2020-01-05
«Saranno pop, ma le mie mostre piacciono»
Marco Goldin ha portato in Italia gli impressionisti, Vincent Van Gogh (cui dedicherà un'esposizione di 120 opere) e Paul Vermeer: «I puristi storcono il naso, io però ho sempre cercato di accorciare la distanza fra arte e pubblico. Perché le emozioni contano, quando si racconta la pittura».L'arte pop. L'arte emotiva. L'arte della fruizione diffusa. Marco Goldin è il signore che ha dato la sua impronta personale al consumo d'arte nel nostro Paese. Il segreto? Rivolgersi a tutti scremando la patina intellettuale e trasformando le mostre in eventi popolari. «Accorciare la distanza», sintetizza lui in tre parole. L'ultimo esempio viene dal Capodanno alla Gran Guardia di Verona, dove la visita a Il tempo di Giacometti. Da Chagall a Kandiski è stato un modo per festeggiare l'arrivo del 2020: alla mezzanotte le guide hanno interrotto l'illustrazione delle opere per lo scambio degli auguri tra i presenti.Trevigiano, fondatore e direttore di Linea d'ombra, la società che realizza esposizioni dalla a alla zeta, Goldin è noto per aver portato in Italia gli impressionisti, Vincent Van Gogh e La ragazza con l'orecchino di perla di Paul Vermeer. Nei 400 eventi da lui curati dal 1984 a oggi 11 milioni di visitatori hanno potuto vedere 10.000 opere provenienti da 1.200 fra musei, fondazioni e collezioni private di tutti i continenti. Per nove anni una delle sue mostre è stata la più visitata d'Italia e per quattro volte tra le dieci più viste al mondo.Come le è venuto in mente di far trascorrere San Silvestro davanti alle sculture di Alberto Giacometti?«Non è la prima volta che teniamo aperta una mostra la notte di Capodanno. La prima fu nel 2011 a Genova, su sollecitazione del Comune: Van Gogh e il viaggio di Gauguin fu un successo clamoroso. Quella volta abbinammo anche il cenone, affittando alcune sale vicine a Palazzo Ducale dopo avere esaurito quelle nel palazzo stesso. Risultato finale, 1.700 persone a cena e oltre 3.000 in mostra».E da allora…«Replicammo la formula. A Vicenza, per il Capodanno del 2012 attorno alla Basilica Palladiana, dov'era allestita Raffaello verso Picasso, parteciparono 5.000 persone: i visitatori si mescolavano con i partecipanti alla festa della città. Abbiamo riproposto poi l'idea a Verona, a Treviso e quest'anno nuovamente a Verona».Con quale risposta di pubblico?«Hanno partecipato circa un migliaio di persone. Un numero veramente notevole considerato che le sculture, e così severe come sono quelle di Giacometti, non sono propriamente intonate al clima dell'ultimo dell'anno. La mostra a San Silvestro è un'idea che piace, e molto, a chi è stanco dei cenoni con obbligo di divertimento e preferisce l'alternativa dell'arte». Qual è l'idea di fondo?«Che esistono diversi modi per vivere lo stesso evento. Una collezione di capolavori si può presentare in modo asettico oppure in un modo adatto anche al grande pubblico. Personalmente mi avvicino alle opere attraverso lo studio, perché solo la conoscenza mette nella condizione di rivolgersi poi a un pubblico più largo. Uno scultore come Giacometti non è semplicissimo da comunicare. Ma attraverso lezioni, conferenze e testi si possono costruire delle storie e raccontare ciò che l'artista ha rappresentato per il suo tempo e la comunità nella quale viveva».La famosa narrazione?«Che dev'essere sostenuta dalla qualità dei contenuti. Non si creano eventi senza un forte nucleo artistico criticamente strutturato».Ci vogliono i capolavori.«Se ci sono le grandi opere si possono organizzare altri eventi, dallo spettacolo teatrale alla lezione universitaria, per diverse tipologie di pubblico». Perché i puristi storcono il naso?«Dicono che faccia mostre troppo popolari».E per loro è un difetto.«Sono sicuro che si possa proporre una materia sofisticata in un modo destinato anche al pubblico più largo. Ci sono gli specialisti del Rinascimento o del Cinquecento veneziano ai quali nessuno obietta alcunché. I miei secoli di studio sono l'Ottocento e il Novecento, ho allestito mostre sull'arte americana e la pittura scandinava, ma taluni fingono che mi limiti agli impressionisti e a Van Gogh. Certo, fanno più rumore perché richiamano un pubblico più numeroso, ma rappresentano non più del 10% della mia attività».Perché gli impressionisti e Van Gogh hanno così tanto successo? In che cosa si riconosce il pubblico?«Bisogna distinguere. Gli impressionisti ci raccontano un mondo del quale abbiamo nostalgia. La bellezza del paesaggio, dei cieli, delle nuvole e del vento ci racconta un mondo che non c'è più ma che continua ad ammaliarci, perché è ancora dentro di noi. Invece, il fascino di Van Gogh deriva da un'esistenza complicata: noi ci ritroviamo nella profondità di un'anima attraversata dalla sofferenza, ciò che percorre le sue opere».Che cosa può dare questo modo di fruire l'arte a un Paese ricco di patrimonio, ma pigro nel frequentarlo?