2019-01-17
Nomi dei giocatori del Milan scritti in arabo (Getty)
Alla Supercoppa a Riad non ci sarà l’arbitro Marco Guida: era designato per la finale, ma rifiuta di gestire i match del Napoli. Intanto i nomi dei giocatori sulle maglie sono in arabo. E su Milan-Como in Australia con fischietto asiatico incombono ricorsi.
Ed arbitro s’assise in mezzo a loro. La visione manzoniana del ruolo non ha più senso nei tribunali, figuriamoci a pelo d’erba dove rotola il pallone, nel delirio collettivo del football. Ma è proprio dall’arbitro che parte il giudizio del mondo sportivo, è ancora lui il termometro più attendibile per valutare lo stato di salute di un sistema. Ecco, se vale l’assunto, quello italiano è profondamente malato, quasi in coma. Lo si comprende da due vicende di questi giorni. Due storie, due anomalie: il caso Marco Guida e il caso Milan-Como a Perth, partita di campionato che sarà diretta da un fischietto asiatico.
L’arbitro di Pompei era il prescelto dai vertici dell’Aia per dirigere la finale di Supercoppa italiana a Ryad lunedì sera, con una postilla surreale: se non ci sarà il Napoli. In caso contrario (quindi nel mondo reale visto che gli azzurri di Antonio Conte hanno liquidato il Milan in semifinale) lui resta a casa e si scalda Andrea Colombo. Tutto questo perché tempo fa Guida chiese di stare lontano dalle partite dei campioni d’Italia «per salvaguardare la famiglia». Motivazione ufficiale: «La mattina devo andare a prendere i miei figli a scuola e voglio stare tranquillo».
Una scelta personale che il designatore Gianluca Rocchi ha accettato senza battere ciglio. Il timore è legittimo ma la vicenda è pazzesca: si tratta del primo caso di ricusazione palese di una squadra da parte di un arbitro. Il problema non sta nella gentilezza del venire incontro a un timore, ma nel condizionamento indotto a tutto il campionato, visto che Guida continua allegramente a fischiare o non fischiare rigori, a decidere o non decidere ammonizioni nelle partite dei club in lotta per lo scudetto, punto a punto proprio contro il Napoli. Poiché la stagione sembra avviata a una lunga, affascinante ed estenuante volata a quattro o a cinque (anche Milan, Inter, Roma, Juventus coinvolte) è molto probabile che la stranezza venga trasformata in aberrazione procedurale. I soliti sospetti? Se ci sono, è proprio la casta arbitrale ad alimentarli prima ancora delle curve.
Si parla tanto di regolarità del campionato ma un altro caso si profila a metterla in dubbio, un secondo bruco nella mela: la gita a pagamento di Milan e Como per disputare l’8 febbraio in Australia la sfida di campionato (San Siro sarà inagibile per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali). Per 12 milioni lordi da spartire - 5 al Milan, 4 al Como, 3 al resto del circo - la Serie A con il cappello in mano attraversa il globo e diventa per la Fifa un esperimento in provetta di calcio globale senz’anima. I tifosi rossoneri sono sulle barricate e il rimborso di 25 euro agli abbonati li lascia indifferenti: «Quella sarà una sfida vera, avremmo voluto esserci. Anche in campo neutro ma in Italia. Dov’è il rispetto per gli spettatori?».
Follow the money. Dalla federazione guidata dal traballante Gabriele Gravina e dalla Lega dell’impalpabile Ezio Simonelli nessuna opposizione, anzi un atteggiamento da leoni da scendiletto. La stessa proposta (Villarreal-Barcellona a Miami) era stata rigettata dopo un minuto dalla Liga spagnola. Noi no, noi siamo più cool, anche se l’Uefa medesima avrebbe volentieri vietato la gita da Erasmus del football. Con un problemino non secondario: l’arbitro sarà asiatico, designato dalla Fifa. E allora? E allora c’è il rischio di mandare in vacca la regolarità del campionato.
