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2023-09-16
L’Ue promette aiuti ma ci lascia soli. Meloni invita Ursula sull’isola assediata
Ursula von der Leyen (Ansa)
Questione migranti sempre più al centro in Europa, e non per il volume degli arrivi, sia chiaro, ma per l’avvicinarsi delle elezioni europee. A finire nel ciclone è il memorandum d’Intesa tra Unione Europea e Tunisia sottoscritto, per cercare di arginare gli sbarchi in Italia. La Commissione europea ha comunicato di rimanere impegnata nella sua attuazione, ma di fatto all’interno dell’esecutivo è iniziato il fuoco incrociato dei socialisti. Al presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sono arrivate dure critiche, l’accusa più forte mossa all’esecutivo Ue è quella di aver chiuso un occhio sulle sempre più sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate in Tunisia ai danni dei migranti subsahariani. La capogruppo dei Socialisti e democratici, Iratxe Garcia Perez, ha chiesto di «sospendere immediatamente un’intesa illegale». La situazione si è fatta ancora più difficile dopo il divieto di ingresso in Tunisia imposto alla delegazione dell’Europarlamento.
E adesso arriva anche la richiesta della Mediatrice europea, Emily O’Reilly, di fornire risposte su «come l’esecutivo Ue intende garantire il rispetto dei diritti umani nelle azioni legate alla migrazione» in Tunisia. In una lettera indirizzata a Von der Leyen, O’Reilly ha chiesto alla Commissione Ue di rispondere entro il 13 dicembre a tre quesiti specifici. Il presidente dell’esecutivo comunitario dovrà confermare di aver condotto una valutazione d’impatto sui diritti umani prima della firma del memorandum e di aver preso in considerazione misure per «mitigare i rischi di violazioni dei diritti umani». La mediatrice Ue ha chiesto di rendere pubblica tale valutazione o, nel caso questa non esistesse, di spiegare le motivazioni. Il secondo quesito riguarda l’intenzione di portare avanti valutazioni d’impatto sui diritti umani «sistematiche ed effettive» durante l’implementazione dell’accordo, e in che modo assicurerà che siano condotte in modo «trasparente e inclusivo».
Infine, ricorda che i finanziamenti europei «non possono supportare azioni o misure che causino violazioni dei diritti umani nei Paesi partner», con riferimento ai 105 milioni di euro destinati alla Tunisia per rafforzare il controllo alle frontiere. La portavoce della Commissione europea, Ana Pisonero, ha confermato la ricezione della lettera e ha garantito che l’esecutivo Ue «coopererà con l’Ombudsman e risponderà prima della scadenza». La vice capoportavoce, Dana Spinant, ha rivendicato la «piena trasparenza» sul dialogo con la Tunisia, dimostrata dall’aver pubblicato immediatamente il testo integrale dell’accordo. A oggi, neanche un euro dei 105 milioni previsti per la migrazione e dei 150 milioni per rimpinguare le casse del Paese, sono ancora stati mossi.
Oltre allo scontro politico su questo tema in Europa regna la solita ipocrisia. Inutile girarci intorno: le persone che migrano non vogliono venire in Italia, ma è qui che rimangono bloccate perché i nostri partner europei non intendono accoglierli. Nonostante i fatti siano questi, Lampedusa in questi giorni è sulla bocca di tutti. I leader europei a parole insistono nel dire che l’Italia non può essere lasciata sola, ma intanto chiudono le porte. L’esempio più eclatante è Emmanuel Macron. Il presidente francese non si è fatto scrupoli ad abbandonare l’Italia al suo destino. Eppure ieri ha dichiarato: «Su Lampedusa c’è un dovere di solidarietà europea». Il suo ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin - in contatto con l’omologo italiano, Matteo Piantedosi - ha riunito i suoi ufficialmente per parlare della «situazione migratoria» a Lampedusa. Non è chiaro se la Francia intende seguire la decisione della Germania di sospendere l’accoglienza volontaria dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia, ma va ricordato che Darmanin all’inizio della settimana ha annunciato un ingente rafforzamento del dispositivo di polizia al confine con l’Italia. Non solo, perché adesso anche l’Austria ha deciso di intensificare il monitoraggio al confine del Brennero.
Anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha voluto dare un segnale, a parole, sentendo Giorgia Meloni: «Lampedusa è Europa, la sfida è comune». Ma è la premier a fare la mossa a sorpresa. Palazzo Chigi ha infatti invitato Ursula von der Leyen proprio a Lampedusa. D’altra parte nell’Unione ognuno ha pensato solo a sé stesso ed è il momento di guardare in faccia la realtà: la Grecia per proteggersi dalla Turchia ha eretto un muro, così come l’Ungheria poco prima. I Paesi del Nord hanno inasprito le loro leggi, in Danimarca anche la sinistra propone la lotta all’immigrazione. Per non parlare di Francia e Germania.
Il premier vuole la svolta dall’Unione: «Missione Ue per fermare gli arrivi»
Giorgia Meloni ha risposto allo «strappo» di Matteo Salvini sul contrasto all’immigrazione illegale. Come è noto, il vicepremier e leader della Lega aveva due giorni fa attaccato a testa bassa le istituzioni europee e le cancellerie di Germania e Francia, accusandole di mettere scientemente in atto una strategia per mandare al collasso le strutture di accoglienza del nostro Paese e creare il caos anche a livello di sicurezza nazionale. Un «atto di guerra», lo aveva definito Salvini, e ieri sera il premier ha diffuso un video di circa sei minuti in cui, dopo avere premesso che la pressione migratoria sull’Italia e la situazione delle strutture di accoglienza è insostenibile, ha annunciato delle misure straordinarie che verranno assunte dal governo già dal Consiglio dei ministri di lunedì prossimo. «Il governo», ha affermato il premier, «intende adottare nell’immediato misure straordinarie per far fronte agli sbarchi». La prima che sarà licenziata già lunedì sarà la possibilità di trattenere i migranti nei centri per i rimpatri «fino al massimo consentito dalla normativa Ue», e cioè fino a 18 mesi. Poi il premier ha aggiunto che nelle prossime settimane ci saranno altre misure, tra cui la costruzione di nuove e numerose strutture di trattenimento per i migranti «in zone a bassissima densità abitativa». Al di là delle misure annunciate, il significato politico dell’iniziativa del premier di ieri sera è stato chiarissimo: dare un segnale al proprio elettorato e agli italiani sul fatto che la linea in materia di contrasto all’immigrazione non è cambiata. «Non abbiamo cambiato idea», ha detto alla fine del suo messaggio, proprio nelle ore in cui imperversavano i retroscena su presunti attriti tra Fdi e Lega sulle politiche migratorie. Meloni ha anche rivendicato la bontà del memorandum di intesa con la Tunisia, ma ha accusato alcuni settori dell’Ue di sabotarlo, appellandosi ai diritti civili nel Paese nordafricano, bloccando l’arrivo delle risorse a Tunisi, determinando così un tacito via libera al lavoro dei trafficanti umani. E non a caso l’elemento su cui il premier ha insistito, mostrando di volere la linea dura data l’urgenza della situazione, è proprio il contenimento di partenze e sbarchi: «Noi abbiamo chiesto», ha detto, «un totale cambio di paradigma. Fermare a monte i trafficanti di essere umani e l’immigrazione illegale di massa. E come si realizza? Come è scritto nei nostri programmi: con una missione europea, anche navale se necessario, in accordo con le autorità del Nord Africa per fermare la partenza dei barconi. Verificare in Africa chi ha diritto all'asilo e accogliere in Europa solo chi ne ha effettivamente diritto, secondo le convenzioni internazionali». Dopo aver accusato una parte delle istituzioni Ue, Meloni non ha mancato di accusare anche i loro referenti nella politica italiana (Pd in primis), quando ha fatto riferimento «al quotidiano tentativo di alcune forze politiche e influenti realtà di sostenere che la Tunisia sarebbe un regime oppressivo con il quale non si possono fare accordi, di dichiarare persino che la Tunisia non sarebbe un porto sicuro e quindi dove non è possibile rimpatriare gli immigrati irregolari o impedire la partenza dei migranti da quelle coste».Il messaggio del presidente del Consiglio è arrivato al termine di un’altra giornata convulsa, nella quale il ministro leghista Roberto Calderoli aveva ripetuto le parole di Salvini, affermando che «c’è una regia» contro l'Italia dietro l’impennata degli sbarchi», che «in assenza di una qualunque risposta da parte dell’Europa, l’Italia dovrà fare da sola» e che «quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno tutto ciò non si verificava». A margine dell’Assemblea di Confindustria, inoltre, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva annunciato che al ritorno del viaggio in Usa si recherà a Parigi e a Berlino per mettere sul tavolo la questione dei ricollocamenti. Successivamente, Tajani aveva avuto una conversazione telefonica con la sua omologa francese, Catherine Colonna.
