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Due islamici fanno fuoco alla celebrazione dell’Hanukkah in Australia: almeno 16 morti. Polemiche per la linea dell’esecutivo Albanese: non ha smantellato i centri radicali. Dubbi sulla polizia: ci ha pensato un fruttivendolo a disarmare un attentatore.
Una celebrazione religiosa si è trasformata in una strage nel cuore di Sydney. Almeno 16 persone sono morte, tra cui uno degli assalitori, e più di 30 sono rimaste ferite in una sparatoria di massa avvenuta ieri mattina durante un evento pubblico dedicato alla festività ebraica di Hanukkah. Tra i deceduti c’è anche il rabbino Eli Schlanger, 40 anni, esponente di spicco della comunità ebraica di Sydney e un bambino. L’attacco si è verificato a Bondi Beach, una delle spiagge più famose d’Australia, dove circa 2.000 persone stavano partecipando a una manifestazione all’aperto. L’iniziativa, intitolata «Chanukkah in riva al mare», era stata concepita come un momento di festa e condivisione per famiglie e partecipanti di ogni età, nei pressi di un parco giochi.
Secondo le prime ricostruzioni almeno due uomini vestiti di nero - mentre le autorità non escludono la presenza di un terzo complice - hanno aperto il fuoco a breve distanza dalla spiaggia, scatenando il panico tra la folla. Diversi testimoni, citati dai media locali, hanno raccontato di colpi esplosi senza sosta e di persone in fuga nel tentativo di mettersi in salvo. L’emittente pubblica Abc ha reso noto il nome di uno dei due attentatori, senza precisare se sia deceduto durante l’assalto. Si tratta di Naveed Akram, cittadino pakistano di 25 anni residente a Sydney, nel quartiere di Bonnyrigg; nella sua auto sono stati ritrovate altre armi e esplosivi, segno che il disegno era molto più ampio. Il secondo autore dell’attacco terroristico è stato identificato come Khaled al Nablusi, cittadino libanese di origine palestinese, affiliato all’Isis, che tuttavia non ha rivendicato l’attacco. Le autorità hanno confermato che almeno uno degli aggressori era noto ai servizi di sicurezza. A riferirlo è stato il direttore dell’Australian security intelligence organisation (Asio), Mike Burgess: «Uno di questi individui ci era noto, ma non con la prospettiva di rappresentare una minaccia immediata. Dobbiamo capire cos’è successo qui».
Resta aperto il nodo delle misure di sicurezza: l’assenza di un dispositivo rafforzato appare difficilmente spiegabile, considerata l’ondata di antisemitismo e le minacce contro la comunità ebraica che da mesi attraversano l’Australia. Invece di smantellare le reti estremiste, il governo ha permesso ai centri islamici legati all’ideologia radicale, tra cui l’Istituto Al Murad, di continuare a operare. Queste istituzioni hanno contribuito a radicalizzare i giovani e persino i bambini, creando le condizioni che hanno prodotto terroristi come Naveed Akram. Secondo quanto emerso, i due uomini armati sono arrivati indisturbati nei pressi dell’area dell’evento e hanno sparato per circa nove minuti utilizzando fucili a pompa Remington 870. Prima dell’intervento della polizia Hamad el Ahmed, arabo-australiano e gestore di un chiosco sulla spiaggia, ha affrontato a mani nude uno degli attentatori riuscendo a neutralizzarlo, salvando così altre vite umane. Colpito da due proiettili, è rimasto ferito e dovrà essere sottoposto a un intervento chirurgico.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato l’Australia di aver alimentato il clima di odio, affermando che il Paese «ha gettato benzina sul fuoco dell’antisemitismo» prima dell’attacco di Sydney. Netanyahu ha ricordato di aver inviato ad agosto una lettera al primo ministro Anthony Albanese. Come riportato dal Times of Israel, il premier israeliano ha sostenuto che le politiche di Albanese, incluso il riconoscimento di uno Stato palestinese, incoraggiano «l’odio per gli ebrei che ora infesta le vostre strade. L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader rimangono in silenzio. Dovete sostituire la debolezza con l’azione». Il presidente dell’Organizzazione sionista mondiale, Yaakov Hagoel, ha collegato la strage a una più ampia escalation globale: «La serie di aggressioni antisemite che si registrano in tutto il mondo è scioccante e richiama alla memoria i periodi più bui della storia». «Dal 7 ottobre è in corso una guerra che non colpisce soltanto lo Stato di Israele, ma ogni ebreo ovunque si trovi. Questo è diventato l’ottavo fronte di quel conflitto». Resta ora da chiarire se l’attacco sia opera di due «lupi solitari», ipotesi improbabile, o se vi sia una regia esterna.
