L'immigrazione è un gigantesco fenomeno di proiezione delle élite culturali progressiste, che vedono negli immigrati cose che non ci sono, in un'illusione che si auto perpetua fino a che non giunge il brusco ritorno alla realtà. Questo è vero per i ragazzoni appena sbarcati, ma anche per situazioni in qualche modo più «addomesticate», e che invece, anch'esse, continuano a sfuggire alle griglie ideologiche della sinistra nostrana.
È il caso di Bello Figo, lo pseudo rapper e vero troll che spopola in rete con le sue prese in giro alla retorica anti immigrati e che ultimamente ha persino scritto un libro, di cui ci siamo già occupati. Un africano che chiede donne bianche, pasta col tonno e wifi, anche se vive in Italia da 10 anni, giusto per il gusto di far arrabbiare gli utenti di destra. Ma i veri presi in giro, in questa storia, sono quelli di sinistra, che a Bello Figo attribuiscono un'intelligenza, un acume e una tensione etica che egli visibilmente non ha, né desidera avere. Basti pensare che Rolling Stone l'ha definito «l'artista più politicizzato d'Italia». Dinamopress, un sito legato al mondo antagonista, ne ha fatto un'analisi di 18.200 battute (qualcosa come quattro cinque articoli di giornale, per capirci). Vice ha spiegato che «all'interno dell'estrema sinistra italiana c'è una forte spaccatura su questo tema». Proprio Vice, adesso, ha deciso di intervistare «l'artista» (?), cercando in tutti i modi di dargli una politicizzazione che non ha né vuole avere. Al cronista che gli fa notare come sia diventato un'icona, Bello Figo replica: «Non era mia intenzione diventare un'icona di qualcuno, non è mia intenzione neanche adesso».
Domanda: «Ti interessa la politica?». Risposta: «Sinceramente, forse no». Certo, Bello Figo ha fatto canzoni sui marò, o su Silvio Berlusconi. Ma, anche in questo caso, l'argomentazione è desolante: «Quando io dico “salviamo i marò" non è perché ho studiato il caso dei marò, cioè io so solo che sono due persone e so che tanta gente dice “salviamo i marò". Non ho studiato nello specifico cos'è successo a loro». E il Cav? «Nel caso di Berlusconi invece era un po' più per la figura, lo stile di vita, i soldi, ecc... cose che volevo anche io». L'intervista prosegue tutta su questa linea. L'intervistatore non ha più soddisfazione parlando di temi su cui pure Bello Figo dovrebbe ergersi a paladino del politicamente corretto. Le cause della sparatoria di Macerata? «Io metterei da parte il razzismo». L'allarme discriminazioni? «Non so se c'è un problema di razzismo», dice il ghanese, e aggiunge: «Dal vivo non ho mai ricevuto gli insulti razzisti».
I concerti saltati per le minacce dell'estrema destra? È solo paura delle contestazioni, e «se il proprietario del locale prende questa decisione, voglio dire, il locale è suo. Se mi arriva questa motivazione io non posso dire che si tratta di razzismo». Insomma, un dialogo surreale. In cui alla fine persino Bello Figo fa una figura migliore del giornalismo «impegnato» di casa nostra.
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