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Emmanuel Macron: «La solidarietà è un dovere». Il mediatore europeo però chiede conto dei diritti umani nell’intesa con Tunisi. Il presidente Giorgia Meloni: «Non escludiamo l’impegno via nave». Antonio Tajani andrà a Parigi e a Berlino.Lo speciale contiene due articoli. Questione migranti sempre più al centro in Europa, e non per il volume degli arrivi, sia chiaro, ma per l’avvicinarsi delle elezioni europee. A finire nel ciclone è il memorandum d’Intesa tra Unione Europea e Tunisia sottoscritto, per cercare di arginare gli sbarchi in Italia. La Commissione europea ha comunicato di rimanere impegnata nella sua attuazione, ma di fatto all’interno dell’esecutivo è iniziato il fuoco incrociato dei socialisti. Al presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sono arrivate dure critiche, l’accusa più forte mossa all’esecutivo Ue è quella di aver chiuso un occhio sulle sempre più sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate in Tunisia ai danni dei migranti subsahariani. La capogruppo dei Socialisti e democratici, Iratxe Garcia Perez, ha chiesto di «sospendere immediatamente un’intesa illegale». La situazione si è fatta ancora più difficile dopo il divieto di ingresso in Tunisia imposto alla delegazione dell’Europarlamento. E adesso arriva anche la richiesta della Mediatrice europea, Emily O’Reilly, di fornire risposte su «come l’esecutivo Ue intende garantire il rispetto dei diritti umani nelle azioni legate alla migrazione» in Tunisia. In una lettera indirizzata a Von der Leyen, O’Reilly ha chiesto alla Commissione Ue di rispondere entro il 13 dicembre a tre quesiti specifici. Il presidente dell’esecutivo comunitario dovrà confermare di aver condotto una valutazione d’impatto sui diritti umani prima della firma del memorandum e di aver preso in considerazione misure per «mitigare i rischi di violazioni dei diritti umani». La mediatrice Ue ha chiesto di rendere pubblica tale valutazione o, nel caso questa non esistesse, di spiegare le motivazioni. Il secondo quesito riguarda l’intenzione di portare avanti valutazioni d’impatto sui diritti umani «sistematiche ed effettive» durante l’implementazione dell’accordo, e in che modo assicurerà che siano condotte in modo «trasparente e inclusivo».Infine, ricorda che i finanziamenti europei «non possono supportare azioni o misure che causino violazioni dei diritti umani nei Paesi partner», con riferimento ai 105 milioni di euro destinati alla Tunisia per rafforzare il controllo alle frontiere. La portavoce della Commissione europea, Ana Pisonero, ha confermato la ricezione della lettera e ha garantito che l’esecutivo Ue «coopererà con l’Ombudsman e risponderà prima della scadenza». La vice capoportavoce, Dana Spinant, ha rivendicato la «piena trasparenza» sul dialogo con la Tunisia, dimostrata dall’aver pubblicato immediatamente il testo integrale dell’accordo. A oggi, neanche un euro dei 105 milioni previsti per la migrazione e dei 150 milioni per rimpinguare le casse del Paese, sono ancora stati mossi. Oltre allo scontro politico su questo tema in Europa regna la solita ipocrisia. Inutile girarci intorno: le persone che migrano non vogliono venire in Italia, ma è qui che rimangono bloccate perché i nostri partner europei non intendono accoglierli. Nonostante i fatti siano questi, Lampedusa in questi giorni è sulla bocca di tutti. I leader europei a parole insistono nel dire che l’Italia non può essere lasciata sola, ma intanto chiudono le porte. L’esempio più eclatante è Emmanuel Macron. Il presidente francese non si è fatto scrupoli ad abbandonare l’Italia al suo destino. Eppure ieri ha dichiarato: «Su Lampedusa c’è un dovere di solidarietà europea». Il suo ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin - in contatto con l’omologo italiano, Matteo Piantedosi - ha riunito i suoi ufficialmente per parlare della «situazione migratoria» a Lampedusa. Non è chiaro se la Francia intende seguire la decisione della Germania di sospendere l’accoglienza volontaria dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia, ma va ricordato che Darmanin all’inizio della settimana ha annunciato un ingente rafforzamento del dispositivo di polizia al confine con l’Italia. Non solo, perché adesso anche l’Austria ha deciso di intensificare il monitoraggio al confine del Brennero.Anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha voluto dare un segnale, a parole, sentendo Giorgia Meloni: «Lampedusa è Europa, la sfida è comune». Ma è la premier a fare la mossa a sorpresa. Palazzo Chigi ha infatti invitato Ursula von der Leyen proprio a Lampedusa. D’altra parte nell’Unione ognuno ha pensato solo a sé stesso ed è il momento di guardare in faccia la realtà: la Grecia per proteggersi dalla Turchia ha eretto un muro, così come l’Ungheria poco prima. I Paesi del Nord hanno inasprito le loro leggi, in Danimarca anche la sinistra propone la lotta all’immigrazione. 