Israele ha avviato consultazioni strategiche e di sicurezza per individuare eventuali mandanti. Negli ultimi mesi, le autorità israeliane avevano lanciato avvertimenti sulla possibile preparazione, da parte dell’Iran, di infrastrutture terroristiche destinate a colpire comunità ebraiche in Australia. Secondo le valutazioni israeliane, il principale sospettato resta Teheran, con possibili collegamenti a organizzazioni come Hezbollah, Hamas e Lashkar-e-Taiba, gruppi che negli anni hanno dimostrato capacità operative anche al di fuori del Medio Oriente; così come non va scartato l’Isis. L’ipotesi prevalente, però, è che l’Iran abbia fornito supporto logistico, finanziario o di addestramento, sfruttando reti già esistenti e canali di radicalizzazione attivi sui social media. Se dovesse emergere una responsabilità diretta di Teheran, la risposta di Israele sarà inevitabile, in linea con la dottrina di deterrenza adottata negli ultimi anni. Tempi, luoghi e modalità restano da definire ma potremmo scoprilo a breve.
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Riduci
Erika Kirk (Ansa)
Erika divulga il libro postumo del marito, un invito a rifiutare l’astio come credo politico.
La soluzione è tutta lì, nel titolo del libro postumo di Charlie Kirk che la sua giovane vedova Erika sta promuovendo in vari talk show televisivi americani. Stop in the name of God (Fermatevi nel nome di Dio) è un manifesto contro la violenza politica e ideologica e allo stesso tempo un invito a un cambiamento interiore. E le due cose sono profondamente collegate: per fermare l’odio non servono leggi che limitino la libertà di espressione, non servono comitati, commissioni e censure come quelle che anche in Italia vanno per la maggiore. Serve piuttosto una visione nuova e diversa, un moto di coraggio e di apertura all’altro, esattamente ciò che Charlie praticava quotidianamente. E il migliore esempio di questo modo di vivere nel mondo è proprio Erika, la donna che ha saputo addirittura perdonare l’assassino di suo marito in mondovisione.
Le parole che ha pronunciato e sta pronunciando in televisione in queste settimane sono le migliore e più elevata risposta non solo a coloro che uccidono in nome di un Dio o di una idea, ma pure a tutti quelli che in questi mesi hanno vilipeso la memoria di Charlie, ne hanno mistificato il pensiero e le frasi.
Parlando alla Cbs, Erika ha ribadito che «l’unico modo per combattere il male, proprio come ha fatto Charlie, è attraverso il dialogo e non avendo paura di praticarlo». Quando le hanno fatto notare che Donald Trump aveva chiesto punizioni feroci per i democratici, Erika ha risposto con determinazione: «Non sarò mai d’accordo con la violenza politica». «Mio marito ne è vittima. Io ne sono vittima».
Non c’è spazio per l’odio nel cuore di Erika Kirk, c’è piuttosto il rifiuto per ogni forma di discriminazione vera, a partire dall’antisemitismo. Certo, Charlie aveva criticato la politica e gli attacchi di Israele su Gaza, ma «diceva sempre molto chiaramente che l’odio verso gli ebrei è frutto di un cervello marcio». Erika respinge dunque l’odio contro gli ebrei in quanto tali, e pure le teorie del complotto, comprese quelle sull’omicidio di suo marito. Anche per questo invita i genitori a limitare il tempo che i figli trascorrono sul Web. «Volete che vostro figlio diventi un leader di pensiero o un assassino?», domanda agli ascoltatori.
