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Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Giancarlo Saran, gastropenna della «Verità», ha dato alle stampe il secondo volume dedicato alle biografie (ce ne sono 13) di donne e uomini con una spiccata passione per la buona tavola. Con delle vere chicche, come la passione di D’Annunzio per uova e frittate.
In questi giorni, più che mai, la cucina italiana è sotto i riflettori del mondo intero perché c’è stata l’investitura a patrimonio immateriale dell’umanità per l’Unesco. È la prima volta che un tale riconoscimento viene attribuito alla cucina di un Paese: finora questo titolo è sempre stato assegnato solamente ad alcune preparazioni o a determinate tradizioni gastronomiche.
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Sale la spesa per gli acquisti online extra Unione. Misure contro l’invasione cinese.
L’intento è chiaro: la doppia tassa sui pacchi sotto i 150 euro prevista dall’Ue e dal governo italiano ha mire ben precise. Colpire i negozi online al di fuori dell’Unione europea, in particolare quelli cinesi. Andiamo con ordine.
Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Riduci
Ansa
La linea del governo cambia gli equilibri: Credit Agricole, Natixis e Vivendi fanno passi indietro, cresce il peso dei grandi fondi Usa.
Il pendolo della finanza internazionale torna a oscillare. Ma, sorpresa, questa volta non fa più tic verso Parigi e tac verso Milano. Il suo swing ricorda piuttosto quei vecchi metronomi da pianoforte che oscillano, inciampano un po’, e poi cambiano ritmo senza avvisare.
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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Riduci
La famiglia Trevallion-Birmingham e la nuova casa assegnata in comodato d'uso (Ansa)
Dopo aver diviso i figli dai genitori con la scusa della casa, lo Stato etico prova a convertire i rurali alla dottrina progressista: ciclo vaccinale e maestra a domicilio al posto della madre. E magari uno smartphone per aiutare i bambini a «socializzare».
Che cos’è lo Stato etico? Quello che entra nel bosco, divide una famiglia togliendo i figli ai genitori con la «promessa» (vi piace questa parola?) di ridarli se si seguono le regole della rieducazione. Beh, se la testa vi è andata alla famiglia nel bosco, a mamma Catherine e papà Nathan, avete fatto bene perché era esattamente lì che volevamo andare.
Affievolito il clamore mediatico e scomparsi dai radar i politici, il silenzio diventa lo scenario perfetto per manovrare a norma di legge. Esattamente come da manuale d’istruzione. Si fa così: abbassare i toni, stancare i ribelli e non demordere nella finalità di rieducazione. In primis, intervenire sulla casa per piegare quella radicale armonia con la Natura che escludeva ogni comodità, che ricorreva al fuoco per scaldare l’acqua, che escludeva i contatti con la plastica; ebbene, ci sono riusciti visto che c’è una nuova casa in attesa di sistemare quella vecchia. Poi infilarsi nelle dinamiche educative, portando i bambini sui banchi di scuola e non al tavolo della cucina, sotto la guida delle maestre e non della mamma per quanto strutturata a insegnare come aveva dichiarato il ministro Valditara. Eppure tutto questo ancora non basta.
La chiamano «collaborazione tra le istituzioni e la famiglia», anche se l’asimmetria tra le parti è evidente: uno rieduca, l’altro subisce. Tanto che Catherine e Nathan hanno accettato di completare il ciclo vaccinale dei loro figli, fermo ai primi tre sieri. Contenti? No, perché nemmeno quello è sufficiente per riportare i bambini dalla casa famiglia ai loro genitori. L’opinione pubblica è più che spaccata perché vede che i genitori si sono ammorbiditi parecchio, ma ai giudici competenti sembra non bastare ancora: loro «sono» la legge, rappresentano il Giusto e il Bene. Loro vogliono rieducare; anzi loro «debbono» rieducare. Piegare. Indirizzare alle «migliori» strade: la casa nel bosco non va bene; le scelte sanitarie non sono consone; e pure la scolarizzazione dev’essere ripensata.
Anche su questo mamma Catherine si è dovuta ammorbidire aprendo le porte a una maestra di zona che andrà a domicilio tutti i giorni feriali per raggiungere il livello di unschooling come piace alla burocrazia, che ha insistito persino sulle carenze di italiano (del resto in casa parlavano per lo più in inglese senza per questo disdegnare l’italiano avendo scelto di vivere in Abruzzo). Potrebbe toccare alla maestra Rossella, 36 anni di Palmoli, colmare quel che la plurilaureata mamma Catherine non sarebbe stata in grado di offrire. Anche Rossella D’Alessandro ha due lauree e parla le lingue straniere: sarà il pezzo mancante per rimettere le cose al loro posto? Oppure i tre figli della famiglia nel bosco dovranno rimanere nella casa famiglia di Vasto?
Tra pochi giorni sarà Natale e il rischio di non poter raccontare il lieto fine purtroppo c’è, ma se così fosse sarebbe davvero uno strappo difficile da far comprendere all’opinione pubblica, ancora attonita per il sopravvivere della radicale decisione dopo il trasferimento di papà Nathan in un’altra casa. Che sembrava essere il problema principale. Ma così - si è scoperto - non era: il problema erano le scelte sanitarie e poi la scuola e la socializzazione dei bambini con gli altri bimbi.
L’ho detto e lo ribadisco: nella confusione generata dai social è difficile poter dire quale sia il modello giusto e non credo che possa toccare allo Stato intromettersi nelle scelte educative. Ecco perché aver tolto i figli alla famiglia nel bosco è una scelta da Stato etico. Viviamo un tempo in cui i genitori e gli insegnanti non sanno come gestire gli effetti dell’abuso dei social già alle elementari, ma ci permettiamo di mettere il naso nella scelta dei neorurali di vivere nella totale armonia con la Natura. Andateli a vedere i bambini e i ragazzini nelle cene di classe che in questi giorni prenatalizi si organizzano; andate a vedere il livello di socializzazione e li ammirerete piegati su quegli smartphone che noi adulti abbiamo regalato per tenerli calmi. Non è così già all’età di pochi anni? Basta guardare cosa accade nei ristoranti.
Che cosa regaleremo ai nostri figli per Natale (beati quei bimbi che ancora riescono a credere a Babbo Natale, visto che i social riescono a rompere persino l’incantesimo di questo rito)? Quanti regali saranno «smart», da connettere? Magari lo stesso mondo che toglie i figli ai genitori troppo radicali ha figli che si isolano sui social e vivono in un mondo… virtuale.
Onestamente tra l’Australia che toglie i social ai minori di 16 anni e l’Italia che toglie i figli alle famiglie nel bosco per rieducare, preferisco la prima scelta. Prima o poi ci dovremmo pensare anche noi.
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Riduci