Il regolamento prevede (all’articolo 5) che «le gare ufficiali devono essere dirette da un arbitro designato dal competente organo tecnico dell’Aia». Sarà sufficiente un ricorso qualsivoglia per scatenare un putiferio. Chiamato a prendere posizione, il presidente della Commissione arbitri della Fifa, Pierluigi Collina, ha dato il via libera (come chiedere all’oste se il vino è buono). Lo sottolinea il numero uno della Lega, Simonelli: «Collina mi ha dato garanzie, ha fischietti di qualità da segnalare per la partita. Noi accetteremo questa condizione». Ma il vulnus regolamentare rimane, è l’elefante nella stanza mentre il mondo del pallone si sgonfia e perde credibilità. Lo stesso Gravina, risvegliandosi dal sonno dei giusti nutre qualche dubbio: «Sull’arbitro asiatico qualche riflessione va fatta, soprattutto in merito all’equa competizione». La stessa che con Guida in giro per l’Italia sarebbe salvaguardata, bontà sua.
Verghino signori, per un pugno di dollari si svende il calcio italiano, già malandato di suo. Lo si nota nel mini torneo arabo, dove la Supercoppa è custodita da hostess velate trattate da oggetti misteriosi, gli stadi sono semivuoti (va fatta la tara ai figuranti ingaggiati a pagamento) e i nomi dei calciatori - almeno quelli del Milan sponsorizzato Emirates - scritti in arabo sulla schiena. L’europarlamentare della Lega, Silvia Sardone, è saltata sul divano: «Le immagini mi hanno lasciata perplessa, è uno spot all’islamismo, la celebrazione del velo che è lo strumento di oppressione per eccellenza. Come può la Lega (calcio, non facciamo confusione - ndr) permettere tutto questo? Sappiamo che non è più sport ma solo una questione di soldi. Però a tutto dovrebbe esserci un limite. Basta con la svendita del nostro calcio».
Un’aggravante è l’inconsapevolezza dei protagonisti. Riassumendo la questua itinerante di Ryad e Perth, l’allenatore del Milan Max Allegri mostra lampi di entusiasmo: «Speriamo che tutto ciò sia un apripista del futuro del calcio italiano e non solo un caso isolato». Tanto lui è già tornato a casa.
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Le immagini delle telecamere di sorveglianza della stazione di Crescenzago (Ansa)
Arrestato ecuadoriano: sceglieva vittime a caso fuori dal metrò per poi aggredirle sotto casa. La città oramai è un Far West.
Dietro alla decisione degli inquirenti di diffondere ieri il video che ritrae il diciannovenne ecuadoriano, arrestato il 13 dicembre a Milano perché ritenuto responsabile di due episodi di violenza sessuale in danno di altrettante minorenni, potrebbe celarsi il timore che lo straniero finito ai domiciliari abbia commesso altre aggressioni non denunciate. A farlo pensare, oltre al filmato di quasi due minuti che ritrae il diciannovenne mentre segue una delle due presunte vittime mentre esce da una fermata della linea M2 della metropolitana, c’è la diffusione dei dettagli sul monopattino che il giovane usava per seguire le ragazze e il cappellino che indossava in entrambi gli episodi denunciati.
L’attività investigativa, condotta dal Nucleo Operativo Milano Porta Monforte dei carabinieri ha permesso di mettere a sistema i dati investigativi delle violenze sessuali commesse a Bussero il 12 agosto 2025, ai danni di una quindicenne, e a Milano il 19 settembre 2025, ai danni di un’altra adolescente di 16 anni. I dettagli di quanto denunciato dalle due adolescenti non sono stati resi noti. Come detto, le due vittime sono entrambe minorenni, e la tutela della loro identità è comprensibilmente stata messa al primo posto. Quello che è noto è che attirare l’attenzione degli inquirenti è stato l’identico modus operandi: l’indagato individuava la «preda», una minorenne da sola in una stazione della Metropolitana della M2 (Gorgonzola e Crescenzago) e da lì dava inizio a un pedinamento discreto delle vittime, che seguiva attentamente sino all’arrivo presso la loro abitazione, dove le ragazzine, una volta aperto il portone di casa, venivano assaltate dall’aggressore.
È grazie a dettagli presenti in entrambe le violenze che è stato possibile riconoscerlo: il giovane straniero si muoveva a bordo di un monopattino elettrico con elementi di colore arancione brillante e con indosso un cappellino da baseball verde che, è poi emerso dall’attività investigativa, indossava comunemente, anche per andare al lavoro. Particolarità che hanno permesso agli inquirenti di identificarne con certezza l’ecuadoriano come l’autore.