Erika risponde pure a tutti quelli che hanno giustificato più o meno direttamente l’uccisione di Charlie (e come sappiamo ce ne sono molti anche dalle nostre parti). «Vuoi guardare in alta risoluzione il video dell’omicidio di mio marito, ridere e dire che se lo merita? C’è qualcosa di molto malato nella tua anima, e prego che Dio ti salvi», dice. Quindi si rivolge ai vari commentatori e opinionisti che hanno tentato di dipingere suo marito come un odiatore, pescando qui e là fra i suoi interventi per suggerire che fosse intollerante, razzista, omofobo. «Mio marito non si lascia ridurre a due frasi...», spiega Erika. «No. Era un leader di pensiero, ed era un uomo brillante. Quindi va bene se si vogliono togliere le parole dalla sua bocca o decontestualizzarle senza dare la giusta prospettiva, ma è proprio questo il problema». Già: l’astio nei confronti di Charlie si è manifestato anche dopo la sua morte proprio attraverso la decontestualizzazione e manipolazione delle sue parole.
Hanno avuto il fegato, pure in Italia, di contestare il suo funerale, ovviamente trascurando ciò che Erika disse in quella occasione, la sua straordinaria lezione di umanità e amore. Alla Cbs ha raccontato come decise di perdonare il killer del marito. Prima di prendere il microfono e parlare al mondo si chiese: «Mi prenderò quel momento per dire: “Radunate le truppe, bruciate la città, marciate per le strade”? Oppure prenderò quel momento e farò qualcosa di ancora più grande, più potente, e dirò: “È una rinascita. E lascerò che si scateni, e lascerò che il Signore la usi in modi che nessun altro avrebbe mai potuto immaginare”?». Sappiamo che cosa abbia scelto Erika: ha respinto l’odio e scelto il perdono. E lo sceglie anche oggi: riceve ancora tonnellate di minacce di morte, ma non viene meno al suo impegno. Perché sa che solo così si può rispondere alla violenza. Mentre tutto attorno si consumano stragi, si sparge odio politico e si censurano le idee sgradite, la via di Erika resta l’unica percorribile: la più difficile, e la più forte.
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Riduci
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Lorenzo Mariani (Ansa)
L’ad di Mbda Italia Lorenzo Mariani: «Investire nella difesa porta sicurezza ma anche benessere, i nostri fornitori sono all’80% pmi tricolori. In cinque anni abbiamo raddoppiato i dipendenti».
Lorenzo Mariani è l’amministratore delegato di Mbda Italia, con sede principale a Roma, impegnata nella progettazione e realizzazione di sistemi missilistici con applicazioni terresti, aeree e navali. L’azienda è parte integrante della joint venture europea Mbda. Il numero di addetti, raddoppiato negli ultimi cinque anni, sta per raggiungere circa 3.000 unità. L’eccellenza tecnologica e la collaborazione con le università ne fanno una realtà strategica non solo per il settore della sicurezza e della difesa, ma anche per sistema economico nazionale.
Ingegner Mariani, ci sintetizza le tappe salienti del suo percorso professionale?
«Sono approdato nell’allora Alenia Difesa grazie alla mia tesi di laurea, un po’ come succede anche oggi ai tanti ragazzi che chiedono di laurearsi con noi. Da quel momento - erano i primi anni Novanta - ho ricoperto numerosi ruoli, dapprima più tecnici, poi con responsabilità crescenti, come nella jv Alenia Marconi Systems, fino a responsabilità manageriali sempre più rilevanti. In particolare, negli anni più recenti, in Leonardo sono stato prima direttore commerciale e ad di Leonardo International, poi condirettore generale e responsabile operazioni e sviluppo business del gruppo. In Mbda ho avuto il piacere di essere stato responsabile dei prodotti già nel 2002 e l’onore di essere, da aprile 2025, amministratore delegato di Mbda Italia e responsabile vendite e business development di Mbda gruppo».
