Ce l’hanno ripetuto in tutte le varianti, e ancora continuano a ripetercelo: il nostro approccio alla pandemia è stato il migliore del mondo, abbiamo fatto tutto quello che si doveva fare – e anche di più – nella maniera più corretta possibile. Siamo talmente bravi che l’intero pianeta ci invidia, altri vengono a copiare da noi, meriteremmo un premio, una medaglia, una coppa. Del resto, dall’esecutivo dei «migliori» che cosa avremmo dovuto aspettarci se non un trionfo assoluto? Tutte queste belle parole, purtroppo, si scontrano con una realtà piuttosto grigia. Che la popolazione italiana non fosse poi così soddisfatta della gestione governativa del Covid si poteva intuirlo anche solo parlando con le persone in strada, o leggendo le lettere che in questi mesi sono giunte al nostro giornale. Ma ora – per fare contenti i grandi tifosi de Lascienza – abbiamo perfino un numero, un dato verificabile.
Lo si trova nel rapporto Eurispes appena pubblicato, il trentaquattresimo. Leggendolo si scopre che il 55,8% degli italiani non approva la strategia adottata per contrastare il virus (contro il 44,1% di soddisfatti). Ancora peggiore è il risultato a proposito dell’informazione: il 68,5% della popolazione non apprezza il modo in cui l’emergenza sanitaria è stata raccontata dai media (soddisfatto il 31,5% dei connazionali). Non sono grandissimi risultati, anzi. E il bello è che solo il 17,6% degli italiani ritiene di aver perso fiducia nella scienza. Significa che i più continuano a fidarsi degli scienziati, ma ritengono anche che il governo (meglio: i governi) abbiano sbagliato e i media pure.
A quanto pare, dunque, i sedicenti migliori non godono poi di così tanto apprezzamento, almeno per quanto attiene al versante pandemico. Attenti però perché la parte più interessante deve ancora venire. Non è soltanto la popolazione ad aver espresso una valutazione negativa sul piano sanitario: un brutto giudizio arriva addirittura dalle istituzioni italiane e internazionali.
Vediamo di spiegare. Ogni anno, gli Stati membri dell’Organizzazione mondiale della sanità sono tenuti a inviare all’organismo transnazionale una autovalutazione del loro sistema sanitario. Tale valutazione, nel nostro caso, è compilata dal ministero della Salute e comprende 15 capacità, come si chiamano in gergo tecnico. In buona sostanza funziona così: il nostro ministero spedisce all’Oms una serie di dati sullo stato del nostro sistema, e l’Oms riassume questi dati in una percentuale che rappresenta il livello di efficienza del sistema. Ebbene, nel nostro caso è accaduto uno strano fenomeno, di cui si è accorto il generale Pier Paolo Lunelli, super consulente dei famigliari delle vittime del Covid di Bergamo.
Lunelli ha notato che la autovalutazione presentata dall’Italia nel 2020 (e contenente dati relativi al 2019) disegnava uno scenario fantastico. Riguardo alla prima delle 15 capacità, quella che consente di far funzionare tutte le altre, la sintesi di efficienza fornita dall’Oms era pari al 95%. Strabiliante: una promozione quasi con lode. Percentuali altissime anche sul livello dei laboratori (100 su 100), addirittura 90 su 100 per la sorveglianza sanitaria. Viene da domandarsi: se eravamo così bravi e così preparati, con alcune valutazioni superiori a quelle della Svizzera, come mai siamo stati così brutalmente travolti dal Covid?
Soprattutto, c’è una seconda domanda che emerge prepotente: se nel 2020 eravamo a livelli d’eccellenza, perché nel 2021 siamo sprofondati? Ecco il punto. Pier Paolo Lunelli ha scoperto che le autovalutazioni spedite all’Oms l’anno passato sono molto diverse da quelle di 12 mesi prima. Sulla prima capacità, tanto per dire, la valutazione sintetizzata dall’Oms è passata dal 95% al 20%, cioè da ottimo a insufficiente. Il dato curioso è che questa prima capacità riguarda l’attuazione di un documento che si chiama Regolamento sanitario internazionale e che risale al 2005. Questo regolamento è l’impalcatura legislativa che consente a una nazione di mettere in atto tutti i provvedimenti indispensabili a contrastare una pandemia. Beh, noi questo regolamento non l’abbiamo mai ratificato e ovviamente non l’abbiamo mai messo in pratica: ci rifacciamo ancora a quello del 1982.
Semplice ragionamento: se il regolamento non era operativo nel 2021, non le era neanche nel 2019 e nel 2020. E allora come è possibile che sul punto specifico la nostra autovalutazione fosse ottima? Viene il sospetto che il nostro governo abbia inviato all’Oms dei dati, come dire, un po’ gonfiati. O semplicemente falsi. E nel 2021 abbia poi dovuto ammettere la triste realtà dei fatti. La prossima autovalutazione dovrebbe essere inviata entro il 15 giugno prossimo: torneremo improvvisamente ad alti livelli? Difficile, perché nel frattempo nessun piano è stato approvato.
A dirla tutta, anche un bel po’ altre di misure che avrebbero dovuto essere messe in campo da subito non sono state nemmeno considerate. Lo nota – pensate un po’ – persino Roberto Burioni. Ieri su Repubblica la celebre virostar ha voluto spiegarci che estate ci aspetta, e ha inanellato alcune valutazioni piuttosto elementari. «È possibile che durante l’estate il numero di casi diminuirà», ha scritto. «Ma è altrettanto probabile che in autunno ci sarà una risalita delle infezioni». In previsione di questa risalita, dice Burioni, bisognerebbe premunirsi. Come? Certo, preparandosi a una nuova dose di vaccino (figurarsi…). Ma pure in altra maniera. Ad esempio agendo su scuole e uffici per garantire adeguato ricambio dell’aria. Oppure rafforzando il sistema di somministrazione dei farmaci antivirali. Sì, signori, avete capito bene. Burioni viene a dirci oggi che servono farmaci e ricambio dell’aria. Cioè due cose che esperti, associazioni e alcuni partiti politici chiedono da circa un anno, e su cui il governo ha offerto, per tutta risposta, il vuoto pneumatico.
Sono i migliori, sì: quanto a faccia tosta non li batte nessuno.