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Un «atto di guerra», lo aveva definito Salvini, e ieri sera il premier ha diffuso un video di circa sei minuti in cui, dopo avere premesso che la pressione migratoria sull’Italia e la situazione delle strutture di accoglienza è insostenibile, ha annunciato delle misure straordinarie che verranno assunte dal governo già dal Consiglio dei ministri di lunedì prossimo. «Il governo», ha affermato il premier, «intende adottare nell’immediato misure straordinarie per far fronte agli sbarchi». La prima che sarà licenziata già lunedì sarà la possibilità di trattenere i migranti nei centri per i rimpatri «fino al massimo consentito dalla normativa Ue», e cioè fino a 18 mesi. Poi il premier ha aggiunto che nelle prossime settimane ci saranno altre misure, tra cui la costruzione di nuove e numerose strutture di trattenimento per i migranti «in zone a bassissima densità abitativa». Al di là delle misure annunciate, il significato politico dell’iniziativa del premier di ieri sera è stato chiarissimo: dare un segnale al proprio elettorato e agli italiani sul fatto che la linea in materia di contrasto all’immigrazione non è cambiata. «Non abbiamo cambiato idea», ha detto alla fine del suo messaggio, proprio nelle ore in cui imperversavano i retroscena su presunti attriti tra Fdi e Lega sulle politiche migratorie. Meloni ha anche rivendicato la bontà del memorandum di intesa con la Tunisia, ma ha accusato alcuni settori dell’Ue di sabotarlo, appellandosi ai diritti civili nel Paese nordafricano, bloccando l’arrivo delle risorse a Tunisi, determinando così un tacito via libera al lavoro dei trafficanti umani. E non a caso l’elemento su cui il premier ha insistito, mostrando di volere la linea dura data l’urgenza della situazione, è proprio il contenimento di partenze e sbarchi: «Noi abbiamo chiesto», ha detto, «un totale cambio di paradigma. Fermare a monte i trafficanti di essere umani e l’immigrazione illegale di massa. E come si realizza? Come è scritto nei nostri programmi: con una missione europea, anche navale se necessario, in accordo con le autorità del Nord Africa per fermare la partenza dei barconi. Verificare in Africa chi ha diritto all'asilo e accogliere in Europa solo chi ne ha effettivamente diritto, secondo le convenzioni internazionali». Dopo aver accusato una parte delle istituzioni Ue, Meloni non ha mancato di accusare anche i loro referenti nella politica italiana (Pd in primis), quando ha fatto riferimento «al quotidiano tentativo di alcune forze politiche e influenti realtà di sostenere che la Tunisia sarebbe un regime oppressivo con il quale non si possono fare accordi, di dichiarare persino che la Tunisia non sarebbe un porto sicuro e quindi dove non è possibile rimpatriare gli immigrati irregolari o impedire la partenza dei migranti da quelle coste».Il messaggio del presidente del Consiglio è arrivato al termine di un’altra giornata convulsa, nella quale il ministro leghista Roberto Calderoli aveva ripetuto le parole di Salvini, affermando che «c’è una regia» contro l'Italia dietro l’impennata degli sbarchi», che «in assenza di una qualunque risposta da parte dell’Europa, l’Italia dovrà fare da sola» e che «quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno tutto ciò non si verificava». A margine dell’Assemblea di Confindustria, inoltre, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva annunciato che al ritorno del viaggio in Usa si recherà a Parigi e a Berlino per mettere sul tavolo la questione dei ricollocamenti. Successivamente, Tajani aveva avuto una conversazione telefonica con la sua omologa francese, Catherine Colonna.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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