Nell'estate del 2018 un'intercettazione fantasma avrebbe smosso la calma imperturbabile delle stanze del Quirinale, alcuni anni dopo che negli stessi corridoi si erano insinuate, come echi lontani, le indiscrezioni sulle captazioni mai rese pubbliche in cui era rimasta impigliata la voce di Giorgio Napolitano.
Nel flusso di coscienza di Luca Palamara, raccolto nel libro Il Sistema, scritto con Alessandro Sallusti, fa capolino una conversazione che sarebbe stata registrata dai carabinieri nell'ufficio romano dell'imprenditore Alfredo Romeo su disposizione della Procura di Napoli e in particolare dei pm Henry John Woodocock e Celeste Carrano.
A un certo punto le cimici avrebbero captato l'ex ministro Paolo Cirino Pomicino mentre svelava a Romeo di aver incontrato l'allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e di aver scambiato con lui giudizi non proprio lusinghieri su Woodcock. Peccato che da lì a poco il pm anglo-italiano sarebbe finito sotto inchiesta davanti alla sezione disciplinare del Csm presieduta proprio da Legnini. A ridosso della sentenza trapela la notizia dell'intercettazione e attraverso percorsi misteriosi arriva all'orecchio di Palamara, che ne parla a Legnini. Il riassunto del brogliaccio diventa, secondo l'ex presidente dell'Anm, un'arma per condizionare il vicepresidente e costringere il Csm a rinviare la sentenza alla successiva consiliatura. Una questione spinosa che per essere risolta, secondo Palamara, venne sottoposta direttamente al Quirinale, che condivise l'idea del rinvio. Woodcock era sotto processo per «grave violazione di legge» e per «grave scorrettezza» per la conduzione di un interrogatorio di un imputato (in quel momento sentito come semplice testimone) del processo Consip e per alcune dichiarazioni rilasciate alla Repubblica. Pomicino, l'estate scorsa, ha cercato di avere notizie dell'intercettazione fantasma e ha presentato un'istanza di accesso agli atti. Gli ha risposto direttamente il procuratore Giovanni Melillo, il quale, con due pagine di replica in punta di diritto, ha liquidato la richiesta come inammissibile per la genericità delle indicazioni fornite da Pomicino, ma non ha escluso l'esistenza dell'intercettazione della quale Palamara era venuto a conoscenza.
Certamente Palamara ne parla con Legnini il 29 maggio 2019 e, non immaginando di essere ascoltato dagli investigatori della Guardia di finanza, mostra di essere a conoscenza sia dell'incontro di qualche anno prima tra Pomicino e Romeo che degli apprezzamenti non proprio lusinghieri su Woodcock, confermati sui giornali dallo stesso politico. Commenti che indubbiamente avranno fatto saltare sulla sedia il pm partenopeo e lo avranno fatto dubitare della serenità del giudizio a suo carico. Da parte sua, Palamara sostiene che a informarlo dell'esistenza di quell'audio sia stato nel luglio del 2018 Giuseppe Cascini, all'epoca pm a Roma e oggi consigliere del Csm in quota toghe progressiste. Cascini però ha negato l'episodio e ha annunciato querele. Resta il mistero: chi ha riferito a Palamara il contenuto dell'intercettazione e che uso ne è stato fatto?
Come aveva già riferito La Verità, l'ex toga conferma nel libro di aver incontrato Cascini al bar Settembrini nel quartiere Prati di Roma e di essere poi ritornato al Csm: «Riferisco la cosa a Legnini», racconta l'ex pm, «che sbianca, mi conferma che in effetti lui ha avuto un colloquio con Pomicino al bar Florian, nei pressi del Csm, in cui si è lasciato andare a giudizi negativi e anticipatori della sentenza nei confronti di Woodcock. Teme una campagna stampa violenta nei suoi confronti se la notizia dovesse trapelare». A quel punto, nella ricostruzione di Palamara, lo stesso si sarebbe consultato con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, che gli avrebbe confermato tutto, rivelandogli i particolari su quella «intercettazione ambientale, tenuta riservata». Continua il racconto di Palamara a Sallusti: «Per mettere una pezza suggerisco a Legnini di parlare con il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, che io e lui avevamo appoggiato per la nomina e che in teoria dovrebbe mostrarsi riconoscente». Ma nella storia che riporta Palamara c'è un altro protagonista: Riccardo Fuzio. «Parlo con il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio per farci spiegare da Melillo gli esatti termini della vicenda e sondare il Quirinale». Melillo si mostra «molto freddo» con Legnini e la questione, secondo Palamara, viene sottoposta al Colle, nella persona di uno dei consiglieri più vicini a Sergio Mattarella. «Fuzio», ricorda Palamara, «parla con il Quirinale e mi consiglia di non forzare: il disciplinare va rinviato, in quel momento Woodcock va salvato. E così sarà».