Può schematizzarci i principali parametri economici di Mbda Italia e di Mbda gruppo?
«Siamo in una fase di grande incremento di produzione, legata anche agli attuali scenari geopolitici che ci richiedono maggiori volumi in tempi più rapidi. Mbda, in Italia, è un’azienda da oltre 1 miliardo di euro di ricavi, in ulteriore crescita, con ordinativi ad oggi superiori ai 2 miliardi annui e un portafoglio ordini che si avvicina agli 8 miliardi. Rispetto a meno di cinque anni fa le dimensioni complessive di Mbda Italia sono raddoppiate. Nel quinquennio abbiamo quasi raddoppiato anche il numero dei dipendenti e ora veleggiamo verso i 3.000 e più nei prossimi anni. Ciò si colloca anche nel contesto della crescita di Mbda gruppo che, nel 2024, ha raggiunto un portafoglio record di oltre 37 miliardi e ordini pari a circa 14 miliardi, con un numero di dipendenti ancora in crescita che al momento si attesta attorno ai 19.000 addetti, distribuiti nei cinque Paesi della joint venture, Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. Questa è la dimostrazione più evidente che la cooperazione è vincente da tutti i punti di vista, anche da quello dei parametri finanziari, sui quali c’è molta attenzione da parte dei nostri azionisti».
Quali sono le tipologie di prodotti realizzati?
«Mbda è un leader europeo per la difesa e la sicurezza e fornisce alle Forze armate sistemi complessi. L’innovazione tecnologica è una nostra impronta distintiva. Nel nostro settore essere all’avanguardia tecnologica significa garantire alle Forze armate l’operatività più efficace per la sicurezza di persone, assetti, territori. Perseguiamo questa missione progettando, sviluppando e realizzando sistemi per la difesa aerea, per la protezione dei contingenti, a supporto del campo di battaglia, fino ai sistemi per le operazioni di difesa navale. Si tratta di un’azienda con un ruolo chiave per la sicurezza e la protezione degli Stati. Si tenga conto che esistono applicazioni, come l’aria-aria, dove si fornisce al cliente il solo missile, e altre, invece, dove assieme al missile si consegna al cliente un vero e proprio sistema, costituito da lanciatore e unità di comando e controllo del lancio, inclusivo del radar per il tracciamento del bersaglio. Si parla, in tal caso, di sistemi di difesa aerea per applicazioni sia navali sia terrestri».
In Italia dove sono ubicati i siti produttivi di Mbda?
«In Italia siamo presenti a Roma, con oltre 1.500 addetti, al Fusaro (Bacoli, provincia di Napoli, ndr), dove siamo oltre 700, mentre a La Spezia, che comprende anche l’insediamento di Aulla (Massa Carrara, ndr) - un centro di riferimento per l’integrazione pirica missilistica in Italia - lavorano circa 300 addetti. Stiamo peraltro espandendo la nostra presenza in Campania con un insediamento anche a Pomigliano, dove concentreremo le attività relative ai lanciatori presso un’area di Leonardo, che ci ha messo a disposizione degli spazi anche a Torino dove abbiamo recentemente avviato attività legate ai laser e al programma GCap. Nello specifico, Roma, oltre ad essere la sede del management, è il sito dove insiste il centro di produzione e di integrazione software e dove svolgiamo le attività sistemistiche e di simulazione. Il Fusaro è il nostro sito di produzione; è la “casa del seeker”, l’occhio tecnologico di un sistema missilistico, in pratica un piccolo radar che guida il missile sul bersaglio. Si tratta di un centro di eccellenza a livello europeo per i radome ceramici, realizzati, a oggi, in oltre 10.000 esemplari per quasi tutti i missili prodotti dal gruppo Mbda. La Spezia è invece “la casa dei missili anti-nave”, un centro di sviluppo e integrazione dedicato a questa tipologia di sistemi».
In quali aree geografiche si realizza l’export?
«Quasi in tutto il mondo. Abbiamo, infatti, oltre 90 clienti al mondo e oltre la metà dei nostri ordini viene acquisita al di fuori dei nostri mercati domestici».