Inoltre, il diciannovenne, andava al lavoro con gli stessi abiti descritti dalle giovani vittime delle aggressioni, indumenti che sono stati trovati in casa. Nel filmato diffuso ieri si vede il diciannovenne fermo con un piede sul monopattino. Resta così per diverso tempo fino a quando, come emerge dalle immagini catturate da una telecamera di sicurezza acquisite dagli investigatori dell’Arma, qualcosa non attira la sua attenzione. È la quindicenne vittima della violenza del 12 agosto. L’adolescente è appena scesa dalla metropolitana, passa casualmente davanti all’ecuadoriano fermo sul suo monopattino. Tra i due non c’è nessuna interazione, circostanza che sembra confermare che i due non si fossero mai visti prima e che la scelta delle vittime sia casuale. La ragazzina si dirige verso l’uscita e cammina verso casa. Lui poco dopo sale sul monopattino e la segue. Le immagini lo immortalano prima mentre esce dalla stazione della M2, poi mentre, in pieno giorno, la segue a distanza lungo un vialetto alberato che costeggia i binari della metropolitana, che in quel tratto sono in superficie. Poi, a distanza, la pedina fino a casa. E qui, appena lei entra nel condominio, inizia l’incubo.
La vicenda dello stupratore del metrò rilancia l’allarme sulla sicurezza per le donne sui trasporti pubblici di Milano e del suo hinterland.
Nella notte tra il 30 e il 31 agosto, infatti, a cavallo tra le due aggressioni sulla M2, una diciottenne era stata stuprata alla stazione di San Zenone al Lambro, tra Milano e Lodi. In manette era poi finito un venticinquenne originario del Mali, incastrato dopo che i carabinieri del Ris di Parma hanno trovato una corrispondenza con le tracce biologiche lasciate dall’aggressore sui vestiti della ragazza. La giovane, dopo una serata trascorsa con la sorella, stava andando a prendere il treno per rientrare a casa. La ragazza, sotto choc, aveva subito raccontato ai carabinieri che «un uomo, di carnagione scura e con i capelli ricci», l’aveva afferrata e trascinata oltre un sottopassaggio, e là, nascosto dalla vegetazione, l’aveva immobilizzata, picchiata e stuprata. La diciottenne era rimasta in balia dell’aggressore per circa un’ora prima di riuscire a chiamare, in lacrime, il 112.
L’immigrato, che lavorava come aiuto cuoco in una onlus di Milano, era arrivato in Italia da poco più di un anno, grazie allo status di protezione sussidiaria concesso dalla commissione territoriale.
Anche in quel caso, a rivelarsi fondamentali erano state le immagini delle telecamere di sicurezza. All’arresto, nella notte tra martedì 9 e mercoledì 10 settembre, gli investigatori sono arrivati incrociando i filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona della stazione e quella della onlus «Fratelli di San Francesco» dove la sera della violenza l’aiuto cuoco Sangare sostituiva un collega assente. Una vita all’apparenza irreprensibile, come quella del presunto stupratore in monopattino della M2.
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A poche ore dalla Prima al Maggio Musicale Fiorentino, il soprano boliviano-albanese racconta tutto il suo amore per il personaggio generato dal genio di Giacomo Puccini: «È una guerriera che prova a vivere ogni giorno come un dono, nonostante la malattia»
Alluvione in Emilia-Romagna (Ansa)
Nel fascicolo sull’alluvione nel Ravennate del 2024 compaiono figure apicali pubbliche e private. La Procura contesta presunte negligenze dal 2016 fino a oggi. Il presidente Michele De Pascale però tergiversa: «Rispetto per i magistrati, ma anche per gli inquisiti».
Per prima cosa si è preoccupato di chiedere «rispetto» per i presunti colpevoli del disastro, perché per pensare alle vittime, si sa, c’è sempre tempo. E anzi ha ricordato che il rischio idrogeologico «non si può azzerare». Non poteva scegliere modo migliore, Michele De Pascale, presidente della Regione Emilia Romagna, per condensare in poche parole l’atavica inerzia delle amministrazioni Pd nel mettere mano alle fragilità del territorio romagnolo, finito sott’acqua tre volte di seguito negli ultimi due anni.