L'ex Pg, contattato dalla Verità si limita a un «no comment», puntualizzando che si tratta di «una cosa molto complessa». Legnini, invece, con La Verità, ammette l'incontro con Pomicino e le battute su Woodcock: «È vero che l'ex ministro tirò fuori quell'argomento, ma io rimasi molto evasivo, come era mio dovere fare». E conferma pure che Palamara gli parlò di quell'intercettazione segreta: «Un cenno ci fu, ma a me questa cosa non mi ha mai condizionato... è una storia tra di loro. […] è un problema tra i magistrati... è chiaro che sullo sfondo c'è la guerra tra Palamara e Cascini». Veline e veleni tra magistrati… «La leggo anche io così». Poi Legnini ricostruisce la storia di quella decisione: «L'argomento dell'intercettazione mi fu veicolato... ma - ribadisce - non mi ha mai condizionato e anche se, in ipotesi, avesse potuto farlo, la decisione del rinvio è stata assunta in libertà da un collegio di sei persone di cui faceva parte anche Palamara […] stavamo scadendo, era una decisione molto impegnativa, c'era tutta quell'attenzione, quelle chiacchiere… forse non saremmo riusciti neanche a depositare la sentenza, perché i giorni erano pochissimi […], era fine agosto, inizi di settembre; il Csm che io presiedevo scadeva il 24 di settembre, i componenti sia laici che togati erano stati già eletti a luglio ed erano alle porte». Ma in questa ricostruzione non tutto torna. Infatti nel 2018 davanti alla sezione disciplinare sfilarono tre casi particolarmente spinosi. A Woodcock, a partire da febbraio, furono dedicate sette udienze. Una per mese, escludendo agosto. Il 6 settembre la pratica venne rinviata al nuovo Csm. Sei sedute (a partire da marzo) furono invece riservate a un altro procedimento molto sentito, quello riguardante Gilberto Ganassi, pm cagliaritano. Il 17 settembre la sua pratica venne rinviata a nuovo ruolo. Non è andata altrettanto bene al giudice Camillo Romandini, di cui, in meno tempo (da maggio a settembre), il collegio si è occupato ben sette volte, addirittura due a settembre. Il 14 di quel mese il caso è stato definito con sentenza di condanna alla perdita di due mesi di anzianità. In questo caso Legnini si era astenuto e il presidente del collegio era il laico del Ncd Antonio Leone Un'intercettazione ambientale captata nel maggio del 2019 dal trojan inoculato nel cellulare di Palamara fa comprendere come l'uso di quella conversazione tra Pomicino e Romeo avesse creato serio imbarazzo all'interno del Csm. A parlare sono Legnini e Palamara. L'ex pm è inviperito: «Ancora me lo ricordo come se fosse oggi il 5 luglio 2018 con Cascini là al bar… là ho capito che stava a sfuggi' de mano a cosa da… Wood... […] e quando mi è venuto a di' di te Giova' eh e là ho capito che questi erano proprio la rete (inc.) di banditi […]. Io è una cosa che vorrei di' questa, cioè che il processo Woodcock non è stato fatto per 'sto motivo». Legnini non è d'accordo: «Io la vicenda Woodcock non la sfruculierei […] anche perché noi abbiamo fatto esattamente il nostro dovere, alla fine abbiamo rinviato e abbiamo fatto bene a farlo, certo per quel motivo… però […] che poi alla fine io gli ho trasmesso la cosa al circuito istituzionale diciamo così…». A quale circuito istituzionale fa riferimento il vicepresidente del Csm? Al suo diretto superiore, cioè al Capo dello Stato? La frase continua così: «Dico vabbè insomma poiché alla fine saremmo andati a una condanna magari un po' più dignitosa di quella che hanno fatto loro, ma più o meno stavamo là… cioè censura ammonimento io gliela avrei fatta per l'altra fattispecie non su quella».
Con la nuova consiliatura Woodcock è stato «censurato» per l'intervista e non per la più grave contestazione della gestione del testimone-indagando. La Cassazione ha annullato la decisione e l'ha rinviata al Csm, che, poi, lo ha assolto completamente. Il giallo rimane irrisolto: chi ha fatto uscire da Napoli l'intercettazione fantasma e chi l'ha soffiata nell'orecchio di Palamara? Forse la prima commissione del Csm farebbe bene a convocare l'ex pm per capire come siano svolte davvero le cose.