali leve della transizione energetica, grazie alla sua capacità di trasformare la luce del sole in elettricità attraverso moduli sempre più efficienti e affidabili. Nonostante la variabilità naturale legata al ciclo giorno-notte, alle stagioni e alle condizioni meteorologiche, il fotovoltaico è una fonte relativamente ubiqua e totalmente rinnovabile. Sfruttando in maniera intelligente le coperture già esistenti di edifici residenziali, industriali e amministrativi, ex-siti produttivi e terreni non coltivabili, questa tecnologia può contribuire in modo significativo alla decarbonizzazione del settore elettrico.
La riduzione dei costi di produzione dei moduli fotovoltaici negli ultimi anni è stata spettacolare, rendendo la tecnologia sempre più competitiva rispetto alle fonti fossili. Allo stesso tempo, i progressi tecnologici hanno consentito di raggiungere elevate efficienze di conversione della luce solare in elettricità, aumentando la resa energetica per metro quadrato e rendendo possibile la realizzazione di impianti su piccola e grande scala con flessibilità e semplicità d’installazione.
In Italia, Il Gruppo Enel, guidato da Flavio Cattaneo, ha attivato impianti significativi che dimostrano il valore strategico del fotovoltaico. Un esempio emblematico è l’impianto solare di Trino, il più grande del Nord Italia, che con la sua capacità di generazione copre il fabbisogno energetico di circa 48.000 famiglie con energia verde e contribuisce in maniera rilevante alla transizione energetica nazionale. Inoltre il parco di Trino è integrato a un sistema di accumulo di batterie agli ioni di litio che che garantirà l’adeguatezza del sistema elettrico e fornirà alla rete quei servizi necessari a garantire la sicurezza dell'intero sistema elettrico. Al contempo, iniziative come l’utilizzo di tracker intelligenti sviluppati con il Politecnico di Milano permettono di massimizzare la produzione anche nelle giornate meno soleggiate, ottimizzando la gestione degli impianti e garantendo maggiore affidabilità della rete.

Il fotovoltaico non si limita agli impianti a terra. Di particolare interesse sono le innovazioni come il solare galleggiante, ad esempio quello installato nella centrale idroelettrica di Venaus di Enel: situato sulla vasca di scarico della centrale, l’impianto fotovoltaico produce energia senza ulteriore consumo di suolo, riducendo l’evaporazione dell’acqua favorita dall’ombreggiamento dei pannelli, con un impatto paesaggistico minimo.
Ci sono poi soluzioni innovative che integrano l’energia solare e lo storage. Un esempio è il l’impianto presente nell’aeroporto di Fiumicino affiancato a un sistema di accumulo con batterie, nato grazie alla partnership tra Enel e ADR.
Questi progetti dimostrano come il fotovoltaico sia una tecnologia che può essere adattata a contesti diversi, combinando produzione energetica e sostenibilità. Allo stesso tempo, progetti sperimentali come l’uso dell’energia solare nello spazio aprono la strada a nuove frontiere per l’elettricità pulita, potenzialmente destinata ad alimentare grandi sistemi terrestri e satellitari.
Grazie alla scalabilità e flessibilità del fotovoltaico, città e territori possono integrare energia pulita in maniera graduale e sostenibile, riducendo le emissioni e contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione nazionali ed europei. Questa capacità di adattarsi a diversi contesti rende il fotovoltaico una risorsa chiave nella costruzione di un sistema elettrico moderno, sicuro e affidabile, in grado di affiancare altre fonti rinnovabili come geotermia, idroelettrico ed eolico.
Il fotovoltaico rende tangibile il potenziale del sole, integrando energia pulita in edifici, spazi industriali e terreni non coltivabili. Grazie a impianti flessibili e tecnologicamente avanzati, questa fonte contribuisce a ridurre le emissioni, sostenere la rete elettrica e accompagnare l’Italia verso un futuro energetico più sostenibile e resiliente.
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