«Da una ventina d'anni si registra un crescente risveglio di sensibilità e passione per l'arte e la bellezza. Lo percepiamo tutti, lo vediamo per esempio dai riscontri dei visitatori nel nostro database, al call center e sui social che registrano centinaia di commenti quotidiani. Un tempo andare a una mostra o visitare un museo era molto più complicato che andare a un concerto o leggere un libro. Oggi l'arte ha smesso di essere qualcosa di polveroso, relegato nella torre d'avorio». Su questo si prende qualche merito?«Fin dalle prime mostre che ho curato, ancor prima che ci fosse Linea d'ombra, ho sempre cercato di accorciare la distanza fra arte e pubblico. Quando ci si riesce, nasce qualcosa di buono, perché si crea un senso di comunità che apre prospettive inedite».Come si diventa un manager d'arte di rilevanza internazionale?«Non ne ho la più pallida idea. Ho iniziato dalle piccole cose, ma senza l'idea di diventare qualcuno. Certo, l'ambizione ce l'avevo, ma nel 1984, a 23 anni, la figura del critico come la conosciamo oggi non esisteva».Quindi da che cosa è partito?«Da piccole mostre sui pittori italiani del Novecento, soprattutto della sua seconda metà. La mia passione. A Palazzo Sarcinelli, a Conegliano. Ne facevo anche una al mese. Poco alla volta i grandi critici, come Giovanni Testori del Corriere della Sera e Giorgio Soavi del Giornale, mi si fecero vicini perché se si voleva vedere un certo tipo di pittura bisognava venire a Conegliano. Nel 1997 ho avuto i primi prestiti internazionali, due Ninfee di Monet. Dal 1998 ho iniziato a organizzare la stagione di mostre rimasta celebre nella Casa dei Carraresi di Treviso. Mi muovevo senza complessi, come fossi a Milano o a Roma. Così, lavorando e lavorando, si è imposto “il caso Treviso" nel mondo».Lavorando e lavorando…«Fino al 1996 non ho mai avuto collaboratori. Ero il segretario di me stesso, mi occupavo delle assicurazioni, trattavo con le ditte di trasporti, organizzavo la pubblicità e la comunicazione… Il marketing dell'arte non esisteva e le mostre venivano annunciate nelle riviste specializzate o con qualche affissione».Qual è la mostra che le ha dato più soddisfazione come manager?«Manager è una figura nella quale non so se mi riconosco. La mia fortuna è stata riuscire a trasformare la mia passione in lavoro. Seguo i progetti dall'inizio alla fine, con attenzione maniacale. Non basta essere esperti se non si sa trasformare in qualcosa d'altro le proprie competenze. Quasi sempre ci si affida a società terze. Linea d'ombra ha una visione completa dell'evento, accompagnato dal principio alla fine».Tornando alle mostre che le hanno dato soddisfazione?«Potrei citare America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo, al museo Santa Giulia di Brescia nel 2007, che fu l'esito di un lavoro durato tre anni con venti viaggi negli Stati Uniti. Due anni prima, sempre a Brescia, avevo fatto Gauguin/ Van Gogh. L'avventura del colore nuovo. Poi La ragazza con l'orecchino di perla a Bologna. La voleva tutta Europa, ma erano state previste solo tre sedi in Giappone e tre negli Stati Uniti. Quando si aprì uno spiraglio, divennero decisivi i miei rapporti con il direttore del museo Mauritshuis dell'Aia. Un'altra esposizione che ho amato tanto è quella del 2010 sulla pittura scandinava, a Villa Manin di Passariano, per la quale ho avuto prestiti dai maggiori musei del nord Europa».Le sue lezioni e i suoi spettacoli che seguito hanno?«Notevole. Qualche anno fa tenevo delle lezioni per promuovere le mostre. Poco alla volta si sono trasformate in veri spettacoli teatrali, anche con la partecipazione di grandi artisti come nel caso di Antonella Ruggiero, in occasione delle mostre bresciane del 2006. O di Franco Battiato, Alice e Francesca Michielin per La ragazza con l'orecchino di perla. Ultimamente, La grande storia dell'impressionismo è diventato uno spettacolo autonomo con le musiche meravigliose del pianista Remo Anzovino: trenta date tra fine 2018 e fine 2019 con una media non lontana dai mille spettatori paganti per sera». Tra Philippe Daverio, Federico Zeri, Achille Bonito Oliva, Vittorio Sgarbi, Tomaso Montanari a chi si sente più vicino?«Montanari non lesina attacchi. Mi sono avvicinato all'arte leggendo Roberto Tassi, Luigi Carluccio, Testori. Ho sempre amato lo scrivere sulla pittura. Tassi era un poeta dell'arte, sensibilissimo, Testori un grande scrittore. Ho amato tanto la scrittura, e certe scelte, di Francesco Arcangeli, l'allievo principale di Roberto Longhi, sul quale ho fatto la tesi di laurea. Ho più di qualche preferenza artistica in comune con Sgarbi, che ho sempre stimato, anche se trovo sia più oratore che scrittore». La prossima mostra?«S'intitolerà Van Gogh. I colori della vita, la prima di due in occasione dei 25 anni di Linea d'ombra. Si terrà al Centro san Gaetano di Padova, dal 10 ottobre 2020 all'11 aprile 2021 e consisterà di oltre 120 opere, di cui oltre 80 dipinti e disegni di Van Gogh. La prossima settimana andrò in Olanda, con molti giornalisti, per presentarla in anteprima. Per questa esposizione ho pensato anche a una serie di iniziative e aperture straordinarie, legate sia all'approfondimento critico che al vivere l'arte come patrimonio dell'emozione, perché le emozioni contano quando si vuole raccontare la pittura».
Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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