autostrade per l'italia

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«Proroga ad Autostrade mai confermata»
Ansa
  • L'allungamento fino al 2042 della concessione ai Benetton, approvato nel 2017 dalla Commissione europea, non sarebbe valido. Spiega l'ex senatore genovese Maurizio Rossi: «Il governo Gentiloni non l'ha ratificato». Conto meno salato in caso di revoca.
  • Luigi Di Maio: «È stato fatto un regalo clamoroso, chiederemo i danni erariali agli ex ministri responsabili». Renzo Piano dona «un'idea di ponte» a Giovanni Toti. Danilo Toninelli: «Autostrade pagherà, ma ricostruiremo noi».

Lo speciale contiene due articoli

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Toninelli: «Così hanno lucrato sui pedaggi»
Ansa
Autostrade pubblica online il testo della convezione. Il ministro: «Nel 2016 la società ha fatturato quasi 7 miliardi, di cui 5,7 derivano dai pedaggi. Allo Stato sono tornati appena 841 milioni». In Procura corsa contro il tempo per l'elenco degli indagati.
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Sconfitto dalla realtà, Renzi può solo minacciare
Ansa

Tra una conferenza stampa a pagamento e una registrazione di una serie televisiva in attesa di pagamento, l'ex presidente del Consiglio ha trovato il tempo di occuparsi anche di quanto è accaduto a Genova.

Nel mezzo dell'ostentazione muscolare, però, ci sono le considerazioni sul populismo, un fenomeno che l'ex segretario ritiene destinato a tramontare in fretta, per restituire il testimone a lui. Non passa intervento, che si tratti di un'intervista o di una diretta Facebook, nel quale l'ex premier non ribadisca il concetto. Il messaggio è chiaro: questi, intesi come Matteo Salvini e Luigi Di Maio, durano poco, poi toccherà di nuovo a noi, cioè a me. «Il clima di giacobinismo rischia di ritorcersi contro i presunti rivoluzionari. E secondo me accadrà molto prima del previsto. Per questo la comunità civile deve reagire subito», ha dichiarato al quotidiano di Mario Calabresi. Renzi non ha dubbi: «Da qui a Natale nasceranno in tutti i Comuni comitati civici contro questo governo. E prima del previsto nell'angolo ci saranno Salvini e Di Maio, non noi». Una frase, quella del senatore semplice di Scandicci, che si presta a due considerazioni. La prima riguarda, più che Genova e la gestione delle Autostrade, il futuro del Pd. Se per fare opposizione, che come dice l'ex segretario, si deve mettere da parte il fioretto per rispondere colpo su colpo (come se non lo facesse) e c'è bisogno di far nascere comitati civici in tutta Italia, ne consegue che il Pd è morto e Renzi lo vuole sotterrare in fretta insieme con Maurizio Martina. Già, perché se per fare opposizione non basta un partito che c'è già e che alle ultime elezioni ha preso il 18%, ma si devono tenere a battesimo altri soggetti politici come i comitati civici, vuol dire che il Pd è una bad company, ossia una società che in pancia ha più debiti che crediti e va abbandonata al proprio destino come un relitto da smontare. Tutto ciò ovviamente conferma le indiscrezioni circa il varo di un nuovo soggetto politico in stile Macron di cui si discute da mesi, un En marche! in salsa fiorentina.

La seconda considerazione che consegue dopo la lettura dell'intervista al quotidiano di De Benedetti è che, nonostante le molte batoste, Renzi dimostra di non aver imparato la lezione e soprattutto di non aver capito nulla di ciò che è accaduto in questi mesi. Di fronte ai fischi a Martina e a Roberta Pinotti, l'ex segretario si ferma agli aspetti esteriori e non va al nocciolo della questione. Se ai funerali a essere contestati sono stati due ex ministri del Pd non è perché la folla sia stata fomentata dai 5 stelle o dalla Lega. Tra i partecipanti alle esequie non c'erano attivisti dei due movimenti, come vorrebbe far credere il deputato di pronto intervento Michele Anzaldi, un piddino più lesto nel dichiarare che nel pensare. No, in quell'hangar c'erano persone commosse e addolorate. Le quali non erano animate da calcoli politici, ma da un sentimento autentico contro l'establishment, ossia contro quella classe politica che ha governato il Paese negli ultimi 20, 30 anni. Se dopo oltre un quarto di secolo, con questi qui, siamo arrivati ai ponti che crollano, non vogliamo più vederli né sentirli. Ecco, il ragionamento è semplice, non politico e nemmeno populista. Non c'entrano la Gronda, Grillo, Salvini, Di Maio e tutto il resto. C'entra la voglia di farli sparire. C'è una sensazione di nausea contro chi in tutti questi anni non è riuscito a migliorare la vita degli italiani, ma solo a complicarla. Chi ha votato il 4 marzo contro i partiti lo ha fatto per chiudere un'epoca, ritenendo che gente inesperta come Di Maio e Salvini potesse essere meglio e avere più chance di cambiare il Paese di quei politici che avevano promesso di farlo, rivelandosi invece uomini attenti alle lobby e ai propri interessi più che alle esigenze di chi li aveva votati. Gli italiani non si sono incattiviti, come ha detto, sempre a Repubblica, Oliviero Toscani, il menestrello dei Benetton. Riferendosi ovviamente a quelli che dopo il crollo del ponte Morandi hanno messo nel mirino la famiglia di Ponzano, mica a quelli che comprano i maglioni colorati. Semplicemente ne hanno le tasche piene di gente così chic da stabilire che cosa è bene e cosa è male per il popolo, pur restando chiusa nei propri salotti e nelle proprie tenute.

I fischi di Genova non erano contro Martina e la Pinotti (che almeno hanno avuto il coraggio di metterci la faccia), ma contro la classe dirigente del Paese. Cominciando dai politici per finire agli imprenditori, senza dimenticare, ovvio, i giornalisti. Se Renzi, invece di fare conferenze a pagamento e condurre trasmissioni in attesa di essere pagato, fosse andato a Genova, lo avrebbe capito da solo. O forse no.

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Porte girevoli tra Stato e Atlantia. Nel colosso lavora l’ex ministro di Prodi
Ansa
  • Paolo Costa fu la spalla del Professore nelle privatizzazioni. Poi il gruppo lo volle in squadra come esperto di infrastrutture.
  • Il peso della famiglia va ben oltre la moda. Grazie a Goldman, la sfera d'influenza tocca grandi assicurazioni, editoria e banche.

Lo speciale contiene due articoli.

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Lega e 5 stelle alla guerra contro Autostrade: «Togliamo la concessione»
Ansa
  • La maggioranza alza la voce con i Benetton. Luigi Di Maio: «La revoca non comporta nessuna penalità perché sono inadempienti». Matteo Salvini: «Comincino a pagare subito».
  • Sale la preoccupazione per i 7.500 dipendenti e per l'esposizione del gruppo agli istituti pari a 1,3 miliardi. In caso di default l'impatto sarebbe pesante come il crac bancario del 2015.
  • Si possono disdire gli accordi dopo un lungo iter. Il rischio per lo Stato è dover pagare comunque la società.

Lo speciale contiene tre articoli.

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