Che peso riveste la tecnologia italiana sui vostri prodotti?
«Considerando l’ecosistema della nostra supply chain, al 70% si parla di tecnologia made in Italy per i prodotti specificamente italiani, come i missili antinave Teseo, e Marte, o come Fulgur, il nuovo sistema per la difesa a cortissimo raggio che stiamo sviluppando per l’esercito italiano, così come le loitering munition italiane per la nostra Difesa. La nostra produzione è dunque di grande valore per tutta la catena produttiva presente in Italia. Lavoriamo soprattutto con pmi italiane, che sono più dell’80% del numero complessivo di fornitori, ma anche con centri di ricerca, università e start-up italiane».
Quali sono le figure professionali prevalenti in Mbda?
«In Mbda c’è una forte prevalenza d’ingegneri con specializzazioni di vario tipo, informatici, elettronici, meccanici, delle telecomunicazioni, dell’automazione, nonché fisici e matematici. Di base abbiamo un grande numero di laureati in discipline Stem, quantificabile in oltre il 60% del totale, cui oggi si dedicano anche tante donne. Non a caso, ad esempio, il nostro capo dell’ingegneria è una donna (ing. Stefania Sperandei, nd.). Essendo un’azienda complessa, abbiamo anche diversi profili dedicati alle funzioni di staff come amministrazione, personale e gestione degli stabilimenti».
Molto interessante è l’impegno di Mbda nel raccordo con istituti tecnico-scientifici e facoltà universitarie.
«La nostra azienda si fonda letteralmente sulle materie Stem, in particolare ingegneristiche. Riteniamo fondamentale uno stretto coordinamento con gli Its e le università per promuovere l’interesse verso le materie Stem. Siamo ben felici di avere tanti laureandi che ci scelgono per le loro tesi. A oggi, le università italiane producono laureati con un’elevata preparazione, che possono essere inseriti in tempi rapidi nelle nostre strutture d’ingegneria e produzione. Ovviamente la fase di addestramento, teorica e “on the job”, dura sempre alcuni mesi».
Ci parla delle vostre collaborazioni con atenei e centri di ricerca italiani?
«Per Mbda le collaborazioni con atenei e centri di ricerca sono un grande valore. Crediamo nell’innovazione e nella ricerca “aperta”. Tanti filoni di ricerca sono accelerati grazie a solidi accordi quadro con varie università in tutta Italia. Gli accordi riguardano soprattutto l’esplorazione di tecnologie emergenti per investire su quelle più promettenti e diventano incubatori di tecnologie attraverso contratti di ricerca e dottorati. Ci consentono di definire obiettivi di tesi di laurea attraverso le quali i laureandi possono avvicinarsi al tema complesso e affascinante dei sistemi missilistici ed essere poi dei nuovi possibili colleghi».
In un’intervista per La Verità del 16 dicembre 2024, l’ing. Giuseppe Cossiga, presidente di Mbda Italia e di Aiad, l’associazione delle imprese che realizzano prodotti per aerospazio, difesa e sicurezza, ha sottolineato che, lungi dalla veicolazione da parte di certa stampa di stereotipi negativi nei confronti delle aziende che producono sistemi d’arma, esse sono invece “uno degli strumenti a disposizione di un Paese democratico per garantire la sicurezza dei cittadini nell’ambito di un sistema legislativamente controllato”».
«Concordo pienamente con l’ing. Cossiga. Un sistema di difesa efficace e completo è un’assicurazione per i nostri valori, la nostra sicurezza e protezione. Un Paese non può farne a meno e noi siamo fieri, con i nostri sistemi, di poter garantire alle nostre Forze armate la migliore operatività, a garanzia della protezione e sicurezza del nostro Paese. Del resto è dimostrato che la sicurezza ha un effetto diretto sul benessere economico di un Paese».
Com’è la vita quotidiana di un top manager del suo livello?
«Densa, coinvolgente, a tratti divertente, sicuramente appassionante e senza soluzione di continuità…».
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Riduci