La Procura di Ravenna ha emesso 12 avvisi di garanzia per l’alluvione del settembre 2024 che colpì duramente due paesi, Traversara e Boncellino, in Provincia di Ravenna. L’argine che doveva proteggere le due frazioni di Bagnacavallo, che aveva già ceduto nel maggio del 2023 con una prima alluvione, a causa dell’incuria del territorio e delle mancate pulizie degli alvei del fiume, esplose letteralmente il 19 settembre 2024, sommergendo le abitazioni vicine e allagando completamente il centro abitato con decine di famiglie sfollate, molte delle quali, ancora oggi, non hanno fatto ritorno nelle loro case.
Gli indagati non sono tecnici qualunque, ma veri e propri big a livello regionale, «figure apicali della Protezione civile e del settore Cura del territorio e Ambiente della Regione Emilia Romagna» si legge negli atti, in attività già durante il mandato del presidente Stefano Bonaccini, in carica come governatore dal 2014 al 2024, a cui spettano comunque, per competenza, la maggior parte delle responsabilità politiche della vicenda. Tra gli atri risultano indagati Rita Nicolini, dal 2019 direttore della Agenzia regionale per la Sicurezza territoriale e la Protezione civile e oggi in staff, con il ruolo di capo dell’area tecnica, del commissario straordinario di governo alla ricostruzione dei territori colpiti dalle alluvioni, e Paolo Ferrecchi, direttore generale dell’Arpae, ex vertice del servizio Ambiente della Regione Emilia Romagna.
Insieme a loro anche alcuni titolari delle ditte che hanno eseguito i lavori di ripristino dopo la prima alluvione in un regime di «somma urgenza» che, secondo l’accusa, avrebbe lasciato spazio a procedure quantomeno affrettate. Ma anche attualmente persiste il rischio di nuovi cedimenti. L’indagine era partita dopo il sopralluogo nelle zone colpite dalla alluvione dei pm Daniele Barberini e Francesco Coco che, per vederci chiaro, commissionarono una approfondita verifica tecnica al Politecnico di Milano e la consulenza ha segnalato sia negligenze di lunga data che «omissioni su strutture di ripristino che avrebbero potuto evitare o mitigare il rischio idraulico».
Il fascicolo, infatti, era stato aperto per disastro colposo contro ignoti, ma nel corso delle indagini è emerso che il rischio, per i territori già colpiti, non è affatto terminato. Alla prima ipotesi di reato, infatti, si è aggiunto anche il «pericolo di disastro» legato alla qualità degli interventi realizzati in seguito alle alluvioni. In poche parole, quello che è accaduto potrebbe ancora succedere.
Eppure, davanti a tutto questo, De Pascale, già sindaco di Ravenna e dunque originario dei luoghi disastrati, invece di gioire per le vittime che, da tempo, chiedono risposte sulle mancanze di chi doveva tutelare ambiente e cittadini, ha pensato bene di mettere, per prima cosa, al sicuro i suoi con un laconico «è giusto che i magistrati verifichino, ma chiediamo a tutti rispetto anche degli indagati», come se il problema dell’intera vicenda fosse lì. E non contento ha messo le mani avanti per il futuro: «Stiamo facendo il massimo ma il rischio idrogeologico in queste aree è impossibile da azzerare».
«Il presidente De Pascale è stato superficiale e irrispettoso nelle sue dichiarazioni, soprattutto nei confronti delle famiglie che pagano il prezzo più alto senza nessuna colpa. I cittadini hanno diritto di conoscere le scelte compiute in anni di governo di un territorio fragile e notoriamente vulnerabile» ha dichiarato la capogruppo Fdi in Regione Emilia-Romagna, Marta Evangelisti, ricordando che «la prevenzione non è uno slogan e oggi la priorità è fare piena chiarezza su quanto è stato fatto, o non fatto, in termini di manutenzione del territorio e utilizzo delle risorse già disponibili».
A gioire della piega precisa che, per una volta, sembra aver preso un’indagine su un disastro ambientale sono i comitati dei cittadini dei territori colpiti: «È molto importante questa conclusione delle indagini, perché conferma quello che da tempo è noto ma dà al tema una nuova ottica. Pare si vada, infatti, nella direzione di individuare non generiche responsabilità politiche ma responsabilità personali di amministratori pubblici e dirigenti - spiega l’avvocato Adriano Travaglia che segue decine di famiglie rimaste senza nulla a causa dell’alluvione -. È un fatto importante per spronare tutte le amministrazioni pubbliche a prendere davvero e con attenzione in carico il tema del rischio idrogeologico e ambientale».
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